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   Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
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   Autore  Topic: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?  (letto 5182 volte)
Stefanotus
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #30 Data del Post: 11.03.2015 alle ore 13:58:59 »
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Caro Kosher,
andiamo con ordine.
Rabbinizzazione dell’evangelo;
Questo argomento tu lo riassumi con la riunione di Atti 15. Deduco che per rabbinizzazione del cristianesimo tu intendessi il tentativo di introdurre pratiche giudaiche (circoincisione, festività, sabato, etc) all'interno del movimento cristiano. Ho capito bene?
 
A supporto di questo citi argomenti dottrinali, come la salvezza che non andava più ottenuta attraverso l'obbedienza alla legge. Citi inoltre i giudaizzanti, chiamati "falsi fratelli" da Paolo stesso.  
Quindi riassumerei questo primo aspetto smontando il tentativo moderno di giudaizzazione del Vangelo, innanzitutto dal punto di vista dottrinale.
Sarebbe utile secondo me se, chiudessimo questo primo punto con dei versetti biblici di supporto. Ti va di aiutarci?
 
Ebraicità di Gesù
In questo caso poni l'ebraicità di Cristo (e aggiungerei di Paolo e degli altri) come un'aspetto che certamente può portare riflessioni positive. Se nell'ottica giusta. Direi che dovremmo in qualche modo definire cosa si intende per ottica giusta. Quali sono i paletti?
 
Mentalità ebraica
Questo è il punto più complesso, che a questo punto sia uno dei punti più importanti di quelli che ho proposto con questa discussione.
Sicuramente è interessante l'aspetto dei "giudaismi" di Israele, legato al fatto che non si può parlare di una sola religione giudaica sia per motivi storici, sia per motivi intrinsechi. Per motivi storici perché è un dato certo che le società, tutte le società si evolvono. Quindi il giudaismo è una religione che per certo è cambiata nei secoli. Da Mosè a Cristo passano circa 1500 anni se non ricordo male, quindi sia per motivi sociologici naturali, sia perché Dio si è rivelato progressivamente all'uomo, il rapporto tra l'uomo e Dio e quindi il giudaismo è cambiato. Cambiando il giudaismo è cambiata la mentalità ebraica. A voler essere "precisini" quindi, se uno volesse realmente attribuire un interpretazione PRECISA e DEFINITIVA di un testo, dovrebbe per ogni libro studiare la reale e profonda mentalità ebraica del MOMENTO PRECISO in cui quel testo è stato scritto.
A pensarci bene effettivamente, nel corso di teologia biblica di qualsiasi corso biblico sistematico, nell'affrontare le analisi di ogni libro vengono sempre forniti degli elementi storico culturali della situazione in cui il popolo di Dio si trovava in quel particolare momento. A questi elementi si dovrebbe aggiungere forse un riscontro sulla mentalità ebraica di quel momento...
I motivi che invece ho chiamato intrinsechi, sono i motivi interni al giudaismo in sé. Nel periodo di Cristo infatti abbiamo farisei, sadducei, zeloti, erodiani... sette interne al movimento giudaico che si differenziavano per differenti interpretazioni bibliche e che si sono presentate per mille possibili motivi. Vuoi l'influenza dei popoli pagani in mezzo ai quali parte del popolo d'Israele fu deportato, vuoi semplici sviluppi rabbinici di allora, vuoi le influenze politiche che il governo straniero causava su Israele.
Di certo questo scenario presenta un quadro in cui non si può dire che esista una mentalità ebraica unica e riconoscibile in modo definitivo.
Addirittura ho letto un commento sull'influenza che può aver avuto la cultura greca nell'ebraismo anni prima di Cristo. Avete qualche dettaglio in merito?
 
Kosher tu fai accenno a strumenti accademici, credo che ti riferissi a testi di studio validi. Ti va di citare qualcosa a cui potremmo fare riferimento?
 
Metodi ermeneutici.
Giustamente dicevi che si è fatta un po' confusione tra metodi scientifici, uomini di fede etc.
Mettiamo un po' d'ordine.
Innanzitutto distinguiamo ermeneutica da esegesi.
L'esegesi è l'analisi testuale che mira a comprendere il significato PRIMO del testo. Ossia cosa il testo significa in sé, il significato di ogni parola e, qualora vi siano più significati possibili (data la peculiarità del testo antico) l'esegeta si preoccuperà di quale significato sia quello più attendibile in base al contesto testuale, storico e culturale del testo in analisi.
 
Cosa diversa dalla filologia, che è quella materia che studia il testo dal punto di vista tecnico. Ossia cerca di ricostruzione la forma originaria dei testi attraverso l'analisi delle fonti allo lo scopo di pervenire ad una interpretazione che sia la più corretta possibile. In questo campo i metodi usati sono quelli critici e credo che sia qui l'inizio del problema e della confusione.
 
Perché parlando di ermeneutica biblica abbiamo due correnti di pensiero principale. Chi per ermeneutica biblica intende la materia che studia il testo biblico cercando di utilizzare metodi e modalità interpretative che nascano direttamente dal testo biblico, chi invece sostiene che bisogna ricorrere ai metodi introdotti dalla filologia.
Abbiamo quindi i primi che tendono per l'utilizzo del metodo ermeneutico storico-grammaticale e quelli che utilizzano il metodo storico-critico.
I limiti, i confini tra i due metodi sono difficili da tracciare oggi e credo che è questo che porta confusione e andrebbe approfondito.
 
Vi fu un tempo in cui gli interpreti biblici utilizzavano un metodo allegorico per interpretare la Bibbia. Ogni passaggio veniva rivisto come se fosse un messaggio simbolico, allegorico. Questa posizione, seppur in parte risolveva alcuni problemi tecnici nell'interpretazione di passaggi più complessi, ridusse la Bibbia ad un semplice libro di massime.
Il metodo storico grammaticale invece, è il metodo che da più risalto al testo biblico in sé. Si tratta di un metodo che tende a stabilire quale sia la giusta interpretazione biblica tenendo conto degli stili di redazione del testo (poetico, storico narrativo, etc), il contesto storico, gli scopi del libro in generale, etc. Anche il metodo storico critico utilizza queste modalità ma da quello che ho compreso io, i due metodi hanno diverse premesse.
 
Ritenete sia utile approfondire anche questo tema?
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Giovanni 3:16

   
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #31 Data del Post: 11.03.2015 alle ore 15:27:03 »
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on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:

Metodi ermeneutici.
Perché parlando di ermeneutica biblica abbiamo due correnti di pensiero principale. Chi per ermeneutica biblica intende la materia che studia il testo biblico cercando di utilizzare metodi e modalità interpretative che nascano direttamente dal testo biblico, chi invece sostiene che bisogna ricorrere ai metodi introdotti dalla filologia.
Abbiamo quindi i primi che tendono per l'utilizzo del metodo ermeneutico storico-grammaticale e quelli che utilizzano il metodo storico-critico.

 
si va a finire sempre li  Risatina
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:
I limiti, i confini tra i due metodi sono difficili da tracciare oggi e credo che è questo che porta confusione e andrebbe approfondito.

