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   Autore  Topic: Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo quale segu  (letto 16447 volte)
Sandro_48
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #195 Data del Post: 03.12.2014 alle ore 23:02:54 »
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Vorrei scusarmi:
è da luglio che ho sacrificato le vacanze per l'esame di teologia sistematica che dovrei dare mercoledi 21 gennaio 2015 a Roma.
Questa materia d'esame è indispensabile perchè fornisce le basi dottrinali della piena divinità di Gesù Cristo, cioè spiega, in termini non biblici , perchè  Gesù Cristo = Dio.  
Ecco perchè noi valdesi non chiediamo a chi ci legge di credere alla inerranza biblica, nè che la bibbia sia Parola di Dio. Uno può anche essere ateo, ma dopo questi infiniti ragionamenti, se li ha seguiti,  non può fare altro che accettare  che Gesù = Dio.
 
Ma sono talmente saturo di Teologia sistematica, che in questo momento non mi riesce di aggiungere nulla.  
 
Sandro_48
« Ultima modifica: 03.12.2014 alle ore 23:18:13 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #196 Data del Post: 04.12.2014 alle ore 13:50:48 »
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Una cosa , una cosa sola ho il dovere morale di dire di fronte a Ebraismo e Islam: la chiesa del terzo-quinto secolo dopo Cristo  
HA MODIFICATO IL CONCETTO DI UNITà DEL DIO UNICO !!!

Nicea dichiara Gesù Cristo : "generato unigenito del Padre, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non fatto, consustanziale con il Padre, per mezzo del quale tutte le cose furono originate, quelle del cielo e quelle della terra". IL Concilio di Nicea ritiene che non sia possibile alcuna mediazione nei confronti dell'Arianesimo. Dichiarando Gesù Cristo consustanziale al Padre, afferma una radicale comunione ontologica (= dell'Essere) di Gesù col Padre. CON CIò LA chiesa SCEGLIE, NIENTEMENO, DI MODIFICARE IN PROFONDITà  L' IDEA DI MONOTEISMO :  CERTAMENTE DIO è UNO, MA IL PROBLEMA DELLE TRE PERSONE, VA PENSATO COME UNA DIFFERENZA ALL'INTERNO DEL DIO UNO.
 
