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andreiu
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Gesù è la mia vita

   
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1 Ti 2:15
« Data del Post: 31.05.2006 alle ore 14:28:21 »
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Ultimamente ho visto il testo originale di questo passo e so che è stato dibattuto nel forum.
Do un mio contributo linguistico:
greco: "sôthêsetai de dia tês teknogonias, ean meinôsin en pistei kai agapêi kai hagiasmôi meta sôfrosunês". La parte che ho sottolineato in neretto, che poi tra l'altro sarebbe la parte controversa, sarebbe letteralmente intesa in vari modi. Infatti posso tradurre:
 
"sarà salvata attraverso la gravidanza", oppure si può intendere la preposizione "dia" con significato temporale traducendo perciò "sarà salvata durante o lungo la gravidanza" Un esempio lo possiamo vedere in Lu 5:5 dove troviamo l'espressione "dia nuktos", ovvero "durante la notte" o "per tutta la notte", intenso in senso temporale.
 
« Ultima modifica: 31.05.2006 alle ore 14:29:25 by andreiu » Loggato

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Re: 1 Ti 2:15
« Rispondi #1 Data del Post: 13.09.2014 alle ore 15:00:14 »
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Una chiave di lettura che parte da qualche versetto prima.
 
1Ti 2:8  Io voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira e senza dispute.  
1Ti 2:9  Allo stesso modo, le donne si vestano in modo decoroso, con pudore e modestia: non di trecce e d'oro o di perle o di vesti lussuose,  
1Ti 2:10  ma di opere buone, come si addice a donne che fanno professione di pietà.  
1Ti 2:11  La donna impari in silenzio, in ogni sottomissione.  
1Ti 2:12  Ma non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sull'uomo, ma stia in silenzio.  
1Ti 2:13  Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva;  
1Ti 2:14  e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione;  
1Ti 2:15  tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia.
 
La parte iniziale del capitolo si occupa della preghiera in ambito congregazionale. Con il v. 8 Paolo arriva ad una conclusione (οὖν, congiunzione coordinante conclusiva) del ragionamento sul da farsi per quanto riguarda gli uomini.
Passa poi alle donne al v. 9, mediante ὡσαύτως (“allo stesso modo”). Come egli vuole che gli uomini preghino, così egli vuole che le donne si adornino (κοσμεῖν ἑαυτάςOcchiolino in un determinato modo.  ὡσαύτως è spesso usato in Paolo, e in particolare nelle epistole pastorali, come un termine di transizione, piuttosto debole, che unisca vari tipi di indicazioni. Siamo comunque, anche per quanto riguarda le donne, all'interno del contesto di culto comunitario.
Il soggetto della discussione ai vv.11-15 è la donna (γυνὴ ), opposta ai precedenti uomini (τοὺς ἄνδρας ) e non meramente la “moglie” opposta ai “mariti”, giacché ai vv. 8-9 Paolo si riferisce alle categorie di uomini e donne, e non è suo desiderio che solo i mariti preghino e solo le mogli si adornino in un determinato modo, ma tutti gli uomini e tutte le donne. I credenti sono qui presentati non come membri di famiglia, ma come adoratori. Inoltre al v. 12 ci sarebbe stato un aggettivo possessivo dopo ἀνδρός nel caso si fosse trattato di marito (pertanto ho cambiato la traduzione fornita – la NR – che inspiegabilmente traduce al v.8 come “uomini” e al v. 12 come “marito” lo stesso termine).  
Paolo ordina che la donna impari e ne specifica le modalità: ἐν ἡσυχίᾳ (in silenzio) e ἐν πάσῃ ὑποταγῇ (con ogni sottomissione).  
Il primo termine non può essere tradotto “in tranquillità”, poiché poco conforme al contesto – anche oggi se un professore parla l'allievo sta in silenzio, non in tranquillità. Il secondo termine si aggiunge al primo, specificando la sottomissione all'uomo. È un passo estremamente simile a quello di 1 Cor. 14:33b-35, dove Paolo porta avanti lo stesso ragionamento con le stesse modalità e strutture: silenzio nella chiesa – sottomissione – motivazione teologica tratta dall'Antico Testamento. Ma la sottomissione non è solo all'uomo, ma soprattutto alle autorità della chiesa di Efeso, adibite al mantenimento della sana dottrina in un contesto dove la falsa dottrina portava molti alla perdizione. Non c'è ragione di escludere una delle due, il v. 11 indica una sottomissione all'autorità che insegna, il v. 12 all'uomo. Questo tessuto di correlazioni è ben strutturato da Paolo:
 
A γυνὴ ἐν ἡσυχίᾳ (donna in silenzio)
B μανθανέτω  (impari)
C ἐν πάσῃ ὑποταγῇ (in ogni sottomissione)
B γυναικὶ δὲ διδάσκειν οὐκ ἐπιτρέπω, οὐδὲ αὐθεντεῖν ἀνδρός (ma non permetto alla donna di insegnare, né di usare autorità sull'uomo)
A ἀλλ᾿ εἶναι ἐν ἡσυχίᾳ (ma essere in silenzio)
 