 
Infatti! come ti dicevo non credo esista il metodo perfetto. Io preferisco il MSG ma non voglio sottovalutare o ignorare i limiti di questo metodo: interpretazione esageratamente "letteralistica"! conseguenza: bibliolatria!
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:
I limiti, i confini tra i due metodi sono difficili da tracciare oggi e credo che è questo che porta confusione e andrebbe approfondito.

appunto. Ma forse è l'uso che ciascuno di noi fa (consapevolmente o inconsapevolmente) dei due metodi che crea confusione! Se non teniamo presente questo pericolo, inevitabilmente finiremo di usarli per affermare le nostre convinzioni e smontare quelle altrui. in quest'ultimo caso i metodi perdono il senso e lo scopo per i quali servivano.
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:

Vi fu un tempo in cui gli interpreti biblici utilizzavano un metodo allegorico per interpretare la Bibbia. Ogni passaggio veniva rivisto come se fosse un messaggio simbolico, allegorico. Questa posizione, seppur in parte risolveva alcuni problemi tecnici nell'interpretazione di passaggi più complessi, ridusse la Bibbia ad un semplice libro di massime.

 
il metodo allegorico non è il solo ad essere inappropriato; c'è quello superstizioso, razionalistico, dogmatico, mitologico!
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:
Il metodo storico grammaticale invece, è il metodo che da più risalto al testo biblico in sé. Si tratta di un metodo che tende a stabilire quale sia la giusta interpretazione biblica tenendo conto degli stili di redazione del testo (poetico, storico narrativo, etc), il contesto storico, gli scopi del libro in generale, etc. Anche il metodo storico critico utilizza queste modalità ma da quello che ho compreso io, i due metodi hanno diverse premesse.
Ritenete sia utile approfondire anche questo tema?

 
Bhè..... forse a questo punto potrebbe darci una mano  
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #32 Data del Post: 11.03.2015 alle ore 16:58:21 »
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Nell'attesa che Caste, Kosher o altri utenti abbiano voglia di dire la loro, inizio a postare una piccola traccia di regole da seguire per un'interpretazione secondo il metodo storico-grammaticale o filologico-letterale. Laddove ne ho "cognizione", tenterò di sottolineare le differenze con il metodo storico-critico.
 
Premesse e considerazioni varie
Chi si basa sul metodo storico grammaticale sostiene che:
- Dio abbia ispirato ogni parola del testo biblico originale (ispirazione dinamica, dettatura meccanica);
- Dio abbia preservato divinamente il testo per permettere a chiunque di avere la Parola di Dio.
- L'unico autore della Bibbia sia lo Spirito Santo, quindi gli scrittori sacri pur esprimendosi secondo la loro cultura e la loro preparazione culturale, non hanno influenzato il messaggio divino.
 
Contrariamente chi si basa sul metodo storico critico sostiene che:
- Dio abbia ispirato il messaggio del testo biblico originale (ispirazione del concetto non delle parole)
- Dio non ha preservato il testo sacro, quindi nel caso si ritrovassero nuovi ritrovamenti di testi biblici parzialmente diversi dagli attuali ma per motivi "scientifici" considerabili autentici e attendibili, questi verrebbero considerati bibbia allo stesso modo;
- Seppur Dio abbia ispirato il testo, ogni libro ha il proprio autore umano, che ha esposto il messaggio di Dio secondo i propri strumenti culturali e visioni personali.
 
Utilizzo del metodo Storico Grammaticale
Quando ci si trova dinnanzi ad un testo biblico bisogna prima di tutto analizzare e tenere presente le seguenti informazioni:
Contesto letterario
Nell'interpretare il testo, l'esegeta dovrà valutare innanzitutto il libro in cui il testo è posto cercando di rispondere a queste domande:
 Quando è stato scritto?
Ai fini dell'interpretazione è utile conoscere il contesto storico in cui il libro è stato scritto.
E' utile sapere se il libro è stato scritto in un periodo di pace e benessere oppure in un periodo di sofferenza e desolazione.
E' utile conoscere contesto culturale e quindi le idee e i concetti che vi erano in quel periodo.  
Il popolo o i popoli di allora erano avanzati, arretrati, quali differenze vi erano tra loro?
Era un momento di ignoranza e depravazione spirituale?
Vi erano influenze e ideologie particolari che venivano ritenute dannose dall'autore?
 
2) Chi ha scritto il libro?
Era un autore colto? meno colto? A cosa ha attinto? Che carattere aveva?  
 
3) Perché è stato scritto?
Qual'era lo scopo dello scrittore? Motivi divulgativi? Gli stava a cuore qualcosa? Vi erano dei destinatari precisi?  
 
4) Qual è lo stile del libro?
Il testo è principalmente una serie di racconti e/o resoconti storici? Si tratta di testi poetici? devozionali? sono epistole? è un libro profetico quindi pieno di simbolismi?
 
Regole da utilizzarsi
Una volta raccolte tutte le informazioni precedenti, si potrà procedere con l'analisi del testo in sé.
Il metodo storico grammaticale valorizza quello che in precedenza ho chiamato significato primo del testo. Quindi a meno di particolarismi rilevati in precedenza, laddove il testo affermerà determinati concetti, si riterrà quei concetti come sufficientemente significativi. Banalmente cito i saluti di inizio lettera di Paolo: "pace ai santi in Corinto". Questi devono essere interpretati semplicemente come semplici saluti. Sebbene potrebbe essere rilevante valutare "la modalità" utilizzata nel saluto (augurare la pace a coloro che vengono definiti santi) sarebbe un errore iniziare ad indagare sull'etimologia della parola "pace" per stabilire chissà quale ragionamento intorno a questo semplice saluto. Sarebbe errato formulare una dottrina sul dovere di salutare augurando la pace, solo sul principio di emulazione Paolina enfatizzando il significato "spirituale" della parola pace.
Sarebbe corretto affermare che Paolo salutava augurando la pace, sarebbe corretto affermare che i credenti venivano da Paolo chiamati santi.
 
Laddove invece, elementi rilevati nelle analisi precedenti lo giustifichino, potrebbe essere invece rilevante l'uso di una determinata terminologia. Ad esempio estremizzando il concetto per rendere l'idea direi che se in Corinto, tutti venivano normalmente chiamati peccatori, ecco che l'uso di Paolo del termine santi assumerebbe un significato particolare.
 
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #33 Data del Post: 11.03.2015 alle ore 20:38:58 »
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Mamma mia, diventano sempre più lunghe queste discussioni, ma dove lo trovate il tempo?  Linguaccia
Provo a buttare giù qualche pensiero che ho fatto sulla questione, senza pretese di scientificità e limitandomi alla questione iniziale.
Il nostro amico che ha scritto quel post ha dimenticato un aspetto molto importante, l'Ellenismo. Gli Ebrei della diaspora avevano fatto propri alcuni aspetti della cultura greca, a cominciare dalla lingua, non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nel culto, c'erano sinagoghe di lingua greca. Possiamo pensare che questa "contaminazione" riguardasse anche altri fattori. Certo, erano e rimanevano ebrei ma non pensavano "ebraico", e la loro mentalità era certamente diversa dagli Ebrei della Giudea; ne abbiamo una prova chiara nella Bibbia, in Atti 6 e Atti 9 sono riferite le lagnanze dei cristiani ellenisti che lamentano disparità di trattamento in favore dei giudei. Porre la questione in quei termini significa fare un passo indietro nella comprensione della Scrittura, non in avanti, perché questo problema della "scontro di culture" lo dovette affrontare già la chiesa primitiva e sappiamo come lo risolse, proclamando l'assoluta uguaglianza in Cristo di tutti i nati di nuovo, giudei o pagani (Efesini 2:14 per esempio).  
La chiave di volta è  Cristo, che supera la distinzione ebrei-non ebrei. Che la conoscenza della cultura ebraica sia indispensabile per la comprensione delle Scritture lo smentisce la Scrittura stessa. Innanzitutto, perché la retta comprensione delle Scritture non è appannaggio degli studiosi ma dei cuori aperti, tralascio i riferimenti. Certo, chi legge a stento non potrà probabilmente insegnare scienze bibliche in una facoltà teologica ma potrà comprendere le verità spirituali, a differenza di uno studioso liberale o addirittura non credente (ce ne sono).  
Secondo, perché questo discorso potrebbe portare a divisioni come quella della Galazia che Paolo deve ricomporre con la sua lettera, in cui tira un po' le orecchie a chi vuole imporre riti ebraici ai neoconvertiti non ebrei. Occhio alle implicazioni pratiche di alcune teorie quindi.
Quanto poi all'affermazione che la Bibbia sia scritta da Ebrei per Ebrei non dico che sia falsa ma è molto incompleta. Ci può trovare abbastanza d'accordo sull'AT ma per quanto riguarda il NT le cose sono diverse. Le lettere, che costituiscono il corpus principale del NT sono scritte alle chiese in cui le due anime, ebraica e gentile, convivevano, quindi non a soli ebrei. Anzi, la lettera ai Romani è indirizzata in particolare a cristiani non ebrei, quindi...E poi perché far scrivere il NT  in greco e non in ebraico o in aramaico? Già questa scelta di Dio è molto indicativa su chi siano i destinatati delle rivelazione, ovvero TUTTI, Dio non usò la lingua del popolo di Israele (che tra l'altro ai tempi di Cristo non era nemmeno l'ebraico ma l'aramaico, l'ebraico era lingua "liturgica"Occhiolino ma la lingua internazionale dell'epoca.  
Da dove nascono posizioni simili? La chiesa nel corso dei secoli ha rinnegato "l'ebraicità" del cristianesimo (l'ho già scritto...) e sicuramente ha bisogno di recuperare. Però questo non è tanto un problema delle nostre chiese evangeliche, dove la teologia della sostituzione non ha seguaci, e comunque questo "ritorno all'ebraismo" deve fermarsi davanti a filippesi 2:14, "dei due popoli" ne ha fatto uno. Se si torna "troppo indietro" riapriamo i problemi come atti 6, come galati etc...
« Ultima modifica: 11.03.2015 alle ore 20:42:13 by Giamba » Loggato