è come se dicesse la chiesa : La Trinità è una Differenziazione all'interno del Dio Uno.
« Ultima modifica: 04.12.2014 alle ore 14:19:52 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #197 Data del Post: 04.12.2014 alle ore 14:28:46 »
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Peterson ha mostrato che il rigido monoteismo ariano sia di fatto organico a una concezione politica monarchica e piramidale; al contrario, la prospettiva comunionale di una unità differenziata in Dio, che la chiesa svilupperà lungo le linee indicate a Nicea, desacralizza l'ideologia imperiale, aprendo la  strada a prospettive politiche (ma anche ecclesiologiche) meno verticistiche e più partecipative. Si tratta di spunti che, sulla scia di J. Moltmann la teologia sistematica recente ha largamente valorizzato.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #198 Data del Post: 04.12.2014 alle ore 21:17:12 »
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Calcedonia
La posizione di Ario, oltre alle difficoltà affrontate a Nicea, ne presenta un'altra, non collegata alla problematica trinitaria, ma più direttamente cristologica. Essa riguarda l'unione tra Dio e l'uomo in Gesù Cristo. Ario è tra coloro che adottano un modello derivato dall'antropologia: l'unione tra il Logos e l'uomo Gesù va compresa in analogia a quella tra l'anima e il corpo, secondo quello che viene indicato come lo schema Logos-sarx(carne). IL Logos  è la componente spirituale di Gesù Cristo, la quale entra nell'incarnazione, in un corpo umano. Ciò significa che a Cristo non viene riconosciuta un'anima umana: solo la "carne" è umana e in luogo dell'anima umana di Gesù, secondo Ario, è presente e agisce il Verbo di Dio. E' evidente che in tal modo, l'umanità di Cristo viene radicalmente depotenziata. La carne di Gesù è umana, ma la sua "psicologia", come si esprime la tradizione, è divina: Gesù , cioè, vive la realtà, per così dire,  
"dal punto di vista di Dio". Da un lato, dunque, la concezione Ariana del Logos, come entità creata, mutila la divinità di Cristo;  
dall'altro, la comprensione dell'unità del Verbo e dell'elemento umano, riduce la portata di quest'ultimo. E' all'opera il pregiudizio greco relativo alla separazione tra Dio e mondo, tra spirituale e materiale, tra eternità e storia. Nicea non condanna questo aspetto della cristologia ariana, perchè il dibattito è concentrato altrove e perchè non sono ancora evidenti le implicazioni di questo punto; inoltre nel dibattito successivo lo schema  "Logos-sarx avrà tra i suoi sostenitori, tanto teologi ariani, quanto altri, fautori dell'ortodossia Nicena.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #199 Data del Post: 04.12.2014 alle ore 21:39:58 »
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La scuola di Antiochia, da parte sua, sviluppa la tesi alternativa, in base alla quale il Logos si incarna in Gesù , inteso come essere  umano completo, corpo e anima: il cosiddetto schema Logos - antrophos. Qui si tenta di valorizzare fino in fondo l'umanità di Gesù, come realtà integrale che Dio coinvolge nella propria azione.
IL modello Logos - sarx è invece alla base della posizione di Apollinare di Laodicea, un seguace delle tesi di Nicea, il quale però attribuisce a Gesù un corpo umano e uno spirito (nous o pneuma) identificato con il Logos.
Proposte alternative sviluppano i teologi Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzio, che sostengono l'idea di un'anima umana in Cristo e articolano la cristologia intorno al concetto  di " fusione" e "commistione": in tale prospettiva, l'umanità di Gesù non viene amputata, ma penetrata dalla divinità e divinizzata essa stessa.
Benchè l' Apollinarismo venga condannato nel 377, il vescovo di Laodicea non viene sollevato dal suo ministero. In realtà la prospettiva Apollinarista non solo non muore, ma si ripresenterà ben presto con forza rinnovata.
« Ultima modifica: 04.12.2014 alle ore 21:45:24 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #200 Data del Post: 04.12.2014 alle ore 22:13:38 »
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Prima,  però, occorre ricordare un altro scontro cristologico, associato alla figura del vescovo di Costantinopoli  Nestorio, teologicamente di formazione Antiochena. Il pomo della discordia riguarda , a tutta prima, Maria: è legittimo definirla "Madre di Dio"
(theotokos, oppure occorre qualificarla più sobriamente  
"Madre dell'uomo" (anthropotokos) ? La questione in realtà non è mariologica, bensì cristologica, si tratta cioè di stabilire  
se quanto si afferma di Gesù in quanto uomo (in questo caso il suo essere figlio di Maria) possa essere attribuito o meno  
al Verbo eterno: è il tema che più tardi verrà definito in termini tecnici teologici "comunicazione delle proprietà" o
( communicatio idiomatum). Nestorio tenta dapprima di risolvere la questione adottando una terza possibilità:
Maria è Christotokos, "madre di Cristo".
IL fatto però che Nestorio eviti di parlare di "Madre di Dio" scatena una reazione veemente tra gli Ortodossi e il dibattito assume proporzioni considerevoli.  
Si giunge così al Concilio di Efeso nel 431 con la condanna della formulazione di Nestorio.
In ogni caso la decisione di Efeso è importante in quanto sottolinea  la dimensione dell'unità in Gesù Cristo:
IL Verbo di Dio = Logos, e l'uomo Gesù, possono e devono essere distinti, ma in Gesù Cristo esistono in una unità concreta.
Si tratta di una acquisizione, che verrà debitamente valororizzata e calibrata nel dogma di Calcedonia.
« Ultima modifica: 04.12.2014 alle ore 22:37:35 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #201 Data del Post: 05.12.2014 alle ore 09:55:09 »
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La discussione sulla umanità di Dio non si era sopita. Una posizione Apollinarista estrema è sostenuta dal monaco Eustiche di Costantinopoli. E' la fase matura e virulenta del "monofisismo", la tesi che sostiene che in Cristo l'elemento divino prevalga nel senso di assorbire quello umano, il quale sarebbe come una goccia nel mare della divinità. La decisione del Concilio di Efeso è qui interpretata in termini unilaterali, che la chiesa considererà fuorvianti. Ciò che sta a cuore al concilio efesino è l'unità della persona di Cristo, e quindi secondo il Concilio di Efeso, la tesi monofisita smarrisce la forza della affermazione biblica della piena umanità del Salvatore. L'azione congiunta del vescovo di Roma, Leone Magno, e del potere imperiale, conducono alla convocazione di un nuovo Concilio a Calcedonia nel 451: ruolo teologico decisivo è svolto nelle tesi esposte da Leone Magno, nel cosiddetto Tomus Leonis:
Leone afferma con chiarezza il nucleo di quella che sarà la dottrina Calcedonese: " Infatti, sebbene nel Signore Gesù Cristo unica sia la persona di Dio e dell'uomo, tuttavia è cosa diversa donde derivi che in ambedue sia l'ignominia e donde derivi  che sia comune la gloria. Dalla nostra natura egli infatti ha l'umanità inferiore al Padre, dal Padre ha la divinità eguale al Padre". IL Concilio si muove esattamente in questa linea nella definizione del dogma delle " due nature":
Seguendo i santi padri, all'umanità noi insegniamo a confessare uno solo e Medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo (ripresa dall'affermazione del concilio di Efeso del 431)
perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, di anima razionale e corpo, consustanziale al Padre nella Divinità (Nicea] e consustanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorchè nel peccato(cfr. lettera agli Ebrei 4,15) generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e Madre di Dio (ancora Efeso) secondo l'umanità,
uno e medesimo, Cristo Signore unigenito, da riconoscersi in due nature * en duo fusin*, IN MODO NON CONFUSO, IMMUTABILE,  INDIVISO,  INSEPARABILE;  non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona (o ipostasi); egli non è diviso e separato in due persone, ma è unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, Logos e Signore Gesù Cristo, e infine come ci ha trasmesso il simbolo dei padri (il Niceno - Costantinopolitano) "
.
« Ultima modifica: 05.12.2014 alle ore 10:28:52 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #202 Data del Post: 05.12.2014 alle ore 10:44:45 »
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Calcedonia dunque approfondisce l'impiego cristologico della terminologia elaborata a proposito della Trinità, con la sua distinzione tra sostanza o natura *ousia* e persona o *ipostasi*. IL Concilio di Calcedonia afferma che la *ipostasi* di Gesù Cristo è una e una soltanto; si è giustamente affermato che. a rigore, la definizione non dice che tale *ipostasi* sia quella del Logos; è però in forza dell'unicità della persona che quello confessato dalla fede è  "un unico e medesimo Figlio, unigenito, Logos e Signore Gesù Cristo":  l'identificazione  è dunque chiaramente indicata dal contesto. L'  *ipostasi* del Logos assume in Gesù , la natura umana, mantenendo il proprio essere Dio.
Una  *ipostasi* o Persona, (dunque), e due nature.
« Ultima modifica: 05.12.2014 alle ore 11:01:28 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #203 Data del Post: 05.12.2014 alle ore 11:17:26 »
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I concili, la Scrittura e la fede della chiesa oggi
 
