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   Autore  Topic: I tre stati in cui il credente si può trovare  (letto 3554 volte)
Noah
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«Non temere; soltanto continua ad aver fede!»

   
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #45 Data del Post: 21.01.2010 alle ore 09:31:05 »
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on 21.01.2010 alle ore 04:07:49, Domenico wrote:
Una domanda
 
E voi tutti che leggete che ne pensate?
 

Fratello caro, come hai ben detto è un terreno che diventa infido, il parlare di come si svolgono i culti o parlare di formalismo religioso per quei fratelli che sono meno "chiassosi " degli altri.
Ti diro' francamente che questa libertà di spirito di cui tanto si parla oggi, purtroppo sta sfociando in veri teatri e spettacoli nelle chiese, dove è piu' apprezzato chi suona meglio, chi ha la voce migliore o chi grida di piu'.
Terreno pieno di insidie quindi battere su questo tasto e tacciare di formalismo chi magari è scappato da certe baraonde cultuali. Sorriso  (me , per esempio) dove la libertà dello spirito e la fervenza si manifestano ridendo e saltando, adesso pure ballando.
Ognuno di noi ha un rapporto personale con Dio che manifesta a seconda del suo carattere.
C'è a chi piace mettersi in mostra e chi vuole stare in un angolino, ma cio' non è una regola per stabilire che chi sta nell'angolino non abbia cuore o fervenza per il Signore.
Magari quelli che non gridano nelle assemblee sono quelle persone che con calma e amore riescono a portare anime in chiesa, più degli urlatori saltellanti.
 
Per questo motivo non ero intervenuta,per cui preferisco leggere questa discussione  da cui traggo molti insegnamenti, e detenere cio' che mi edifica.
 
Scusate se mi sono permessa. Sorriso
Aspetto che continuate, perchè l'argomento mi interessa veramente. Sorriso
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"Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna. "(Giov. 6:68)
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #46 Data del Post: 21.01.2010 alle ore 10:09:29 »
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Quote:
Credo che sia una questione di onestà intellettuale valutare l’argomento della fervenza, sia dal punto di vista tradizionale, con riferimento a quello che i nostri padri ci hanno insegnato che dal punto di vista biblico, senza avere quei condizionamenti a priori.

Secondo me, onestà intellettuale sarebbe ammettere che per esempio (relativo all'argomento "Culto"Occhiolino, che la "vecchia generazione", per vari motivi culturali e sociali, sono cresciuti senza "chitarra elettrica", e il tutto era "buono" così; Oggi, la nuova generazione cresce con la "chitarra elettrica", e tutto, continua ad essere "buono" così. Sorriso
 
Poi, com'è buona consuetudine degli uomini, di tutti gli uomini, per "giustificare" le proprie azioni, "le approva e conferma" con il cosiddetto "punto di vista biblico", che come si sa, è sempre a favore del sostenitore di turno. E più aumenta la conoscenza, più aumenta la possibilità di trovare "sostegno" nel "punto di vista biblico".
 
Chiaramente, l'esempio della chitarra elettrica, è oggigiorno più che ridicolo, perchè gli uomini, e dunque anche noi, ci avvaliamo delle risorse che abbiamo a disposizione.
 
Dunque, voler trattare il tema "uscire dalle tradizioni" per incontrare "il punto di vista biblico", è secondo me come il volersi mordere la coda...., un continuo rincorrersi.
 
Per "vecchie generazioni", io intendevo quella di mio nonno..., e per nuove, possiamo ormai considerare quelle dei nostri figli o nipoti, i quali crescono nei concerti, nei Pub, nei "seminari" di Lode, di danza, etc..., e quasi dappertutto ormai, fanno anche "pratica" nelle Chiese, avendo appunto molte Chiese, accettato questi nuovi "ministeri".
 
Dobbiamo "uscire dagli schemi"...
Mi sembra un'esortazione un po' troppo generica, visto e considerato la "moltitudine" dei nuovi "schemi" che ci vengono proposti, dai "padri" della "generazione presente".
Sarebbe più "onesto", trattare questi "schemi", soggetto per soggetto, e confrontarlo poi con le Scritture. Ci si accorgerà presto che non sarà facile, trovare il "punto di vista biblico corretto".
 
E il "generalizzare", non serve a nulla....
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #47 Data del Post: 25.01.2010 alle ore 03:00:58 »
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Ancora sul formalismo religioso
 
Accolgo con piacere il suggerimento di trattare singolarmente i vari punti dell’argomento. Cominciamo con: “Il canto nel culto”.
 
Prima, però, di iniziare, vorrei dare la definizione linguistica del formalismo.
 
“Tendenza a dare eccessiva importanza alle forme esteriori (a scapito della sostanza); esagerato attaccamento alle formalità; osservanza scrupolosa delle convenienze sociali; conformismo, convenzionalismo; meticolosità, pignoleria.
2. Relig. Attitudine di chi attribuisce o esige eccessiva cura nelle pratiche materiali del culto, trascurando il culto interiore e l’osservanza dei precetti; fariseismo, rigorismo. In senso generico: ipocrisia.” [S. Battaglia, GDLI, Vol. VI, pag. 177].
 
