L’uomo nella rete

By 10 Giugno 2010Editoriali

Non ci sono molti dubbi sul fatto che Internet, e la tecnologia in generale, ci stanno cambiando la vita: i tempi si accorciano, le opportunità aumentano, i contatti si estendono, le informazioni si diffondono su scala globale con ritmi e dimensioni impensabili fino ad appena vent’anni fa. Questi sono i “pro”; ci sono, poi, i “contro”, che un articolo sulla Stampa riassume in una domanda angosciata: “Internet ci rende stupidi?”.

Citando lo studioso americano Nicholas Carr, il quotidiano torinese avvisa che «nell’arco di pochi anni saremo tutti superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto o di distinguere una informazione importante da quelle irrilevanti».

Opinione condivisa da “decine di scienziati in tutto il mondo”, secondo cui “l’uso di Internet e degli altri potenti strumenti di comunicazione che teniamo in tasca sta modificando i neuroni del nostro cervello, sempre pronti ad adattarsi a nuove situazioni… sta cambiando non solo il modo con il quale ci informiamo, ma anche quello di pensare e di reagire”.

Il bombardamento di “suoni e segnali” trasmessi dalla vista al cervello rende “sempre più difficile stabilire le priorità”: non possiamo non riconoscere che la ricezione di una mail o di un sms produce una “sensazione di urgenza… facendoci ritardare cose più importanti”.

Lo si può riscontrare anche nell’esperienza quotidiana, interrogandosi su quante volte, di fronte alla novità di un messaggio al cellulare, ci siamo distratti dalla guida. Per chi lavora con il computer questa “urgenza” assume livelli patologici: si arriva a controllare l’arrivo di nuove e-mail ogni due minuti. Insomma, «il Web – spiega Carr – non ci incoraggia mai a fermarci, ci tiene in uno stato continuo di movimento».

Potrebbe anche essere un bene, dato che rispetto al passato siamo in grado di fare più cose contemporaneamente. Il problema è che siamo programmati per un’attività di tipo analogico, completando un lavoro prima di cominciarne uno nuovo, e non per un impegno frammentato come il web impone.

Proprio per venire incontro a queste nuove esigenze, “il cervello si adatta a queste ripetute distrazioni trasformandoci in pensatori superficiali, sempre più incapaci di concentrarci, di leggere un testo lungo o di connettere le informazioni che riceviamo”.

L’immaginifico astrofisico Stephen Hawking vagheggia la nascita di un uomo nuovo; a noi sorge la preoccupazione di capire se questo homo technologicus sia migliore, o almeno non peggiore, del suo predecessore.

L’esperienza della specie umana dimostra che possiamo cambiare entro certi limiti e con certi ritmi; oltrepassandoli si corre il rischio di collassare. La frenesia del nuovo rischia di attirare la nostra attenzione sulla forma più che sulla sostanza, sull’immagine invece che sulla realtà. Catturati dall’effimero bagliore di un monitor rischiamo di perdere di vista affetti, valori, scopi, riducendo l’uomo nuovo a una pallida copia di ciò per cui è stato creato.

Se così fosse, l’uomo nuovo plasmato dalla tecnologia non sarebbe necessariamente più stupido. Ma sicuramente sarebbe un uomo meno felice.

biblicamente – uno sguardo cristiano sull’attualità

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