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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #34 Data del Post: 11.03.2015 alle ore 22:20:06 »
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on 11.03.2015 alle ore 16:58:21, Stefanotus wrote:

Premesse e considerazioni varie
Chi si basa sul metodo storico grammaticale sostiene che:
- Dio abbia ispirato ogni parola del testo biblico originale (ispirazione dinamica, dettatura meccanica);
- Dio abbia preservato divinamente il testo per permettere a chiunque di avere la Parola di Dio.
- L'unico autore della Bibbia sia lo Spirito Santo, quindi gli scrittori sacri pur esprimendosi secondo la loro cultura e la loro preparazione culturale, non hanno influenzato il messaggio divino.

 
Scusami se ti sembro petulante, ma ti assicuro che l'argomento mi interessa, vorrei chiedere: se si utilizza lo stesso metodo e si arriva a conclusioni diverse da cosa dipende?  
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« Ultima modifica: 12.03.2015 alle ore 07:03:54 by serg68 » Loggato

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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #35 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 07:42:00 »
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on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:

 
Mentalità ebraica
 
A pensarci bene effettivamente, nel corso di teologia biblica di qualsiasi corso biblico sistematico, nell'affrontare le analisi di ogni libro vengono sempre forniti degli elementi storico culturali della situazione in cui il popolo di Dio si trovava in quel particolare momento. A questi elementi si dovrebbe aggiungere forse un riscontro sulla mentalità ebraica di quel momento...
I motivi che invece ho chiamato intrinsechi, sono i motivi interni al giudaismo in sé. Nel periodo di Cristo infatti abbiamo farisei, sadducei, zeloti, erodiani... sette interne al movimento giudaico che si differenziavano per differenti interpretazioni bibliche e che si sono presentate per mille possibili motivi. Vuoi l'influenza dei popoli pagani in mezzo ai quali parte del popolo d'Israele fu deportato, vuoi semplici sviluppi rabbinici di allora, vuoi le influenze politiche che il governo straniero causava su Israele.

Ben detto, io aggiungerei che, in luce di quello che possiamo leggere nei vari libri dell'AT anche solo voler parlare di "mentalità giudaica" come di un blocco monolitico che si conserva nel corso della storia, sia effettivamente una grossa sciocchezza: pensa solo a uno qualunque dei re d'Israele nel periodo pre-deportazione e a... non so... Gedeone; cosa avrebbero potuto dirsi? E cosa avrebbe avuto in comune con loro un Abramo? Ben poco, direi...  
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:

Di certo questo scenario presenta un quadro in cui non si può dire che esista una mentalità ebraica unica e riconoscibile in modo definitivo.
Addirittura ho letto un commento sull'influenza che può aver avuto la cultura greca nell'ebraismo anni prima di Cristo. Avete qualche dettaglio in merito?

Beh, vorrei nuovamente ricordare l'esistenza di 1 e 2 Maccabei... "deuterocanonico" vuol dire "non ispirato", non "cumulo di fesserie da ignorare" Linguaccia
Comunque, a parte gli scherzi, direi che anche solo riguardando con un po' di attenzione la storia dell'Israele post-esiliaco si veda come le contaminazioni siano state inevitabili. O pensiamo a quante correnti sono scomparse dopo l'assedio del 70 d.C. Non sarà certo stata la prima volta.  
 

on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:

Metodi ermeneutici.
 
Vi fu un tempo in cui gli interpreti biblici utilizzavano un metodo allegorico per interpretare la Bibbia. Ogni passaggio veniva rivisto come se fosse un messaggio simbolico, allegorico. Questa posizione, seppur in parte risolveva alcuni problemi tecnici nell'interpretazione di passaggi più complessi, ridusse la Bibbia ad un semplice libro di massime.
Il metodo storico grammaticale invece, è il metodo che da più risalto al testo biblico in sé. Si tratta di un metodo che tende a stabilire quale sia la giusta interpretazione biblica tenendo conto degli stili di redazione del testo (poetico, storico narrativo, etc), il contesto storico, gli scopi del libro in generale, etc. Anche il metodo storico critico utilizza queste modalità ma da quello che ho compreso io, i due metodi hanno diverse premesse.
 
Ritenete sia utile approfondire anche questo tema?

 
Sicuramente è utile, vorrei continuare a fare la parte dell'"avvocato del diavolo" ponendo l'attenzione su questo link  
http://it.cathopedia.org/wiki/Metodo_storico_critico in cui vengono mostrati i vari criteri utilizzati nel metodo. Ditemi quali non vi piacciono e vi paiono mettere in dubbio il testo biblico e, soprattutto, a questo criterio.
 
criterio della presunzione storica (McEleney)
partendo dal presupposto che i resoconti antichi sono redatti da testimoni degli eventi, afferma che l'onere della prova per rigettare informazioni da essi fornite è a carico dei detrattori: in dubio pro traditio. Nella sostanza questo criterio coincide col principio di falsificabilità, basilare nella ricerca scientifica contemporanea: una teoria (basata su senso comune, ragionamenti o esperimenti) rimane valida fino a che non viene falsificata, cioè giudicata falsa su basi fondate.
 
Non credete che, con tutte le stupidaggini in cui si perde buona parte della letteratura "scientifica" fondamentalista moderna, questo criterio sia stato colpevolmente dimenticato?
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #36 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 12:08:43 »
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on 11.03.2015 alle ore 13:58:59, Stefanotus wrote:
Caro Kosher,
andiamo con ordine.

 
 ▪ Rabbinizzazione dell’evangelo
 
§ Per gli intrusi, i falsi fratelli: Gal 2,4.  
 
Paolo, nella lettera ai Galati, punta con una durezza particolare ad alcuni, i cosiddetti giudaizzanti, gli avversari quasi sistematici di Paolo, coloro che sono fermamente convinti che, per entrare nel cristianesimo, i pagani devono prima diventare ebrei, devono prima circoncidersi e devono, anche, osservare la legge mosaica.
 
§ La legge non giustifica: Gal  2,16:
 
 Galati 2,16
 
Sappiamo che l'uomo non è giustificato per le]opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; perché dalle opere della legge nessuno sarà giustificato.
 
Questa è la tesi capitale del Cristianesimo. Se notiamo bene, Paolo in questa pericope ribadisce per ben tre volte lo stesso concetto:
 
1) l'uomo non è giustificato per le opere della legge;
2) e non dalle opere della legge;
3) dalle opere della legge nessuno sarà giustificato.
 