Sì direbbe: perché cominciare dal canto? Secondo l’insegnamento che l’apostolo Paolo ci ha lasciato, il canto nel culto, si trova al primo posto, cioè è menzionato il primo. Ecco il testo. Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione (1Corinzi 14:26).
 
Lasciando al momento da parte gli altri componenti del mosaico, (per ripigliarli a tempo debito) occupiamoci solamente del canto. Per la parola “salmo”, i commentatori, sulla scorta di altri due testi paolini, Efesini 5:19 che recita: parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore e Colossesi 3:16 La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali, sostengono che la parola “salmo”, non si riferisce a quelli dell’A.T. vale a dire a quelli di Davide, ma ai cantici di composizione e ispirazione cristiana. Personalmente non sono convinto di questa spiegazione, per il semplice motivo che nei testi riportati, si parla specificatamente di salmi, inni e cantici. Non esiste, secondo me, l’improbabilità che il “salmo”, cui parla 1Corinzi 14:26 non faccia riferimento ai salmi di Davide, visto che quei salmi , denominati anche “salterio”, venivano anche cantati. Comunque, quello che a noi interessa è il canto nel culto, indipendentemente da quello che potrebbe significare 1Corinzi 14:26.
 
Se poi ai testi neotestamentari citati uniamo alcuni di quelli dell’A.T., il valore del canto apparirà sempre più significativo.
Cantate a Dio, salmeggiate al suo nome, preparate la via a colui che cavalca attraverso i deserti; il suo nome è il SIGNORE; esultate davanti a lui (Salmo 68:4).
Servite l’Eterno con letizia venite davanti a lui con canti di gioia (Salmo 100:2) [ND].
 
Il canto nel culto, non è esibizione canora, nel senso di mettere in mostra le capacità e la professionalità di chi lo esegue; (anche se la capacità e la professionalità di chi canta è apprezzata) e neanche è creare spettacolo, nel senso come fanno gli artisti di professione quando salgono sopra un palco di un teatro per esibirsi. Il canto cristiano, (che non è da paragonarlo a quel mondano), è essenzialmente “un esprimere sentimenti di gratitudine e di riconoscenza per quello che si riceve dalla mano di Dio e dalla Sua grazia”. Inoltre, si tenga presente che il canto nel culto, non è indirizzato alla comunità riunita in assemblea — anche se la stessa ne ricava beneficio — ma a Dio, Onnipotente e Onnipresente, che “dimora nelle lodi d’Israele (Salmo 22:3) [ND].  
 
Se poi si tiene in debito conto la specificazione che fa Paolo, nei due passi suesposti cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore e cantate di cuore a Dio, la finalità del canto nel culto, appare abbastanza chiara. Se questi elementi non si tengono presenti, il canto nel culto, oltre ad essere sfigurato nella sua essenza, rischia di perder anche il suo vero significato e ridurlo alla stregua di quello mondano.
 
Fissare tempi di durata nello svolgimento del culto cristiano, nel suo insieme (ammenoché non ci siano situazioni particolari che lo giustifichino, come per esempio un altro culto nello stesso locale) secondo me, è un errore madornale. Si direbbe, perché? Non è forse precisato che nel culto tutto deve svolgersi con ordine? Sì, è vero che nel culto ci deve essere ordine, ma in che cosa? Nello stabilire la durata del culto? Rispondo con un fermo no! L’ordine cui fa riferimento Paolo, riguardava le varie manifestazioni carismatiche ammesse nel culto, vale a dire, il parlare in lingue che non doveva essere eseguito da più di tre, e uno dietro l’altro e non insieme in una volta, ammesso che ci fosse stata l’interpretazione, altrimenti chi parlavano in lingue, dovevano tacere ed esprimersi tra se e Dio; le rivelazioni, che si riferiscono al messaggio profetico, non potevano essere a numero indeterminato, ma al massimo in tre. Queste manifestazioni carismatiche, dovevano essere regolate, non nel tempo da assegnare loro, ma nel numero di quelli che sarebbero stati tenuti a parlare. Agendo con tempi stabiliti, in pratica vuol dire non dare spazio alle manifestazioni carismatiche, o peggio ancora, non riconoscerle come facente parte integrale del culto cristiano.  
 
Il formalismo religioso, si chiude alle manifestazioni carismatiche, forse perché pensa e crede, che quelle manifestazioni erano per l’era apostolica. Avere una simile convinzione, significa inquadrare tutto nel passato e dimenticare il presente.  
 
Oggi, in molte chiese, lo Spirito Santo è imbavagliato e ridotto quasi al silenzio; non gode più quella libertà di manifestarsi a mezzo de Suoi doni com'Egli vuole; tutto si svolge secondo una precisa prassi liturgica. Nei nostri culti si cura più la parte esteriore della realtà religiosa a danno di quell'interiore che è di gran lunga superiore. Credo che sia tempo di darsi una scrollatina e liberarsi dal formalismo religioso, perché lo Spirito del Signore possa avere quella preminenza che Gli compete, in modo che il popolo di Dio, possa godere quella pianezza di benedizione che viene dal cielo e che veramente rende felici.
 