   ... tra poco arriviamo a Karl Barth e concludiamo...
 
però è più facile studiare Ebraico Biblico che l'umanità di Dio secondo Karl Barth, che se tutto va bene sarà pronta per Natale.
 
presto avrete il testo agognato pseudodefinitivo (salvo chiarimenti ) di questo travagliato cammino incominciato a Luglio 2014.
27.12.2014 - ore 23,00 - Sandro_48
« Ultima modifica: 29.12.2014 alle ore 17:53:14 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #204 Data del Post: 29.12.2014 alle ore 17:20:47 »
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l'UMANITà DI DIO secondo KARL BARTH
Post aggiunto da Sandro il 23 dicembre 2014 alle 7:43 in Breve Relazione del Cap.9 Libertà di Credere
Dissertazione conclusiva scritta dal mio Tutor , il Teologo Dottore in Teologia Luciano Tallarico, conosciuto, provvidenzialmente, al mare  durante le vacanze estive alla Casa Valdese di Vallecrosia, nell'Agosto 2014 - Sandro Prada. -
 
La cristologia di Karl Barth può essere caratterizzata correttamente come una reazione alla tradizione liberale alla cui testa stava Schleiermacher, e il contrasto di quest'ultimo dunque fa parte del tessuto stesso del suo pensiero. Le differenze fra i due teologi sono visibili, più che in ogni altro punto, nell'inversione dell'ordine degli argomenti, che in Barth si susseguono così: trinità, cristologia, soteriologia.
 
E' difficile caratterizzare il metodo teologico barthiano perchè Barth non ha un metodo nel senso formale di un principio ermeneutico applicato alla tradizione per veicolare il contenuto della rivelazione.
Barth non ha alcuna fiducia nei metodi per veicolare il contenuto del Verbo di Dio (cioè il Logos),  
 
ma al contrario fornisce dei commenti alla Bibbia, perlomeno in senso lato; egli cioè espone,  
 
adoperando fonti tradizionali, il contenuto che la Bibbia dà della rivelazione di Dio.
 
