George Floyd, il caso scuote l’America

By 9 Giugno 2020Focus

Si chiamava George Floyd, era un uomo di colore che ha avuto la disavventura di venire fermato dalla polizia di Minneapolis per l’utilizzo di una banconota falsa. Sarebbe potuta rimanere una banale notizia di cronaca locale, e invece la vicenda ha avuto un epilogo che ha infiammato gli Stati Uniti e fatto indignare il mondo: Floyd, che non aveva opposto resistenza al fermo, è stato trattenuto a terra per oltre otto minuti da un agente, senza apparente motivo e senza ripensamenti nemmeno di fronte alle sue invocazioni, in una condizione tale che lo ha condotto alla morte per asfissia. L’ennesimo caso di abuso di potere in un Paese in cui il pregiudizio razziale è una questione ancora aperta e, troppo spesso, conduce a esiti tragici.

Floyd aveva 46 anni, l’agente che gli ha premuto il ginocchio sul collo ne aveva due di meno e non poteva sapere che l’uomo che stava trattenendo non era pericoloso: anzi, era un educatore e un esempio per molti ragazzi, giunto a Minneapolis proprio per seguire “un programma di discepolato che includeva un tirocinio lavorativo”. Floyd «era un cristiano di fede evangelica – rileva Riforma – attivo in un’opera sociale nel quartiere periferico di Houston (Texas), denominato Third Ward (terzo rione), abitato in gran parte dalla comunità afroamericana. Lì era un mentore per molti giovani e chiamato “BigFloyd4God”». “Un uomo di pace”, lo definisce chi collaborava con lui, un esempio per molti ragazzi disorientati, che «più volte aveva testimoniato di voler interrompere il ciclo di violenza che imperversava tra i giovani, impegnandosi in attività di discepolato e sensibilizzazione».

Il presidente Trump di fronte alle proteste – e, forse soprattutto, alle devastazioni di matrice anarchica – ha chiesto ai governatori di applicare la tolleranza zero. Poi si è recato in chiesa a piedi e ha brandito una copia della Bibbia davanti al luogo di culto facendo infuriare i vertici della comunità e servendo su un piatto d’argento la replica a Joe Biden: «sarebbe bello se oltre ad agitare la Bibbia, ogni tanto la aprisse. Leggerebbe che invita ad amarci l’uno con l’altro», ha commentato il suo prossimo avversario alle presidenziali di novembre. La situazione è talmente critica che perfino George Bush jr, silente dalla conclusione della sua presidenza, ha sentito il dovere di esprimersi criticando le mosse del presidente in carica: «siamo angosciati dal brutale strangolamento di George Floyd – ha dichiarato Bush figlio – e siamo amareggiati dall’ingiustizia e dalla paura che strangola il nostro Paese. Abbiamo resistito all’urgenza di parlare, perché non tocca a noi predicare. È il tempo di ascoltare. È il tempo in cui l’America esamini i nostri tragici fallimenti per riconoscere le nostre forze di redenzione».

Giovedì Minneapolis ha salutato la salma di George Floyd nel corso di una partecipata funzione presso la chiesa della North Central University; a predicare nel corso della funzione è stato invitato il pastore newyorkese Al Sharpton, che ha ricordato a Trump una celebre citazione dall’Ecclesiaste (“c’è un tempo per ogni cosa”) e ha invocato un profondo cambiamento sociale. Il feretro – riferisce il Corriere – ha intrapreso poi il viaggio verso Houston, che lo accoglierà con una funzione presso la chiesa The fountain of praise.

foto: riforma.it

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