La prospettiva di Paolo, nella lettera ai Galati, è antropologica, il punto di partenza è l’uomo dal quale si risale a Dio. Da questa seconda prospettiva, nacque il Pelagianesimo, con la sua tesi principale secondo cui l’uomo è in grado di scegliere il bene o il male, una credenza non molto diversa dalla visione giudaizzante basata sulle opere della legge contro cui Paolo si accanì con tutto il suo vigore.
 
Ebraicità di Gesù
 
Premessa: «è utile distinguere fra ebraismo (in senso stretto) e giudaismo. Si dà il nome di ebraismo alla civiltà e religione ebraiche anteriori all’esilio; si dà il nome di giudaismo alla civiltà e religioni ebraiche a partire dall’esilio. In seguito alla grande crisi del I sec. D.C. dovremmo parlare di giudaismo rabbinico, o, più semplicemente di rabbinismo. Va però osservato che il termine ebraismo può anche essere impiegato ad indicare tutto l’insieme delle civiltà e religione degli ebrei dalle prime origini ai giorni nostri. La distinzione tra ebraismo e giudaismo è giustificata dal fatto che durante l’esilio si posero particolari problemi che aprirono alla religione ebraica prospettive nuove». Paolo Sacchi, Storia del Giudaismo del II Tempio.  
 
Gesù è un ebreo a tutti gli effetti, non c’è dubbio; conoscere la storia del popolo di Israele è pertanto cosa utilissima. Ai fini della fede, però, la cosa fondamentale non è conoscere meglio di altri la storia o una presunta mentalità ebraica piuttosto che un’altra: è fondamentale capire e interpretare la figura di Gesù sullo sfondo della sua  filiazione divina, della sua morte e della sua resurrezione. Gli ebrei pensavano al messia in tanti modi, quello di Gesù non era accettabile. Pietro – un campione della presunta mentalità ebraica - non poteva accettare le spiegazioni di Gesù in merito alla sua passione e si ribellò; come tutti gli ebrei voleva un messia glorioso e per questo che si sente dire: «vattene via da me Satana». Se mi calassi nella cosiddetta mentalità ebraica dell’epoca dovrei rifiutare un messia che soffre e muore. Per la presunta “mentalità ebraica” l’espressione «figlio di Dio» poteva essere compresa tranquillamente, per la presunta “mentalità ebraica” «Figlio di Dio prediletto» creava non poche difficoltà.  
 
E’ vero che il messaggio di Gesù va colto sullo sfondo della Palestina del suo tempo, ma il messaggio del Figlio di Dio – che ha una portata universale - non può essere limitato ad un territorio o ad un’epoca: esso finisce per travalicare il tempo e il luogo in cui fu proclamato, perché esso è contemporaneamente chiarezza e mistero.  Nella interpretazione della sua persona alla luce dell’AT, Gesù mentre si richiama a testi ed a tradizioni veterotestamentari, reinterpretati nell’ambiente giudaico, li mette in crisi e li supera. Ogni schema, ogni aspettativa ebraica rispetto al tipo di messia atteso è rotto dalla presenza escatologica della sua persona: il messia è Figlio di David ma è anche il suo Signore; il Messia Gesù non libera Israele dal potere e dai Romani ma soffre e muore non solo per Israele ma per l’umanità intera. Gli schemi interpretativi sono quindi utilizzati per superarli. Il superamento è dovuto al novum, della persona di Gesù del suo messaggio. Alla luce di quanto detto, ritenere indispensabile addentrarsi e attenersi in una ipotetica mentalità è non solo pericoloso ma addirittura fuorviante. Durante la sua predicazione Gesù può dire che il Regno è già presente in lui e con lui (Lc 17,21).
 

Quote:
Kosher tu fai accenno a strumenti accademici, credo che ti riferissi a testi di studio validi. Ti va di citare qualcosa a cui potremmo fare riferimento?

 
Per il giudaismo del II Tempio la bibliografia divulgativa è molto carente; è un argomento che interessa a pochi:
 
J.A. Soggin, Storia di Israele; J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù; Roma 1989; Maier J. Il Giudaismo del secondo Tempio; Paolo Sacchi, Storia del II Tempio, Israele tra VI secolo a.C. e I secolo d.C.; dello stesso autore: Gesù e la sua gente; Romano Penna, l’ambiente storico culturale delle origini cristiane. Leggermente più abbordabile è Ebraismo di Hans Kung, dedica però all’argomento solo una decina di pagine. Come libro divulgativo consiglio Gesù e la sua gente, gli altri sono abbastanza impegnativi.
 
Puoi risparmiare soldi, impegno e tempo dando un’occhiata qui. Il curatore del sito è persona preparata:
http://www.christianismus.it/modules.php?name=News&new_topic=5
 
Concordo con Sergio sulla "bibliolatria". L'esegesi scientifica, chiamata scherzosamente "il mostro multiforme" secondo me, rispetto al fondamentalismo, costituisce un male decisamente minore
 
« Ultima modifica: 12.03.2015 alle ore 12:10:13 by kosher » Loggato

Dominus noster Iesus Christus, Deus unigenitus, primogenitus totius creationis.
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #37 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 15:21:05 »
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Noto con piacere che la discussione sta prendendo forma in modo costruttivo e proattivamente stiamo tutti dando il nostro contributo.
Vi ringrazio davvero tanto per la partecipazione.
 
Sergio, rispondo a te perché mi è più semplice, poi provvederò a leggere gli interventi più corposi.
 

on 11.03.2015 alle ore 22:20:06, serg68 wrote:
Scusami se ti sembro petulante, ma ti assicuro che l'argomento mi interessa, vorrei chiedere: se si utilizza lo stesso metodo e si arriva a conclusioni diverse da cosa dipende?  
 Imbarazzato

Molto sinceramente io ti posso solo condividere considerazioni legate alla mia personale esperienza.  
Nei post precedenti abbiamo fatto chiarezza sulla differenza che teologicamente diamo ai termini RIVELAZIONE, ILLUMINAZIONE e ISPIRAZIONE. Questa separazione concettuale è importante per evitare fraintendimenti.
L'ispirazione è qualcosa che nessuno di noi può più avere. E' l'atto di Dio che si è usato di scrittori per scrivere verità divine senza errori.
La Rivelazione di Dio è il prodotto di questa ispirazione, ossia la Bibbia.
(si può specificare che anche la natura è rivelazione ma strumento in sé insufficiente a comprendere e conoscere Dio).
L'illuminazione invece è l'azione dello Spirito Santo che, quando leggiamo la Parola ci mostra degli aspetti UTILI per la nostra vita. L'illuminazione ha delle sue caratteristiche. Non è la completa verità intorno a quel passo, ma ne è una parte. Rileggendo potremmo essere illuminati diversamente etc etc.
Credo che su questo saremo tutti d'accordo.
Francescon, evangelico degli inizi del '900 che faceva parte di un movimento evangelico in cui non ci si battezzava, senti la voce dello Spirito Santo che lo invitava a battezzarsi leggendo del battesimo di Gesù se non ricordo male. Questo per farvi capire che l'illuminazione non è l'interpretazione dottrinale e quindi è normale che si possa essere DIVERSAMENTE illuminati. Non a caso, la teologia evangelica riassume le qualità dell'illuminazione in personale, parziale e perfettibile.
 
Andiamo invece alle conclusioni dottrinali differenti riguardo l'utilizzo del metodo storico grammaticale. Ebbene... in realtà caro Sergio io ho compreso che non è facile stabilire quale sia il dettaglio che possa influenzare l'interpretazione biblica. Quasi sempre però io ho scoperto che sono le premesse a creare differenti interpretazioni.
Banalmente cito quanto hai scritto tu:
Quote:
Infatti! come ti dicevo non credo esista il metodo perfetto. Io preferisco il MSG ma non voglio sottovalutare o ignorare i limiti di questo metodo: interpretazione esageratamente "letteralistica"! conseguenza: bibliolatria!