La Teologia è la disciplina intraecclesiastica di riflessione sulla Parola di Dio(=Logos) che si trova nella Bibbia , e non deve rispondere a nessun'altra disciplina o scienza umana. Non è possibile spingere in alcuna direzione interpretativa il contenuto della Bibbia, tranne che per mezzo della Bibbia stessa.
 
Alcune delle caratteristiche che definiscono il suo stile di esposizione teologica ci aiuteranno a far luce  sul contrasto con Schleiermacher. La Teologia di Barth è teocentrica, ovvero è basata sul Verbo di Dio, ovvero sulla parola oggettiva di Dio rivolta a noi. Questo  Verbo/Parola rivela la prospettiva di Dio sulle cose e non esiste appello all'esperienza umana come se questa potesse costituire una base positiva per comprendere il rivelarsi di Dio.
 
La Teologia di Barth è ecclesiocentrica e non è un'apologia, nel senso che non fa alcun sforzo di mediazione tra il Verbo di Dio e la cultura umana. Questa teologia scende dall'alto, dall'autorità della Bibbia e del Verbo di Dio; è il Verbo/Parola di Dio che si indirizza a noi, non noi che lo scopriamo.
La Teologia di Barth  è cristocentrica : Gesù Cristo è il centro assoluto della storia, e non c'è alcuna conoscenza autentica di Dio indipendentemente da Gesù Cristo.
 
La Teologia di Barth è supernaturalistica, e infatti egli non fa quasi alcuno sforzo esplicito per demitoligizzare il linguaggio scritturale o classico, anche quando lo interpreta con delle sfumature. Dio scende dall'alto e penetra la condizione umana come un giudizio duro e netto, che costituisce il primo momento della salvezza.
 
La Teologia di Barth è una teologia dell'annuncio, ovvero non è altro che una prosecuzione della predicazione e una riflessione sul Verbo/Parola di Dio predicato. La Teologia di Barth è espositiva, si può leggere come mera asserzione, e le spiegazioni sono ridotte al minimo  
 
perchè la ragione umana ha la tendenza a distorcere la Parola di Dio che viene indirizzata all'esistenza umana. Dio nella concezione barthiana si contrappone all'esistenza umana e dà alla sua teologia un continuo tono di paradosso. La sua teologia dunque è profondamente profetica e controculturale.  Anche solo al livello delle presupposizioni fondanti e della visione generale, Barth rappresenta un altro mondo teologico, del tutto diverso rispetto a quello di Scleiermacher. La questione della persona di Cristo, il problema cristologico in senso stretto e formale, quello della divinità e dell'umanità di Gesù, nella cristologia discendente di Barth è logicamente precedente a tutto. Chi è Gesù Cristo? E' l'essere umano che è anche Dio. La dottrina delle due nature è un dato, e definisce il mistero di Cristo. Porre maggiore enfasi su uno dei due lati distruggerebbe il mistero. Barth fornisce una spiegazione della divinità e della umanità di Gesù per mezzo di una estesa esegesi di Giovanni 1, 14,  "il VERBO SI FECE CARNE in tre parti: il VERBO si fece carne, il Verbo si fece CARNE, il Verbo  SI FECE carne".
 
Era il Verbo che divenne carne. E' il Logos che diventa carne e non Dio in senso indiscriminato. IL Logos è l'intera pienezza della divinità e Barth dice chiaramente che il Verbo Divino è il soggetto, l'attore, nella persona di Gesù Cristo. IL Verbo parla, IL verbo agisce, IL Verbo prevale, IL Verbo prevale, IL Verbo riconcilia. Davvero egli è il Verbo incarnato, cioè IL Verbo che non è senza la carne ma solo nella carne, e tuttavia è il Verbo e non la carne. IL Verbo è ciò che Egli è anche prima e indipendentemente dall'essere carne.
 
