Vinet, l’evangelico che ispirò Cavour

By 19 Maggio 2009Rassegna Stampa

MILANO – «Libera circolazione delle credenze»; vantaggiosa «concorrenza dei culti». Sembrano slogan d’un burocrate di Bruxelles convinto che le fedi siano come il software, l’abbigliamento, le automobili. Sono invece pensieri del 1826, tratti dalla dissertazione con cui il trentenne protestante Alexandre Vinet propugnava la libertà religiosa e la separazione tra Stati e chiese.

L’autore si batteva a Losanna perché le chiese riformate si emancipassero dalla tutela civile e cessassero le persecuzioni contro le chiese dissidenti. Dopo averlo incontrato, il giovane Cavour scrisse nel 1833 alla zia de Sellon, delle «calorose esortazioni del pastore Vinet»: il risorgimentale «libera Chiesa in libero Stato» venne anche da lì.

Dopo ben 180 anni, lo scritto è infine accessibile anche in italiano (Alexandre Vinet, Libere Chiese in Libero Stato. Memoria in favore della libertà dei culti, 1826; a cura di Stefano Molino, Edizioni Gbu, pp. 353, 20, www.edizionigbu.it).

La posizione di Vinet riflette l’equazione tra libertà e sviluppo. La fiducia nel mercato e nella competizione vale in religione quanto in economia. Chi ha fatto i conti senza costrizioni col problema della fede è un miglior cittadino: più maturo e responsabile perché ha liberamente soppesato, interiorizzato, scelto. Sono migliori anche le chiese che invece di usare l’una contro l’altra le armi e i soldi dei governi, si son date battaglia attraverso buoni argomenti e buone condotte. È migliore la società in cui una pluralità di fedi e di chiese garantisce tensione verso verità ed etica. In regime di libertà, opportunismi e moralismi si squagliano: prevalgono il credo più vero, il fedele più coerente, la chiesa più santa; i legami sociali risultano continuamente vivificati e rinsaldati.

Quasi due secoli dopo, all’entusiasmo del pastore Vinet fa eco il nostro disincanto. La realtà della pubblicità commerciale ed elettorale ha sconfitto l’ideale di una democrazia costruita sulla forza delle coscienze. Monopoli, speculazioni e aiuti pubblici soffocano il libero mercato. La libertà religiosa ci appare come il paravento del fanatico mormone o del terrorista musulmano. La spiritualità individuale si addice al fedele debole; perdono le chiese che testimoniano, vincono quelle che contano, che piantano bandiere sulle carte del mondo.

Vinet chiedeva a cosa serva una religione «che figuri in tabelle statistiche, come una questione di geografia, se nel cuore dei popoli ha solo un rango illusorio e contestato». Riteneva che il successo dell’Occidente stesse nell’aver fatto del credo una questione di cuore; nell’aver scommesso su relazioni sociali forti perché libere. Si trattava a suo avviso di una conquista cui i cristiani erano arrivati tra infedeltà ed incoerenze. Un esercizio da rinnovare costantemente. Era agli antipodi dell’odierna proposta di radici cristiane a buon prezzo: piantate nel passato invece che inventate nel futuro, cui aderire senza passione di cuore, senza sforzo di coerenza; sigillate nell’ortodossia che pensa al tuo posto.

In Vinet invece la ricerca individuale di Dio è tutto. Dalla fatica di quella ricerca il cittadino sa trarre «dei principi che egli applica nella sua condotta, non delle opinioni che cerca di far prevalere».

Oggi le idee di Vinet non suonano plausibili. Un cristianesimo del cuore e non del potere è pura utopia per gli stessi cristiani; quanto alla coesistenza tra fedi diverse, possiamo al limite tollerarla, non certo pensarla come un valore. Eppure nella storia Vinet ha vinto. Davvero la «libera circolazione delle credenze» e la «concorrenza dei culti» hanno portato frutto. I Paesi monoreligiosi sono i più spaventati e depressi. I Paesi multireligiosi sono i più dinamici e ricchi. C’era già un grande statista nel Cavour affascinato dalle «calorose esortazioni del pastore Vinet».

di: Ventura Marco
da: Corriere della Sera
data: 19 maggio 2009

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