La lettura letterale non è la lettura letteralistica. E questo timore eccessivo per la bibliolatria è ingiustificato. E te lo dimostro facilmente.
 
Innanzitutto stabiliamo che la lettura letteralistica è un metodo di lettura della Bibbia "alla lettera", ossia carpendone dei principi dottrinali privando lo scritto dello stile letterario utilizzato ed ignorandone contesti storici e culturali. La lettura letteralistica è quella che ci porterebbe ad essere monchi di mani e ciechi, poi muti... poi morti. Credo sia ovvio che mi riferisco ad un'applicazione letteralistica del passo in cui Gesù dice: se la tua mano ti fa peccare... tagliala via! Mi spiego?
 
La lettura letterale, quella che propone il metodo storico grammaticale invece tiene conto di stili letterari, contesti storici e culturali. ok?
Bene.
La Bibliolatria invece è l'adorazione del testo biblico in sé. E Dio ci ha privato della bibliolatria in modo molto pratico. Ci ha fatto perdere i testi originali. Non li abbiamo. Gli idolatri si sono dedicati ad adorare comunque altri oggetti ritenuti sacri (fazzoletti con ipotetici volti sanguinanti del Cristo, sindoni, chiodi, etc). Ma la Bibliolatria Dio ce l'ha (grazie a Dio è il caso di dirlo) evitata.
Quindi per me questo timore è infondato ed evito di dirvi l'importanza che si auto referenzia la Bibbia stessa, citandovi versi biblici in cui la Parola di Dio viene tenuta in grande onore, attenzione, etc etc.
La Parola di Dio deve essere oggetto dei nostri pensieri, non si deve allontanare dalla nostra bocca, è sapienza, è conoscenza, è lo strumento efficace per dividere ossa dalle midolla, anima dallo spirito, insomma... la Parola di Dio si auto definisce l'oggetto da cui dipende ogni cosa. Vi basti una lettura del salmo 119.
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #38 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 15:22:47 »
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Detto questo caro Sergio, ritorno al tema: come mai abbiamo conclusioni diverse. Ti dicevo le premesse. Mi sono accorto per esempio che una delle premesse interpretative che io utilizzo è che credo che la Chiesa di Cristo non si evolva. Cioè sono convinto che il modello di chiesa neo-testamentaria sia il modello della chiesa di ogni tempo. Questo principio infatti, nel 1700 credo, era completamente sconosciuto nelle chiese evangeliche. Piano piano... si iniziò ad avvicinarcisi...Ma fu agli inizi del 1900 che in una scuola biblica degli studenti "a partire" da questo principio, arrivarono a stabilire che l'esperienza del battesimo nello Spirito Santo con il conseguente segno del parlare in altre lingue era un esperienza successiva alla Nuova Nascita e attualizzabile. Nacque così il movimento pentecostale che si diffuse a macchia d'olio in diverse zone d'America, arrivando fino in Italia.
Sempre da questo principio quindi, si iniziarono a cercare anche le attualizzazioni di altri carismi che la Bibbia presentava come "presenti" nella Chiesa del primo secolo. Quindi guarigioni miracolose, si iniziò ad alimentare il desiderio del ritorno di Cristo (dottrina al tempo contestata) e così via.
Capisci pure bene però che la fusione di questi due principi, ossia l'ispirazione verbale della Scrittura e la chiesa del Nuovo Testamento come modello della chiesa di ogni tempo, portarono le chiese di allora ad accettare TUTTA LA PAROLA come ispirata e importante. Sempre tenendo conto dei contesti e del genere letterario di ogni testo, il principio di partenza era importante.
 
Ora capisci perché per esempio abbiamo avuto modo di discutere sul calice? Perché con tali premesse passi come Marco 14:23 e Luca 22:17 prendono un valore diverso dal semplice "ma si, dai era un calice". Soprattutto se quando si fanno analisi esegetiche si analizzano testi come 1 Corinzi 11:25,26. Ecco perché io ritengo dottrinalmente inaccettabile ad esempio usare i bicchierini (eccezioni a parte) e ritengo importante simbolicamente l'uso di un calice passato tra i credenti.
Le premesse influenzano l'interpretazione.
 
Quanto queste premesse siano bibliche si può analizzare. Ed io ti assicuro che l'ho fatto in modo molto approfondito ed ho accettato "la mia posizione dottrinale" perché ho ritenuto "insufficienti" le altre che avevo in analisi. Per esempio, giusto per intenderci, un gruppo evangelico che accetta l'idea dottrinale che Dio possa benedire la chiesa attraverso la "santa caduta", non accetterà il principio che il modello di chiesa presentata nel Nuovo Testamento sia il modello da seguire in attesa del ritorno di Cristo. Questo perché ritiene quel modello "significativamente" limitante. Quindi quando mi son trovato a discutere su questo principio con chi la pensava così, mi dicevano:
"Perché tu non usi il microfono? Eppure nel Nuovo Testamento non c'era! non usi la batteria per cantare? Eppure nel Nuovo Testamento non c'è!",
 
Ma per me questi sono solo argomentazioni pretestuose.  
Così come chi pensa che il velo sia un usanza culturale oggi inutile, contrasta il mio approccio letterale che invece spinge a imitare quell'usanza a causa delle spiegazioni spirituali di ordine creazionale che Paolo adduce a questi versi.
Oppure vi è chi sostiene che le donne possano essere predicatrici come Joyce Mayer e quindi bisogna "ricontestualizzare" il "non permetto alla donna di insegnare" stabilendo che si tratta dell'opinione di Paolo, del suo carattere misogino. Altri un po' più furbi invece hanno iniziato a supporre che le donne della chiesa di Efeso erano ignoranti perché non venivano istruite come gli uomini, quindi in quella particolare città le donne non dovevano predicare perché influenzate da ideologie pagane.
Per me invece, facendo così si sta facendo della Parola un uso personalistico, vi è parola di serie A e parola di serie B. Ecco che si contraddicono versi come 2 Timoteo 3:14-16 oppure 1 Corinzi 4:6.
 
Spero di esser stato sufficientemente chiaro.
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #39 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 16:43:10 »
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on 11.03.2015 alle ore 20:38:58, Giamba wrote:
Il nostro amico che ha scritto quel post ha dimenticato un aspetto molto importante, l'Ellenismo. Gli Ebrei della diaspora avevano fatto propri alcuni aspetti della cultura greca, a cominciare dalla lingua, non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nel culto, c'erano sinagoghe di lingua greca. Possiamo pensare che questa "contaminazione" riguardasse anche altri fattori.

Caro Giamba, come diceva in modo molto duro e deciso un "anziano" ormai promosso in gloria di nostra comune conoscenza: "O le cose le sai, oppure è meglio rimanere in silenzio!". Sorriso  
Condivido il tuo pensiero, Giamba. E' un dato di fatto che vi fossero sinagoghe in greco. Ma che il parlare questa lingua comportasse anche un influenza filosofica... bisogna provarlo.
A tal proposito ad esempio stavo analizzando l'uso del termine logos da parte di Giovanni 1:1. Giovanni lo usò pensando alla sua cultura giudaica, o alla maniera greca? Oppure fu una trovata che univa cultura giudaica e greca?
 

Quote:
Certo, erano e rimanevano ebrei ma non pensavano "ebraico", e la loro mentalità era certamente diversa dagli Ebrei della Giudea; ne abbiamo una prova chiara nella Bibbia, in Atti 6 e Atti 9 sono riferite le lagnanze dei cristiani ellenisti che lamentano disparità di trattamento in favore dei giudei.

Benissimo. Provo ad analizzare questi testi. Grazie.
 

Quote:
La chiave di volta è  Cristo, che supera la distinzione ebrei-non ebrei. (Efesini 2:14)...questo discorso (necessità della cultura ebraica per comprendere la Scrittura) potrebbe portare a divisioni come quella della Galazia che Paolo deve ricomporre con la sua lettera, in cui tira un po' le orecchie a chi vuole imporre riti ebraici ai neoconvertiti non ebrei.