Era carne ciò che il Verbo divenne, dove "carne" significa la natura umana, l'umanità nella sua interezza, inclusa la condizione di peccato. Barth è assai realistico nel descrivere Gesù Cristo come umano, come  "un uomo", "un essere umano", ma è anche piuttosto sottile. Dobbiamo notare che di per sè e primariamente  "carne" non implica un uomo, ma l'essenza e l'esistenza umana, la specie e la natura umana, la qualità dell'umanità cioè l'humanitas, ciò che rende un individuo uomo in distinzione da Dio, dall'angelo, dall'animale. Ciò che Barth vuole dire è che Gesù non è un essere umano individuale distinto dal Logos/Verbo. Anzi, l'essere umano Gesù, quest'uomo, è esso stesso opera del Verbo, non il suo presupposto. Dio stesso in persona è il soggetto dell'essere e dell'agire di un uomo reale. E proprio perchè Dio ne è il soggetto, questo essere e questo agire sono reali.
 
IL significato  di "si fece" o " fu fatto uomo" non va  interpretato, secondo Barth,  come se comportasse una passività in Dio, il quale piuttosto assume natura umana in modo che il Verbo sia il soggetto e il substrato  di questa natura umana.  
Barth propone una classica unione  "en-ipostatica" cioè la natura umana di Gesù Cristo non ha personalità o esistenza propria, ma sussiste nella persona del Verbo ed esiste a causa della potenza del Verbo.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #205 Data del Post: 29.12.2014 alle ore 17:30:28 »
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In questo tentativo di descrivere la cristologia moderna, prendo come Fonti la cristologia di Schleiermacher e quella di Barth.  Entrambi sono figure di teologi moderni e post-illuministi, che hanno appreso dall'illuminismo e hanno reagito contro alcuni aspetti della definizione illuministica della modernità. In altre parole, si può essere moderni sia adattandosi alla cultura della modernità, sia, in qualche misura, reagendo ad essa.
 
IL Significato di questi teologi risiede nella loro grandezza e nell'influenza PARADIGMATICA che essi sono stati capaci di raggiungere. Sebbene quelle che abbiamo descritto non siano tipologie cristologiche, ma cristologie individuali, ciascuna delle due ha dato origine a strutture metodologiche in teologia, e dunque ciascuna rappresenta simbolicamente delle intuizioni elementari, delle tendenze di pensiero e dei tratti specifici che hanno influenzato e in una certa misura definito la teologia del XX secolo. Le due cristologie hanno funzionato in maniera analoga a quella della scuola antiochena e della scuola alessandrina nelle controversie del IV e V secolo.  Queste cristologie, prese in senso allargato, indicano certi parametri o limiti esterni entro i quali la cristologia moderna del XX secolo si è sviluppata.
 
Consideriamo dapprima il punto di vista immaginativo, la prospettiva che è anche il punto di partenza. Quella di Schleiermacher è una cristologia  "dal basso" e quella di Barth è una cristologia  "dall'alto".  Si tratta di caratteristiche di base a partire dalle quali anche altre differenziazioni possono trovare la loro ragion d'essere. Barth in parte comprende la differenza tra se stesso e Schleiermacher proprio in questi termini. La sua Teologia può essere vista come un completo rovesciamento di quella di Schleiermacher.  Barth cerca di guardare dall'alto, Schleiermacher dal basso. C'è una differenza di prospettive di partenza.
 
Riguardo alla natura e al metodo della cristologia come disciplina, si può rintracciare una polarità definita dalla tensione tra l'appello all'esperienza e l'appello alla tradizione oggettiva. Scleiermacher rispecchia la convinzione crescente, implicata dalla svolta verso il soggetto, che la filosofia prima e ora la teologia e tutte le altre discipline della conoscenza umana debbano essere criticamente attente ai presupposti della conoscenza umana stessa. Barth, al contrario, accetta la priorità assoluta di Dio  nella rivelazione e si fida della tradizione oggettiva del linguaggio teologico della comunità. In tal modo, Barth rispetta l'assioma della sociologia della conoscenza secondo il quale non possiamo evadere dalla tradizione-storica di una comunità, al massimo possiamo inserirci in un'altra. In entrambi i teologi, nei loro modi diversi, c'è una dichiarazione dell'indipendenza della teologia e in nessuno dei due la teologia è soltanto una funzione del conoscere, dell'agire, o della cultura degli esseri umani. Scleiermacher e Barth reagivano a due riduzionismi diversi, e il loro punto di partenza è talmente diverso negli estremi, che si può quasi dire che essi abitano mondi discorsivi del tutto diversi. La loro comprensione del cristianesimo è diversa in senso fondamentale, le altre polarità non fanno che rafforzare tale differenza.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #206 Data del Post: 29.12.2014 alle ore 17:37:36 »
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La dominanza di una sensibilità per l'immanenza di Dio o per la sua trascendenza dà origine a due distinte direzioni teologiche. Nella visione di Schleiermacher, Dio è presente nella esperienza religiosa umana, e dunque Dio non è distante dalla cultura. Si tratta di una teologia conscia della storia e che sa di dovere essere inculturata nelle forme linguistiche e culturali di ogni epoca data.  
 
