Brunson, braccio di ferro USA-Turchia

By 7 Agosto 2018Focus

Andrew Brunson continua a essere al centro di un braccio di ferro internazionale: il missionario americano arrestato in Turchia 21 mesi fa si trova tra l’incudine di un’accusa pesante – attività antigovernative, in pratica collusione con i golpisti che a luglio 2016 hanno tentato di rovesciare Erdogan – e i modi spicci di Donald Trump, che la scorsa settimana ha praticamente imposto ad Ankara di liberare Brunson, ricevendo in risposta un sonoro “niet” da Erdogan in persona, che fa la voce grossa affermando di non temere sanzioni USA (e, anzi, minaccia a sua volta ritorsioni).

«Il pastore, che viveva in Turchia da 23 anni – ricorda la Stampa -, è stato arrestato il 7 ottobre 2016 nel corso di una delle epurazioni post-golpe. Si è sempre dichiarato innocente, i suoi testimoni non sono mai stati ascoltati, e lui è stato considerato colpevole sulla base di prove e testimonianze non ben identificate».

Nelle ultime ore Trump è passato ai fatti, mettendo in atto sanzioni nei confronti dei ministri turchi dell’interno e della giustizia – responsabili dell’arresto e della detenzione di Brunson – e l’escalation ha provocato come effetto collaterale il crollo della lira turca (nota di colore: la notizia è stata riportata anche da Tgcom, che utilizza la curiosa formula “pastore cristiano”, mentre La Stampa nel suo titolo adotta il registro cattolico e parla di un “religioso”).

Dopo le sanzioni, riferisce l’Osservatore romano, il ministro del tesoro Berat Albayrak (genero del presidente Erdoğan) ha annunciato che Ankara vuole «risolvere la questione con «diplomazia e sforzi costruttivi appropriati per due Paesi e alleati con una forte storia alle spalle». 

foto: repubblica.it

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