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   Autore  Topic: FILIPPESI 2,6  (letto 677 volte)
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Neve Shalom Wahat al-Salam

   
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FILIPPESI 2,6
« Data del Post: 03.07.2012 alle ore 21:24:00 »
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 Circa il termine harpagmos, anche se in quanto tale vuol dire <<furto>>, <<rapina>>, in senso attivo (vedi punto 7), praticamente equivale ad harpagma, con l’accezione passiva di <refurtiva o bottino>> ( punto otto).
 
  Di fatto, non si può sostenere che Cristo considerasse un atto di rapina da compiere l’essere pari a Dio, mentre ha senso asserire che non ritenesse tale condizione come possesso geloso o, per estensione, come tesoro da custodire (punto 9).
 
  A sua volta il sostantivo può essere spiegato secondo due orientamenti,: quello di una res rapta (rapina commessa) oppure una res rapienda (rapina da realizzare).
 
Nel PRIMO caso Cristo non si avvantaggiò di un bene che era già proprio; nel SECONDO, di qualcosa che non aveva ancora ottenuto, ma che non preferì usurpare.
   
Il primo orientamento è quello più confacente al contesto di Fil 2, 1-4, in cui con il verbo hègeisthai, Paolo esorta i destinatari a stimarsi a vicenda con umiltà.
I paralleli più prossimi si riscontrano in 2Cor 8,9 e in Rom 15,3 dove si afferma che Cristo <<si fece povero, pur essendo ricco, affinchè voi foste arricchiti della sua povertà>> e che <<no piacque a se stesso>>.
  D’altro canto la tentazione o l’aspirazione di Gesù nel considerare l’uguaglianza divina come rapina da compiere verso Dio non appartiene alla cristologia Paolina, né a quella neotestamentaria.
 
  Per questo anche se alcuni, pochi, studiosi preferiscono non escludere del tutto l’orizzonte della res rapienda, giungendo a considerare l’espressione come res retinenda (realtà da conservare) dal versante della cristologia paolina l’accezione non trova riscontri, a  meno che non si ricorra all’originalità del paragrafo per conservare i due percorsi del sostantivo harpagmos.
 
  Data la complessità dell’espressione, alcuni pensano alla funzione idiomatica del sintagma harpagmon hègheisthai da rendere con <<considerare qualche come occasione da cui trarre vantaggio di cui approfittare>>(così nella traduzione di Fabris con il contributo di R. W. Hoover e di N.T. Wright).
La carenza di paralleli lessicali per l’accezione idiomatica dell’epressione, prima di Fil 2,6b, rende poco sostenibile l’ipotesi.
 
  Pertanto la maggioranza degli studiosi, preferisce conservare il significato di res rapta o di relatà già in possesso di Cristo, di cui avrebbe potuto trarre vantaggio, ma non approfittò .
 
  L’orientamento è confermato dall’infinitiva che chiude Fil 2,6 in cui Cristo Gesù è riconosciuto per il suo essere alla pari di Dio.
La proposizione infinitiva è introdotta, anzitutto, dall’articolo to che non sembra assumere funzione anaforica rispetto all’essere di Cristo <<nella forma di Dio>>, bensì aggiunge un ulteriore elemento al suo rapporto con Dio.
Di fatto nel primo caso, l’attenzione si concentra sulla condizione di Cristo nella forma divina, nel secondo sul suo essere alla pari di Dio.
 
Ho letto da qualche parte  Vago che viene citato il GLNT a sostegno della propria dottrina.
 
Bene il GLNT afferma 2 cose su Gesù fondamentali:
 
A : <<Non c’è dubbio che per Giovanni, Gesù è al tempo stesso il Figlio totalmente sottoposto al Padre, e proprio in quanto tale anche totalmente “uno” con Lui (10,30; 1,1), del tutto uguale a lui (cfr inoltre 10,33, dove il rimprovro è ancora più drastico, <<mentre sei uomo tu fai te stesso Dio>>Occhiolino.
 
In Giov 5,18 non indica accostamento né identità, bensì uguaglianza di dignità, di volontà e di natura, ossia proprio ciò che più tardi si volle salvaguardare……..ossia uguaglianza di natura e perfezione di tale uguaglianza – GLNT IV pag. 1093;
 
B: sulla morphè di Cristo, si ha in Fil 2,6 la rinuncia di Gesù preesistente si è espressa in una morphè che era in assoluta contrapposizione alla morphè precedente.
Così anche <<nella forma di Dio>>, espressione coniata da Paolo in aperta antitesi a <<froma di schiavo>>, va intesa alla luce del contesto.
 
  La foggia in cui si è mostrato colui che si è fatto uomo, l’immagine dell’umanità e della obbedienza, sta nel più acuto contrasto con la forma che egli aveva prima, cioè con l’immagine della divina maestà sovrana (Calvino), che il Cristo glorioso tornerà ad assumere in mod ancora più splendente, in qualità di Kyrios, come è accennato nella conclusione dell’inno di Filippesi (v. 10).
 
  L’umanità di Gesù aveva nella <<forma di schiavo>> la sua caratteristica particolare; la sua sostanziale parità con Dio (vedi collegamento alla lettera A) l’aveva nella <<forma di Dio>>.
GLNT – VII, pag 504-505.    
 
[7]: la valenza attiva è sostenuta da pochissimi studiosi, cfr. Moule, W.W. Gasque – R.P. Martin;
 
[8]: cfr. per la LXX -  
Lv 6,4; Gb 29,17; Sal 61,10; Is 42,22; Ez 18,7.12.18;; 19,3.6; 22,25.27.29; 33,15.  
Per il greco profano, Eschine – Contro Ctesifonte 222,1: <<ma quale lasso di tempo potrebbe occultare i tuoi furti (harpagma) sulle triremi e sui trierarchi?>>.
 
[9]: R. Penna, la lettera ai filippesi, p. 48;
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