Barth invece è famoso  per il suo recupero del tema della trascendenza di Dio, di Colui che incombe sull'esistenza e sulla cultura umana come infinitamente e qualitativamente altro, ma che si è avvicinato e si è rivolto a noi una volta per sempre attraverso Gesù Cristo. IL linguaggio che dà testimonianza a quest'evento non è adattato alla cultura, ma è la cultura umana che deve adattarsi a esso nell'essere assorbito dal mondo di Dio. IL processo stesso del pensiero teologico  dunque è "dall'alto": si devono accettare la forma e la definizione del mondo nei termini della rivelazione ricevuta dal Verbo di Dio.
 
Un'altra polarità deriva dalle prime due e può essere formulata per mezzo di una domanda: la struttura del linguaggio teologico è tale da riferirsi direttamente all'esperienza umana oppure rende testimonianza a una rivelazione ricevuta in modo più diretto? Per Schleiermacher Dio è presente nella esperienza della dipendenza assoluta, che è dove Dio si incontra, e nella fede cristiana questa è la coscienza del divino veicolata da Gesù Cristo. E' importante notare che anche Barth comprende la rivelazione come qualcosa che si fa strada in mezzo ai soggetti umani, nel senso che la rivelazione non è semplicemente identica alle parole della Bibbia o alle proposizione della dottrina. Ma Barth richiama l'attenzione sulla modalità diretta con cui Dio rivela se stesso, e le parole della Scrittura, come anche i sacramenti, sono una testimonianza di questo dono divino. Gli esseri umani ricevono la rivelazione e non hanno il diritto nè la capacità di darle una forma per i propri scopi. Schleiermacher inizia la sua teologia con una antropologia filosoficamente mediata; Barth inizia invece con la lettura della Bibbia e l'annuncio del Verbo.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #207 Data del Post: 29.12.2014 alle ore 17:42:45 »
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La dominanza di una sensibilità per l'immanenza di Dio o per la sua trascendenza dà origine a due distinte direzioni teologiche. Nella visione di Schleiermacher, Dio è presente nella esperienza religiosa umana, e dunque Dio non è distante dalla cultura. Si tratta di una teologia conscia della storia e che sa di dovere essere inculturata nelle forme linguistiche e culturali di ogni epoca data.  
 
Barth invece è famoso  per il suo recupero del tema della trascendenza di Dio, di Colui che incombe sull'esistenza e sulla cultura umana come infinitamente e qualitativamente altro, ma che si è avvicinato e si è rivolto a noi una volta per sempre attraverso Gesù Cristo. IL linguaggio che dà testimonianza a quest'evento non è adattato alla cultura, ma è la cultura umana che deve adattarsi a esso nell'essere assorbito dal mondo di Dio. IL processo stesso del pensiero teologico  dunque è "dall'alto": si devono accettare la forma e la definizione del mondo nei termini della rivelazione ricevuta dal Verbo di Dio.
 
Un'altra polarità deriva dalle prime due e può essere formulata per mezzo di una domanda: la struttura del linguaggio teologico è tale da riferirsi direttamente all'esperienza umana oppure rende testimonianza a una rivelazione ricevuta in modo più diretto? Per Schleiermacher Dio è presente nella esperienza della dipendenza assoluta, che è dove Dio si incontra, e nella fede cristiana questa è la coscienza del divino veicolata da Gesù Cristo. E' importante notare che anche Barth comprende la rivelazione come qualcosa che si fa strada in mezzo ai soggetti umani, nel senso che la rivelazione non è semplicemente identica alle parole della Bibbia o alle proposizione della dottrina. Ma Barth richiama l'attenzione sulla modalità diretta con cui Dio rivela se stesso, e le parole della Scrittura, come anche i sacramenti, sono una testimonianza di questo dono divino. Gli esseri umani ricevono la rivelazione e non hanno il diritto nè la capacità di darle una forma per i propri scopi. Schleiermacher inizia la sua teologia con una antropologia filosoficamente mediata; Barth inizia invece con la lettura della Bibbia e l'annuncio del Verbo.
 