Ho tagliato in parte il tuo discorso e preso questa parte, condivido pienamente. Però aldilà degli aspetti "pratici" del giudaismo come la circoincisione, il discorso è più fine caro Giamba. Perché si tratta di reinterpretare i testi biblici con mentalità ebraica, non di imporre usi ebraici nel cristianesimo. Sono due posizioni diverse.
Banalmente ti viene detto che Gesù non fondò il cristianesimo ma rimase fondamentalmente ebreo. Così come Paolo che non viene mai detto che nacque di nuovo o divenne cristiano, rimase sempre ebreo.... capisci?
Queste reinterpretazioni nascono proprio per una premessa interpretativa giudaizzante.

Quote:
Quanto poi all'affermazione che la Bibbia sia scritta da Ebrei per Ebrei non dico che sia falsa ma è molto incompleta. Ci può trovare abbastanza d'accordo sull'AT ma per quanto riguarda il NT le cose sono diverse. Le lettere, che costituiscono il corpus principale del NT sono scritte alle chiese in cui le due anime, ebraica e gentile, convivevano, quindi non a soli ebrei. Anzi, la lettera ai Romani è indirizzata in particolare a cristiani non ebrei, quindi...

Non lo so Giamba.
Non ho mai affrontato il tema con questa profondità e per adesso mi sto limitando a fermarne i principi che ispirano questa modalità di ragionamento. Se pur è vero che le chiese erano "miste", è anche vero che provenivano da un unica radice. La stessa comunità romana presume che si sia fondata grazie al fatto che alcuni romani erano a Gerusalemme a pentecoste. Quindi sempre giudei.
Quello che voglio dire è che si propone un cristianesimo giudaizzato con questa ermeneutica. Non un ebraismo cristianizzato. Mi spiego? Si percepisce la differenza?
 

Quote:
...E poi perché far scrivere il NT  in greco e non in ebraico o in aramaico? Già questa scelta di Dio è molto indicativa su chi siano i destinatati delle rivelazione, ovvero TUTTI, Dio non usò la lingua del popolo di Israele (che tra l'altro ai tempi di Cristo non era nemmeno l'ebraico ma l'aramaico, l'ebraico era lingua "liturgica"Occhiolino ma la lingua internazionale dell'epoca.

Vero, questo l'ho pensato anche io. Ma questa affermazione viene spenta con: parlavano greco, usando termini greci, ma con filosofia ebraica non greca. Io qui ci vedo un processo alle intenzioni di Dio che ispirava la Bibbia.
Ma ... come contraddire una simile premessa ermeneutica?
 

Quote:
Da dove nascono posizioni simili? La chiesa nel corso dei secoli ha rinnegato "l'ebraicità" del cristianesimo (l'ho già scritto...) e sicuramente ha bisogno di recuperare. Però questo non è tanto un problema delle nostre chiese evangeliche, dove la teologia della sostituzione non ha seguaci, e comunque questo "ritorno all'ebraismo" deve fermarsi davanti a filippesi 2:14, "dei due popoli" ne ha fatto uno. Se si torna "troppo indietro" riapriamo i problemi come atti 6, come galati etc...

Era efesini... Sorriso
Alcuni estremisti infatti sono già un po' verso atti 6.
Ma scusa, ti faccio una domanda un po' più personale. Tra i credenti intorno a te, non ve ne sono alcuni particolarmente interessati a Israele, interessati alle tematiche giudaiche che si innestano con il ritorno di Cristo... interessati al ruolo di Israele alla fine dei tempi e a come la chiesa deve aiutarli... insomma una corrente filo politica all'interno delle nostre comunità?
Alle volte mi sento un po' come Adam Kardmon che vede complotti dappertutto... ma .. a me non sembra un caso che negli ultimi anni ci sia una forte spinta (attraverso pubblicazioni etc) riguardo Israele e parallelamente una nuova ermeneutica giudaizzante sempre più diffusa.
 
Sarà un caso?
Mbah.
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #40 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 16:57:12 »
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on 12.03.2015 alle ore 07:42:00, Caste wrote:
Sicuramente è utile, vorrei continuare a fare la parte dell'"avvocato del diavolo" ponendo l'attenzione su questo link  
http://it.cathopedia.org/wiki/Metodo_storico_critico in cui vengono mostrati i vari criteri utilizzati nel metodo. Ditemi quali non vi piacciono e vi paiono mettere in dubbio il testo biblico e, soprattutto, a questo criterio.
 
criterio della presunzione storica (McEleney)
partendo dal presupposto che i resoconti antichi sono redatti da testimoni degli eventi, afferma che l'onere della prova per rigettare informazioni da essi fornite è a carico dei detrattori: in dubio pro traditio. Nella sostanza questo criterio coincide col principio di falsificabilità, basilare nella ricerca scientifica contemporanea: una teoria (basata su senso comune, ragionamenti o esperimenti) rimane valida fino a che non viene falsificata, cioè giudicata falsa su basi fondate.
 
Non credete che, con tutte le stupidaggini in cui si perde buona parte della letteratura "scientifica" fondamentalista moderna, questo criterio sia stato colpevolmente dimenticato?

Non credo che questo ultimo punto che citi sia stato letteralmente dimenticato, per me riguarda il principio che io espongo come l'infallibilità biblica. E laddove una nuova teoria mina la teoria precedente biblica, io rimango dell'idea che vi deve essere un motivo per cui Dio mi ha tramandato quel testo.
 
Vorrei risponderti a dovere ma richiede molto impegno e al momento non posso. Comunque nel link che hai condiviso, mi è piaciuto il trafiletto storico. Dove inizialmente viene detto che la chiesa ferma sul sola scriptura non accetto il metodo storico critico, perché chiaramente era "insufficiente" e banalizzava parecchio. Adesso siamo a livelli "professionali" immagino. Ma il problema è che questo metodo, per quanto valido, è un metodo "scientifico" oso dire, che non tiene proprio conto del testo come divino, ma del testo come "umano". Quindi... per forza secondo me le modalità di analisi si devono distaccare.
Voglio dire, se utilizzando tutti questi principi arriviamo a dire per esempio che Mosè non ha scritto un capitolo di esodo... uno solo, giusto per fare un esempio. Stabiliamo che questo capitolo è una copia inserita secoli dopo perché bla bla bla.... Possiamo anche dire che anche questa copia è ispirata. Possiamo dire che Dio l'ha fatta aggiungere per i suoi motivi... possiamo arrampicarci come vogliamo per far coincidere la scienza e i presupposti dottrinali che come evangelici abbiamo. Ma nel momento in cui, esiste un solo versetto che nel Nuovo Testamento, in cui Gesù stesso cita un verso di quel capitolo dicendo "Mosè disse"... come la mettiamo?
Un critico andrebbe con i suoi metodi subito a verificare se il testo del Nuovo Testamento fosse realmente attendibile... e se lo fosse?
Capisci che di fondo c'è qualcosa che non quadra?
Si crea uno scisma di pensiero... discussioni etc... e poi tra un secolo si scopre: ma sapete, in realtà sbagliavamo a dire che quel capitolo di esodo non era di Mosè. In realtà lo era! Bel disastro non credi?
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #41 Data del Post: 12.03.2015 alle ore 18:53:12 »
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on 12.03.2015 alle ore 16:43:10, Stefanotus wrote:

 
Queste reinterpretazioni nascono proprio per una premessa interpretativa giudaizzante.
Non lo so Giamba.
Non ho mai affrontato il tema con questa profondità e per adesso mi sto limitando a fermarne i principi che ispirano questa modalità di ragionamento. Se pur è vero che le chiese erano "miste", è anche vero che provenivano da un unica radice. La stessa comunità romana presume che si sia fondata grazie al fatto che alcuni romani erano a Gerusalemme a pentecoste. Quindi sempre giudei.
Quello che voglio dire è che si propone un cristianesimo giudaizzato con questa ermeneutica. Non un ebraismo cristianizzato. Mi spiego? Si percepisce la differenza?

