Michael W. Smith, dal concerto alla lode

By 16 Ottobre 2007Musica e dintorni

MILANO – «Michael W. Smith non è molto conosciuto in Italia», scriveva il giorno del concerto milanese il Corriere della Sera. Coloro che lo conoscono, però, sanno anche apprezzarlo, a giudicare dal tutto esaurito che gli hanno regalato ieri al Teatro Smeraldo di Milano. Di lunedì, per giunta, data non felicissima per un concerto, a quanto pare inevitabile per esigenze organizzative.

Il cantautore era per la prima volta in Italia come testimonial di Compassion, missione di affido a distanza: due date in due giorni ai due capi del paese, Milano prima, Napoli poi (stasera al Palapartenope: ci sono ancora posti disponibili). Calendario decisamente impegnativo anche per un artista che, nei suoi venticinque anni di attività musicale in campo cristiano, dalla West Virginia si è saputo affermare di fronte al pubblico americano prima e internazionale poi, con una vena compositiva capace di proporre motivi semplici ma convincenti. Il grande riscontro dei suoi brani di lode, presenti ormai negli innari delle chiese di tutto il mondo, ha fatto il resto: probabilmente pochi lo sanno, ma si deve a questo biondo cinquantenne con l’aria sorniona da attore inglese la notorietà di brani come “Apri i miei occhi Signore” (“Open the eyes of my heart”), “Al di sopra” (Above all), “Io ti dono il mio cuore” (“I give you my heart”), “Voglio star con te” (“Draw me close”), “Luce del mondo” (“Here I am”), “Mai lontano da te” (“Breath”), fino alla spettacolare “Agnus dei”. Insomma, un repertorio di tutto rispetto, nel quale però non mancano brani di ascolto, o di impegno, che lo hanno portato in cima alle classifiche americane di musica cristiana, a vendere milioni di dischi, a razziare Grammy e altri premi di blasone, a girare il mondo con la sua musica.

Facile intuire come mai i biglietti per il concerto milanese risultassero esauriti già a metà luglio, pochi giorni dopo l’annuncio del concerto; altrettanto comprensibile come mai davanti al teatro Smeraldo si fosse assiepata già da metà pomeriggio una folla di qualche centinaio di persone, che si è ingrossata nel corso delle ore in una piazza tormentata dai lavori in corso fino a raggiungere il migliaio abbondante di presenze, registrando arrivi da tutto il nord Italia (da Torino è stato organizzato perfino un pullman).

La serata milanese di Michael W. Smith, dove W (forse qualcuno se lo sarà chiesto) sta per Whitaker, è iniziata poco dopo le otto con la Giorgio Ammirabile Band, sempre lucida e competente nei suoi patinati ritmi r’n’b per quanto, a onor del vero, l’eccessiva compressione del suono non garantisse una comprensione ottimale dei testi; Ammirabile, insieme a Stefano Rigamonti (pianoforte), Antonio Calò (chirarra elettrica), Eddi Gomez (percussioni), Debora Sgro, Daniela Benevelli, Melissa Cirillo e Sara Taccardi (cori) hanno alternato brani di lode in italiano e in inglese sotto l’occhio interessato di Smith stesso, che da dietro le quinte osservava la performance. La platea ha apprezzato il sound coinvolgente di Ammirabile e soci cantando insieme al gruppo, in piedi, in un perfetto prologo di quel che sarebbe stato il resto della serata in un teatro pieno e coinvolto.

Tra le due parti della serata, un breve intermezzo con un video di presentazione dell’attività di Compassion, seguito dall’intervento di Michael Olson, batterista di Smith, teso a incoraggiare l’aiuto alla missione nel suo impegno per i bambini del terzo mondo; poi, dopo una pausa tecnica, partono improvvisamente le note di “Open the eyes of my heart” e la platea si infiamma.

Da questo momento, e per buona parte del concerto, i duemila dello Smeraldo saranno in piedi a cantare – dimostrando di conoscere a menadito i brani anche senza il supporto del proiettore -, rispondere ai cori, saltare, battere e alzare le mani, in quello che da subito si prospetta come un intenso momento di lode insieme a Smith che, spaziando tra microfono, chitarra acustica e pianoforte, per un po’ è sembrato sorpreso da questo entusiasmo, prima di lasciarsi andare a sua volta fino a ripetere più volte il suo affetto verso questa Italia che, a quanto pare, riteneva meno vicina.

A metà serata, dopo “Open arms”, l’artista si mette al piano concedendosi il lusso di ripescare perfino un brano tratto dal suo unico album strumentale, inciso sette anni fa e dedicato a un’amica mancata all’epoca, Carol Ann; si fa accompagnare dal violino di Christa Black e dalla chitarra di Glenn Pearce per un momento acustico e toccante. Poi di nuovo via, vitale più che mai, tra le sonorità celtiche di Healing rain, fino all’intenso incontro con un “Agnus Dei” che dall’originale inglese, a metà percorso, i duemila presenti girano spontaneamente in italiano, per niente turbati dalla resa tecnica che negli ultimi brani ha provocato grossi disturbi nelle prime file con inneschi sonori e fischi.

Energico e allo stesso tempo posato, il fresco cinquantenne di Kenova tiene il palco per quasi due ore mantenendo alti l’attenzione e l’affetto del pubblico con parole di incoraggiamento (tradotte, come sempre in maniera ineccepibile, da Silvia Piccolo) e brani semplici eppure toccanti, facili da ricordare e musicalmente molto lineari, non fosse per quei bridge indovinati che sparigliano il rischio di monotonia: intermezzi destinati a ripetersi all’infinito e che, quando sono interpretati da migliaia di voci, sono capaci di offrire un impatto emotivo facile da immaginare. Ed è proprio questa, forse, l’immagine più vivida di un concerto diventato un happening di lode, talmente riuscito da strappare a Smith una mezza promessa: «tornerò ad adorare insieme a voi in Italia!».

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