Dietro a gran parte della teologia del XX secolo si trova una valutazione positiva oppure negativa dell'esistenza umana, che colora profondamente la concezione dell'intera realtà, e di una vasta serie di argomenti teologici. Dobbiamo essere ottimisti o pessimisti riguardo al progetto  "umanità......"?
 
Si può rischiare di costruire una teologia apologetica oppure intraprendere una mediazione , che distorcerebbe il messaggio cristiano? Come dobbiamo valutare l'idea stessa di inculturazione che è richiesta dalla maggior parte dei cristiani occidentali che vivono fuori dall'Occidente? Come si può individuare e definire il peccato, che tutti ammettono come una realtà potente nella storia ? Schleiermacher ha una dottrina del peccato, anzi ha una dottrina del peccato piuttosto forte, perchè la redenzione viene spiegata nel contesto della consapevolezza del peccato. Ma forza e debolezza sono termini relativi e Barth, a differenza di Scleiermacher, condivide a questo proposito la dottrina radicale dei riformatori. Di fatto, la dottrina del peccato è uno degli assi più significativi per comprendere le variazioni della teologia e della cristologia moderna del XX secolo.
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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #208 Data del Post: 29.12.2014 alle ore 17:51:00 »
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Dietro a gran parte della teologia del XX secolo si trova una valutazione positiva oppure negativa dell'esistenza umana, che colora profondamente la concezione dell'intera realtà, e di una vasta serie di argomenti teologici. Dobbiamo essere ottimisti o pessimisti riguardo al progetto  "umanità......"?
 
Si può rischiare di costruire una teologia apologetica oppure intraprendere una mediazione , che distorcerebbe il messaggio cristiano? Come dobbiamo valutare l'idea stessa di inculturazione che è richiesta dalla maggior parte dei cristiani occidentali che vivono fuori dall'Occidente? Come si può individuare e definire il peccato, che tutti ammettono come una realtà potente nella storia ? Schleiermacher ha una dottrina del peccato, anzi ha una dottrina del peccato piuttosto forte, perchè la redenzione viene spiegata nel contesto della consapevolezza del peccato. Ma forza e debolezza sono termini relativi e Barth, a differenza di Scleiermacher, condivide a questo proposito la dottrina radicale dei riformatori. Di fatto, la dottrina del peccato è uno degli assi più significativi per comprendere le variazioni della teologia e della cristologia moderna del XX secolo.
 
Le cristologie moderne si possono differenziare lungo lo spettro del linguaggio della salvezza, a seconda se esso sia storico e intramondano oppure metafisico ed escatologico. Questa polarità si riferisce direttamente al contenuto della soteriologia. Schleiermacher fece dei grandi passi verso la demitologizzazione delle teorie classiche della salvezza invocando l'influenza reciproca e interna, pur nella tensione, il soprannaturale e l'empirico/storico. Egli spiega in che modo il Gesù della storia ha effettuato la salvezza nel corso del suo ministero. IL linguaggio di Barth invece è decisamente mistico ed è soprannaturale, anche se non senza riferimenti a Gesù di Nazareth.  C'è una vera polarità per entrambi, perchè entrambi i teologi includono i due lati della tensione, ma l'enfasi sui lati opposti produce una differenza fondamentale tra le due teologie.
 
Lo stesso è vero per la sottolineatura o il forte interesse nell'umanità oppure nella divinità di Gesù Cristo. Ciò distingue sempre le cristologie, anche se entrambi i lati possono rimanere coerenti con la tradizione. Sia Schleiermacher sia Barth hanno una comprensione sottile e dialettica della relazione in Gesù Cristo tra l' umanità e la divinità. La cristologia di Schleiermacher inizia "dal basso", anche se il materiale della sua vita di Gesù non è integrato nella sua dogmatica., mentre la cristologia di Barth è  "dall'alto".  Schleiermacher era critico nei confronti delle dottrine classiche e inventò un nuovo linguaggio creativo per comunicare e preservare la loro intenzione originaria, mentre Barth operò all'interno della terminologia classica di  "natura" e "persona" nella cristologia dei padri riformatori.
 
 Infine la tesi dell'umanità di Dio ha alcune conseguenze: la conformità e la distinzione tra umanità dell'uomo e la divinità di Dio pone l'uomo nella posizione di essere l'eletto nel rapporto con Dio per sola grazia.
 