Il quale argomento affronta non pochi problemi se messo di fronte a Romani 9-10-11

on 12.03.2015 alle ore 16:43:10, Stefanotus wrote:

Vero, questo l'ho pensato anche io. Ma questa affermazione viene spenta con: parlavano greco, usando termini greci, ma con filosofia ebraica non greca. Io qui ci vedo un processo alle intenzioni di Dio che ispirava la Bibbia.
Ma ... come contraddire una simile premessa ermeneutica?

 
Scusa però, questa non è una premessa ermeneutica, a mio parere è una posizione preconcetta che presuppone più malafede che ignoranza. Perché ignorare il contributo di una lingua alla filosofia di chi la parla non può essere fatto con una mente onesta. Comunque, vorrei ricordare ancora una volta che Alessandro Magno ha completato la sua serie di conquiste intorno al 330 a.C. Questo lascia oltre 3 secoli di ellenismo tra Tolomei, Seleucidi e Romani. Non dico che non si possano ignorare, dico solo che chi lo fa, lo fa con motivi non limpidi. Poi quelli che ne sanno più di me sulle lingue e sulla storia ebraica potranno smentirmi o confermarmi. Sorriso  
 

on 12.03.2015 alle ore 16:57:12, Stefanotus wrote:

Voglio dire, se utilizzando tutti questi principi arriviamo a dire per esempio che Mosè non ha scritto un capitolo di esodo... uno solo, giusto per fare un esempio. Stabiliamo che questo capitolo è una copia inserita secoli dopo perché bla bla bla....Possiamo anche dire che anche questa copia è ispirata. Possiamo dire che Dio l'ha fatta aggiungere per i suoi motivi... possiamo arrampicarci come vogliamo per far coincidere la scienza e i presupposti dottrinali che come evangelici abbiamo . Ma nel momento in cui, esiste un solo versetto che nel Nuovo Testamento, in cui Gesù stesso cita un verso di quel capitolo dicendo "Mosè disse"... come la mettiamo?
Un critico andrebbe con i suoi metodi subito a verificare se il testo del Nuovo Testamento fosse realmente attendibile... e se lo fosse?
Capisci che di fondo c'è qualcosa che non quadra?
Si crea uno scisma di pensiero... discussioni etc... e poi tra un secolo si scopre: ma sapete, in realtà sbagliavamo a dire che quel capitolo di esodo non era di Mosè. In realtà lo era! Bel disastro non credi?

 
Come ti ho già detto, non condivido molto questo modo di vedere e, onestamente, credo si avvicini pericolosamente alle considerazioni fatte da Sergio e Kosher sulla "bibliolatria".  
Il problema è, se mi passi il gioco di parole, che si sposta il problema. Rileggi bene il principio di falsificazione espresso: cosa dice? Dice che tu hai il tuo presupposto (in questo caso, l'ispirazione biblica) e che questo ha bisogno di essere giudicato falso su basi fondate. Ora, rileggi la frase che hai messo tu e che ho grassettato. Noti che qualcosa non va?  
Il fatto è che a noi non dovrebbe importare di fare coincidere nulla con nulla, perché non c'è niente da fare coincidere. Qualcuno vuole "falsificare" la bibbia? Va bene, che ci provi, è da che esiste che ci provano... ci sono riusciti fino ad ora? Direi proprio che la risposta siamo noi, una risposta vivente e migliore di qualunque altra. Il problema è che se la reazione è "Oh no! Dobbiamo confermare la bibbia!" allora siamo già decisamente fuori strada, guarda un po' sulle pagine di FB dei tuoi amici e guarda quante volte ti capita di leggere "XYZ conferma la bibbia!!!" o peggio... "XYZ conferma la BIBBIA!!11!1!!"  Sbaglierò, ma a me sembra che si continui ancora a ragionare con i presupposti di "Galileo vs Chiesa" che, onestamente, erano già ridicoli allora, figuriamoci adesso.  
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #42 Data del Post: 13.03.2015 alle ore 08:47:53 »
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on 12.03.2015 alle ore 16:57:12, Stefanotus wrote:

Ma nel momento in cui, esiste un solo versetto che nel Nuovo Testamento, in cui Gesù stesso cita un verso di quel capitolo dicendo "Mosè disse"... come la mettiamo?
Un critico andrebbe con i suoi metodi subito a verificare se il testo del Nuovo Testamento fosse realmente attendibile... e se lo fosse?
Capisci che di fondo c'è qualcosa che non quadra?
Si crea uno scisma di pensiero... discussioni etc... e poi tra un secolo si scopre: ma sapete, in realtà sbagliavamo a dire che quel capitolo di esodo non era di Mosè. In realtà lo era! Bel disastro non credi?

 
Già che ci sono, aggiungo una piccola considerazione che mi è venuta in mente stamattina: mi pare che continui a mostrare questa figura del "critico" come quello che è interessato a "smontare" la bibbia e basta, ma questo, come ti dico, per quanto spesso vero, non è un modo di porsi sufficientemente adatto. Nel tuo esempio sicuramente un critico con presupposti anticristiani cercherà di dire: "Ah, allora non è attendibile" ma un critico con presupposti molto più neutrali (sì, ho detto neutrali, non cristiani) magari cercherà di fare il suo lavoro. Mi spiego; Se qualcuno ti dicesse: "Ah, la bibbia è falsa perché Gesù dice date a Cesare quel che è di Cesare, ma Giulio Cesare era morto almeno 70 anni prima", ovviamente tu ti faresti una bella risata e non ci metteresti molto a fare notare che il termine "Cesare" ha (e aveva) il significato di imperatore, magari consigliando al tuo interlocutore di studiare un po' di storia...  
Allo stesso modo, ma possiamo affermare con certezza che il termine "Mosè" non fosse un sinonimo di "legge" per i giudei? Anche perché sono a volte usati in maniera intercambiabile (Mosè e i profeti, la legge e i profeti) che ne sappiamo dunque? Era un'usanza abbastanza diffusa, in una nazione che ha il nome di una persona e le cui dodici tribù sono nomi di persone... ovviamente, io personalmente non so se sia così, magari qualcuno qua che conosce meglio di me l'argomento può confermare o smentire, però, questo è il reale modo di agire dello "storico scientifico", che sia cristiano o no...
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #43 Data del Post: 13.03.2015 alle ore 09:38:36 »
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on 12.03.2015 alle ore 18:53:12, Caste wrote:

 
Il fatto è che a noi non dovrebbe importare di fare coincidere nulla con nulla, perché non c'è niente da fare coincidere. Qualcuno vuole "falsificare" la bibbia? Va bene, che ci provi, è da che esiste che ci provano... ci sono riusciti fino ad ora? Direi proprio che la risposta siamo noi, una risposta vivente e migliore di qualunque altra. Il problema è che se la reazione è "Oh no! Dobbiamo confermare la bibbia!" allora siamo già decisamente fuori strada, guarda un po' sulle pagine di FB dei tuoi amici e guarda quante volte ti capita di leggere "XYZ conferma la bibbia!!!" o peggio... "XYZ conferma la BIBBIA!!11!1!!"  Sbaglierò, ma a me sembra che si continui ancora a ragionare con i presupposti di "Galileo vs Chiesa" che, onestamente, erano già ridicoli allora, figuriamoci adesso.  