Agli estremi c'è lo stare in silenzio, ai punti B il come agire/non agire, al centro di tutto la sottomissione.
Nel passaggio dal v. 11 al v. 12 c'è una dolce avversativa con il δὲ: ovviamente se deve stare in silenzio, non può né insegnare, né usare autorità. Paolo usa poi ἐπιτρέπω (permetto), termine che altrove Paolo usa con Dio come soggetto, e che non può assolutamente essere ridotto ad un'opinione personale dell'apostolo. Il tempo è al presente, ma non deve far pensare che sia una necessità del momento, un'indicazione senza futuro e rivolta solo alle donne della chiesa in questione. È piuttosto un presente gnomico, come lo sono quelli ai vv. 1 (παρακαλῶOcchiolino e 8 (βούλομαιOcchiolino.
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Re: 1 Ti 2:15
« Rispondi #2 Data del Post: 13.09.2014 alle ore 15:01:42 »
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Due sono le attività proibite alle donne, strettamente correlate fra di loro: διδάσκειν e αὐθεντεῖν.  L'insegnamento è spesso elencato da Paolo nelle liste di doni date alla chiesa (1 Cor. 12:28-29; Ef. 4:11; Rom. 12:7), e lui stesso lo possedeva (1 Cor. 4:17; 1 Tim. 2:7; 2 Tim. 1:11), come pure Timoteo (1 Tim. 4:11-16). L'insegnante era colui che trasmetteva la tradizione su Cristo (Gal. 1:12). Questa tradizione passava alle chiese, e ad essa dovevano attenersi. È un tema molto sentito nelle epistole pastorali, a motivo dei falsi insegnamenti che serpeggiavano. L'insegnamento è un'attività di grande autorità, esercitata da singoli individui ben determinati (nelle pastorali gli anziani-vescovi: 1 Tim. 3:2; 5:17; Tito 1:9). L'insegnamento in Paolo va di pari passo con l'esortare, l'ammonire, il proclamare, il comandare, in poche parole con il dirigere in uno o più modi. L'insegnamento è la trasmissione della tradizione du Gesù e la proclamazione autoritaria del volere di Dio alla luce di quella tradizione.
Il verbo αὐθεντεῖν (usare autorità), non è di immediata comprensione. È un hapax (cioè compare solo qui). Il termine è raro prima del III secolo, e altri termini della stessa radice non facilitano le cose. Άυθέντης è un termine usato nei secoli V-III a.C. con il significato si “assassino” (cfr. Euripide, Tucidide, Erodoto, Apollonio Rodio), significato usato anche nella Sapienza di Salomone (12:6). Più tardi, con Polibio, Giuseppe Flavio, Diodoro Sisedere, il significato passa a significare “autore”, “esecutore”. In seguito ancora abbiamo “padrone” (in realtà già presente nelle Supplici di Euripide, se non emendiamo il testo). Il sostantivo αὐθεντία e l'aggettivo αὐθεντικός sono attestati all'inizio del I sec. d.C., e stanno a significare, rispettivamente, “autorità”, “restrizione” e “autoritario”, “autentico” (l'aggettivo compare, per esempio, in P. Oxy. 260.20 e in II Clem. 14:3). Il verbo è poi usato in età patristica, e vuol dire “avere autorità”, “agire con autorità”, significato attribuibile ad una delle due ricorrenze pre-cristiane del termine, nella Retorica di Filodemo. L'altra ricorrenza è in una lettera su papiro datata al 27 a.C., dove il termine sembra significare “auto-assicurato”. Nel II sec. d.C. Tolomeo usa il termine con il significato di “dominare”, “avere autorità”. È comunque un verbo che sembra avere origine popolare, perché è condannato dal lessicografo Meride (come il sostantivo era condannato da Frinico), in ambito atticizzante.
È abbastanza certo che αὐθεντεῖν in Timoteo significhi proprio “avere autorità”: è attestato in una delle due ricorrenze pre-cristiane (la Retorica di Filodemo), nel II sec. d.C., e nei Padri della Chiesa. Ormai nel periodo ellenistico aveva assunto quel significato, a prescindere dall'etimologia del termine.
Qual è la relazione che sussiste tra διδάσκειν e αὐθεντεῖν? Paolo altrove (Tito 2:3-4) incoraggia le donne più anziane a insegnare alle più giovani, quindi la sua non è una proibizione assoluta. L'utilizzo di ἐν πάσῃ ὑποταγῇ (in ogni sottomissione), e lo stretto parallelo con 1 Cor. 13:33b-34 (dove le donne devono tacere e stare in sottomissione), fanno comprendere come il tutto vada riferito al rapporto uomo-donna nella chiesa. La seconda proibizione è la base per la prima: le donne non possono insegnare in chiesa, perché questo implicherebbe usare autorità sull'uomo, violando il principio della sottomissione. Tuttavia sono anche proibizioni separato, poiché in mezzo c'è οὐδὲ (né): è illecito vedere il v. 12 come se proibisse solo l'insegnamento in cui la donna dà ordini all'uomo. Insegnare è per natura un atto di autorità.