 La seconda conseguenza  sta nel considerare la cultura teologica che deve partire da Sacra Scrittura e da Gesù Cristo  e non viceversa. Barth non accetta l'esistenzialismo teologico di Bultmann che cerca di oggettivare il dato della fede e cerca di demitizzare il valore interpretativo della Sacra Scrittura come compimento della testimonianza di Gesù Cristo che rivelando se stesso rivela il Dio vivente.
 
La terza conseguenza è un certo orientamento del pensiero teologico come un atteggiamento che mira alla preghiera e alla predicazione e non ad elaborare una verità astratta, filosofica su Dio, ma modulare nel linguaggio teologico un po' di dialetto di Canaan, con un po' di  "positivismo della rivelazione".
 
La quarta conseguenza è annunciare il vangelo della grazia senza negare i limiti e la creaturalità dell'uomo, di cui la vittoria di Cristo ha vinto per gli uomini.
 
La quinta conseguenza è accettare la cristianità e la chiesa come comunità chiamata a testimoniare la grazia di Dio rivelata da Gesù Cristo. IL nostro credo sullo Spirito santo per Barth sarebbe vuoto se non è vissuto concretamente nel Credo in una chiesa una, santa, cattolica cioè universale, ed apostolica.  
 
« Ultima modifica: 30.12.2014 alle ore 14:54:12 by Sandro_48 » Loggato

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Re:  Ce le studiamo tutte ? e poi decidiamo q
« Rispondi #209 Data del Post: 31.12.2014 alle ore 20:56:26 »
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DUE   PAROLE  SU   SCHLEIERMACHER
l'INFINITO IN SCHLEIERMACHER ( nato 1768_morto 1834)
Post aggiunto da Sandro il 31 dicembre 2014 alle 20:36 in Breve Relazione del Cap.9 Libertà di Credere
L’infinito in Schleiermacher
 
Il mondo non è senza Dio, Dio non è senza il mondo
 
Nell'ambito del circolo romantico di Berlino spicca indiscutibilmente l'illustre figura di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834). Questi studiò a Halle, dove ricevette una formazione di stampo illuministico, dedicandosi con particolare zelo allo studio di Immanuel Kant. In un secondo tempo si cimentò nella lettura dei testi di Jacobi e Spinoza e, in virtù dei contatti con Friedrich Schlegel, si distaccò dal freddo razionalismo settecentesco e abbracciò con passione la causa romantica. Insegnò Teologia prima all'università di Halle, poi in quella di Berlino (fondata nel 1810), dove fu attivo fino alla morte. Le sue opere principali sono i Discorsi sulla religione (1799), i Monologhi (1800) e La fede cristiana (1821-1822). Il fulcro degli interessi di Schleiermacher è costituito dalla filosofia della religione e della teologia; in contrasto con le interpretazioni razionalistiche dell'illuminismo, Schleiermacher definisce la religione come un'intuizione dell'infinito nella forma del sentimento. La religione infatti altro non è che "accettare ogni cosa particolare come una parte del tutto, ogni cosa finita come espressione dell'infinito". Visto che l'infinito coincide con l'universo, la religione sarà quindi intuizione dell'universo, inteso in primis come universale naturale, come insieme delle cose finite che rimandano all'infinito, in secundis come universo morale in cui consiste lo spirito dell'uomo.
 
Dire che la religione è intuizione dell'universo non significa però sostenere che con essa l'uomo raggiunga una completa conoscenza dell'infinito, dato che un infinito da cui fosse eliminato il senso del mistero e dell'ineffabilità non sarebbe più tale: "Voler penetrare più profondamente nella natura e nella sostanza del tutto non è più religione". L'intuizione dell'universo implica semplicemente il sentimento della dipendenza del finito dall'infinito, dell'uomo da Dio (ed è in esso che consiste l'atteggiamento autenticamente religioso). Ma tale sentimento non è un qualcosa di contingente e passeggero, non è uno stato emotivo che cambia con il variare delle condizioni che lo hanno determinato, bensì è connaturato alla costituzione stessa dell'uomo; riprendendo un linguaggio di tipo kantiano, Schleiermacher dice che esso è un linguaggio trascendentale. Sebbene sia fondata su un linguaggio trascendentale, l'esperienza religiosa si manifesta in forma individuale in ogni singolo uomo. Ogni individuo vive infatti in modo singolare la sua intuizione dell'infinito: in senso proprio, quindi, le religioni sono tante quanti sono gli individui. Questo spiega il fatto che storicamente la religione abbia assunto forme diverse e si sia istituzionalizzata in una pluralità di fedi positive.
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