 
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Re: Pensare in ebraico per comprendere la Bibbia?
« Rispondi #44 Data del Post: 13.03.2015 alle ore 11:57:12 »
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on 12.03.2015 alle ore 15:21:05, Stefanotus wrote:

Andiamo invece alle conclusioni dottrinali differenti riguardo l'utilizzo del metodo storico grammaticale. Ebbene... in realtà caro Sergio io ho compreso che non è facile stabilire quale sia il dettaglio che possa influenzare l'interpretazione biblica.

ti capisco.

on 12.03.2015 alle ore 15:21:05, Stefanotus wrote:
Quasi sempre però io ho scoperto che sono le premesse a creare differenti interpretazioni.

non solo. anche la formazione sociale, culturale, i preconcetti, l'imprintig ricevuto quando ci siamo convertiti ecc.ecc..

on 12.03.2015 alle ore 15:21:05, Stefanotus wrote:

La Bibliolatria invece è l'adorazione del testo biblico in sé. E Dio ci ha privato della bibliolatria in modo molto pratico. Ci ha fatto perdere i testi originali. Non li abbiamo.

premesso che abbiamo idee diverse sul concetto di bibliolatria, vorrei dire due cosine anche qui.
 
Tu giustamente dici che non abbiamo più i manoscritti originali e paradossalmente tratti le copie come tali.
Ogni versione in lingua moderna, o anche antica, presuppone quindi un testo “restaurato”, ovvero “ricostruito” dalla critica del testo.
Questo lascia intuire la presenza di errori o possibili errori nella stesura e nella copiatura dei manoscritti. (Per l’esame di alcuni tipi di errore vedi G.L. Archer, La Parola del Signore, vol. 1, pag. 54 - 60).
Ora la critica testuale non si muove in maniera arbritaria o preconcetta ma anch'essa risponde a parametri oggettivi!
Nel dilemma posto per la scelta tra due o più varianti ( lezioni) testimoniate da due o più manoscritti, la critica testuale (non solo biblica) si è data certi criteri (canoni)
scientificamente determinati, attraverso i quali individuare il testo originale, o quello ad esso più vicino:
1. La lezione più antica
2. La lezione più difficile
3. La lezione più breve
4. La lezione che spiega meglio il sorgere di altre varianti
5. La lezione geograficamente più diffusa
6. La lezione più conforme allo stile e alla edizione dell’autore
7. La lezione che non riflette alcuna tendenza dottrinale
 
I rotoli del Mar Morto scoperti (1947) a Qumran, presso il Mar Morto. Delle migliaia di frammenti trovati, almeno 100 appartengono all’Antico Testamento, e risalgono ad un periodo che va dal II sec. a.C. al I sec. d.C.. Essi riproducono per intero o in parte i vari libri dell’Antico Testamento, eccetto Ester, e confermano in maniera straordinaria il Testo Masoretico. Il papiro Nash (scoperto in Egitto nel 1902), riporta una parte dei Dieci Comandamenti (Esodo 20:2-17).
i più antichi manoscritti dell’Antico Testamento in nostro possesso risalgono al II sec. a.C., mentre è certo che la Bibbia cominciò ad essere scritta almeno 33 secoli fa. Mosè scrisse intorno al XIII sec. a.C., se non prima, e gli ultimi libri dell’Antico Testamento furono scritti intorno al V sec.a.C.
 
Perdonami questa breve e semplice disamina, ora vengo al punto: non possiamo ignorare che le bibbie che oggi abbiamo sono delle traduzioni!
Questo non è un male, è semplicemente inevitabile. Pertanto il lettore deve affidarsi per forza alla scelta esegetica dei traduttori con i rischi che ciò comporta.  
 
Per esempio le seguenti quattro traduzioni di 1Corinzi 7:36
 
Diodati: Ma, se alcuno stima far cosa disonorevole inverso la sua vergine, se ella trapassa il fior dell'età, e che così pur si debba fare, faccia ciò ch'egli vuole, egli non pecca; siano maritate.
Nuova Diodati: Ma, se alcuno pensa di fare cosa sconveniente verso la propria figlia vergine se essa oltrepassa il fiore dell'età, e che così bisogna fare, faccia ciò che vuole; egli non pecca; la dia a marito.
Riveduta: Ma se alcuno crede far cosa indecorosa verso la propria figliuola nubile s'ella passi il fior dell'età, e se così bisogna fare, faccia quello che vuole; egli non pecca; la dia a marito.
Nuova Riveduta: traduce cometa Riveduta[i]

La versione Diodati traduce alla lettera lasciando aperto il passo a varie interpretazioni, le altre vedono in quella “vergine” (parthenos, in greco) una figlia.
Interessante è la traduzione adottata dalla CEI che fa riferimento alla traduzione francese  della Bible de Jerusalem, che suona così: “se qualcuno, essendo in pieno ardore giovanile, pensa che rischia di comportarsi male con la sua fidanzata e che le cose devono seguire il loro corso, faccia ciò che vuole: non pecca; si sposino”. In questo caso la CEI preferisce, come il Diodati, mantenere la parola “vergine” senza nessun’altra precisazione.
Anche la TILC adotta la stessa interpretazione della CEI vedendo in quella “vergine” una fidanzata o promessa sposa.
 
In effetti, secondo la XXVII edizione critica del nuovo testamento a cura di Nestle Aland, la variante gameitosan , (si sposino) riflette il termine originale in quanto si trova nei manoscritti più antichi al posto dell’altra gameito, (si sposi). In tal modo non si tratterebbe più del rapporto padre-figlia.  
 
Non vi è comunque in tal caso certezza assoluta e si rimane nel campo delle ipotesi. [u]
 
Mi lasci un minimo di margine nelle sfumature? ho come l'impressione, forse mi sbaglio, che per te non ci siano margini per manovre di questo tipo.
Ovviamente non parliamo di cose che stravolgono in modo significativo il senso del testo ma in alcuni casi le sfumature acquistano un certo peso.
Se non ricordo male, tempo fa il cuorebatte postò un 3d nel quale chiedeva di verificare il termine di Ebrei 13:17 "sottomettetevi" ai vosti conduttori..... e si era convenuto che il tremine esatto era "siate persuasi"..... La frase assume una sfumatura diversa.
Certo da qui a passare alle assurdità o le eresie ce ne vuole. da qui a saltare dul carro della critica liberale ce ne vuole.
Quindi stiamo attenti a non buttare insieme all'acqua sporca anche il bambino.
 
Anch'io come caste non vivo con pressante angoscia questo dover dimostrare che la Bibbia è perfetta, quindi scienza vs fede. non mi turbano le scoperte o le affermazioni scientifiche o pseudoscientifiche.
Ci sarebbe molto da dire..... alla fine riesci sempre, in qualche modo, a tirarmi dentro  Vago
 

on 12.03.2015 alle ore 15:21:05, Stefanotus wrote:

La Parola di Dio deve essere oggetto dei nostri pensieri, non si deve allontanare dalla nostra bocca, è sapienza, è conoscenza, è lo strumento efficace per dividere ossa dalle midolla, anima dallo spirito, insomma... la Parola di Dio si auto definisce l'oggetto da cui dipende ogni cosa. Vi basti una lettura del salmo 119.

scusami Ste, allegeriamo i post evitando di dire l'ovvio Amici
 

on 12.03.2015 alle ore 15:22:47, Stefanotus wrote:
Detto questo caro Sergio, ritorno al tema: come mai abbiamo conclusioni diverse. Ti dicevo le premesse. Mi sono accorto per esempio che una delle premesse interpretative che io utilizzo è che credo che la Chiesa di Cristo non si evolva. Cioè sono convinto che il modello di chiesa neo-testamentaria sia il modello della chiesa di ogni tempo.

qui non mi trovi d'accordo. Io credo che il modello neo testamentario sia "un modello" sul quale noi costruiamo e ci ispiriamo. Certamente non possiamo andare contro quel modello, ma perchè non possiamo andare oltre?  
Resto convinto del fatto che più che norme, Dio abbia voluto rivelarci "princìpi" che esprimo il suo cuore!  
Non esistono leggi tanto esaustive da conteplare ogni singolo caso che si può presentare nella vita.
 
....... continua!
« Ultima modifica: 13.03.2015 alle ore 12:02:31 by serg68 » Loggato

Togli via la volontà libera, e non vi sarà più nulla da salvare; togli via la grazia, e non vi sarà nulla con cui salvare.
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