Tutto ciò è motivato da Paolo ai vv. 13-14, introdotti da un γὰρ (infatti) che spieghi quanto appena enunciato.
Paolo attinge da Genesi 2, chiaramente, dicendo che Adamo fu plasmato (ἐπλάσθη, stesso verbo usato dalla LXX) per primo, poi Eva (πρῶτος..εἶταOcchiolino. Sta affermando che, in accordo con pensiero ebraico e con pensiero greco, che la priorità cronologica implica autorità. Un testo parallelo a questo, 1 Cor. 11:8-9, ci mostra come (motivando il fatto che la “donna è la gloria dell'uomo”) non è l'uomo ad essere creato dalla donna, ma la donna dall'uomo. Il quadro generale è dipinto da Paolo attingendo sempre a Genesi 2, e si comprende come in un contesto di culto e adorazione il ruolo della donna deve essere di subordinazione e aiuto convenevole, in base ai decreti di Dio nella creazione.
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Re: 1 Ti 2:15
« Rispondi #3 Data del Post: 13.09.2014 alle ore 15:02:54 »
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Nel v.14 Paolo è molto attento nella scelta dei termini. Usa ἠπατήθη e ἐξαπατηθεῖσα, come Eva dichiara in Gen. 3 (ἠπάτησένOcchiolino. È sull'inganno che Paolo si focalizza. Per capire il versetto bisogna tenere conto di questo, e del fatto che esso è una motivazione dei vv. 11 e 12. Anticipando la conclusione, Paolo ritiene il fallimento di Eva, il suo essere ingannata, come motivazione dei vv. precedenti, e perciò la donna è impedita dall'insegnare, perché suscettibile all'inganno. Inoltre, ciò è di continua applicazione, poiché il verbo usato è al perfetto (γέγονεOcchiolino, il che vuol dire che l'essere in trasgressione non è un episodio istantaneo e conclusosi nel passato. Gli effetti dell'inganno perdurano ancora. Ovviamente tutto ciò non vuol dire che Adamo sia esente da colpe, semplicemente qui si sta parlando della donna all'interno di un preciso ragionamento, mentre di Adamo Paolo parla altrove. Paolo afferma, per dare credito a quanto detto ai vv.11-12, che c'è un ordine di subordinazione nella creazione, il quale, se sorpassato, porta al disastro. E ci sono attività da cui la donna è esclusa.
Il v. 15 è stato interpretato in una marea di modi, che non ripercorrerò. In esso si afferma che non è attraverso l'insegnamento o atti di autorità che la donna cristiana è salvata, bensì attraverso la sua condotta fedele al proprio ruolo, esemplificato nella maternità. È un motivo che ricorre spesso nelle pastorali: le donne devono dedicarsi alla casa e ai figli, di contro alle false dottrine che impedivano il matrimonio e denigravano tutte quelle virtù femminli lodate da Paolo. La maternità è una di quelle buone opere (v. 10) mediante le quali la donna preserva il proprio ruolo all'interno dello schema salvifico, al contrario di coloro che si erano sviate per seguire Satana (1 Tim. 5:13). Allo stesso modo Paolo ammonisce Timoteo in 4:16 affinché vegli sulla sua vita e sulla dottrina, perseverando in esse “poiché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.” Ci tengo a sottolinearlo, non è salvezza per opere, ma è perseveranza nello schema salvifico di Dio mediante l'adempimento della volontà di Dio. Ovviamente non vuol dire che tutte le donne devono partorire e chi non lo fa è dannata. È un'esemplificazione per eccellenza del ruolo della donna, cui si devono però accompagnare il resto delle virtù quali fede, amore, santificazione con modestia. Ed è proprio con σωφροσύνη (temperanza) che il passo si conclude, come era iniziato al v. 9. È la qualità massima individuata da Paolo per una donna.
I vv. 11-12 sono quello che Paolo si aspetta da una donna cristiana all'interno di un contesto di culto. L'imparare in silenzio, la sottomissione, il non prendere iniziativa nell'insegnare e nell'usare autorità è una buona opera, in accordo con il decreto creativo di Dio nella relazione tra uomo e donna e in accordo con la natura della donna mostrata nell'inganno del serpente. Mantenere il proprio ruolo le permetterà di perseverare nello schema salvifico di Dio e di ottenere la salvezza escatologica promessa.
« Ultima modifica: 13.09.2014 alle ore 16:18:11 by Amenachos » Loggato
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