Concludo con il ricordo di un’anziana vedova sorella, che oggi si trova col Signore, che mi diceva: “di frequente mi viene chiesto, quando termina il culto; ho sempre risposto: so l’orario quando comincia e non conosco quando finisce”.
 
Sul canto e sul culto, il discorso non è ancora terminato; lo farò alla prossima volta!
 
Domenico
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #48 Data del Post: 25.01.2010 alle ore 12:26:13 »
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Pace Domenico, devo dire che condivido quanto esposto.
 
Vorrei solo far notare che forse, c'è un qualcosa da "notare", nei versi citati.
 
In 1Corinti 14:26, è chiaro che quando si parla di "quando vi riunite", si sta parlando di "Culto", di "funzione".
Ma negli altri versi, il tutto è riferito al "singolo", che cercando e mantenendo la "comunione dei/con i Santi", farà quello, e cioè "parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore ", " La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali".
 
In questo "fare", dubito che si sta parlando del "Culto", la "funzione".
 
Questo, mette ancora più in evidenza, secondo me, che "i tre stati... del credente", non si possono "analizzare" o "vedere" nel "Culto", perchè comunque sia, sia che sia fatto in modo "formale", o che sia fatto nella "libertà dello Spirito", esso è comunque "un'appuntamento", un'occasione d'incontro con tutta l'Assemblea, in un giorno (o più di uno) stabilito.
 
Mentre il "credente", ricerca (dovrebbe) sempre la "comunione dei Santi" (non la "comune adunanza"Occhiolino.
Questo per esempio, potrebbe essere "indice" di uno di quei tre "stati".
In quanto se la "Parola abita in noi abbondantemente", cercheremo la "comunione dei Santi", parlandoci l'un l'altro, istruendoci ed esortandoci, cantando e salmeggiando, e non avremmo altri "interessi" da coltivare, se non quella "comunione".
In quel caso, sarebbe difficile parlare di "cantori professionisti...", di "esibizioni", di "capacità", perchè verrebbe comunque a mancare tutto "l'apparato organizzatorio" (diciamo...) che invece è "necessario" in un "Culto", ma è sufficiente la Parola (che dimora appunto in noi), e una chitarra...(per esempio...)

Quote:
Concludo con il ricordo di un’anziana vedova sorella, che oggi si trova col Signore, che mi diceva: “di frequente mi viene chiesto, quando termina il culto; ho sempre risposto: so l’orario quando comincia e non conosco quando finisce”.

 Sorridente
Questo, poteva accadere quando i "fratelli", non avevano altro desiderio (o forse altri "impegni"  Indeciso ), che non di stare insieme ai Santi. E questo, non solo "durante il Culto".  
 
Personalmente, visto che si parla di "durata del Culto", etc..., direi che anche "l'orario" in cui si tiene, questo "Culto", è stato "conformato" alle esigenze, più o meno "coscienti" dei fedeli.
E come si sa, "una cosa tira l'altra....".
 
Per esempio, (solo per esempio  Sorridente ), è molto comodo, il Culto di mattina, la Domenica...; Il pomeriggio e la serata, possono così essere dedicate liberamente a tutto ciò che non potremmo fare di settimana. Che so io, andare con gli amici a cena, al cinema..., o semplicemente passare l'unica serata libera da impegni in famiglia, davanti alla tv, magari con un bel DVD.  
 
Di "contro", come "effetto collaterale" di questa scelta spesso inconsapevole, c'è il fatto che il Culto, deve essere "sottoposto" obbligatoriamente ad una "durata", in quanto all'una massimo (circa), è ora di pranzo, e i "bambini" (ma anche gli adulti), devono certo mangiare...
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Domenico
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #49 Data del Post: 27.01.2010 alle ore 23:50:36 »
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Continuazione

Riprendo il discorso sul canto e sul culto per portarlo a termine. Se ho citato Efesini 5:19 e Colossesi 3:16, due testi che i commentatori riferiscono per spiegare che la parola “salmo” di 1Corinzi 14:26, si richiama al canto, e non alla recita di un salmo, come qualcuno suggerisce. Che il canto nel culto abbia un posto importante, credo che nessuno lo metterà in dubbio. La nostra discussione verte su un punto del nostro tema, cioè se attraverso il canto, è possibile che un credente potrà manifestare il suo stato di fervenza. Sono perfettamente convinto che lo potrà palesare. Tutto dipende, naturalmente, come si inquadra l’argomento, quale valutazione si dà ad esso e quali elementi si mettono in risalto per offrire un giudizio.  
 
“Cantare e salmeggiare”, sono espressioni che meglio si adattano nella celebrazione di un culto, anziché nella vita privata di un credente. Questo però non significa che il credente non può cantare e salmeggiare quando è solo, o quando si trova in un rapporto di comunione con un altro credente. Però, in un culto, dove la comunità si trova radunata in assemblea per uno scopo particolare, il salmeggiare e il cantare hanno tutto un altro scopo; ma andiamo al dunque.
 
Ho detto chiaramente che il canto nel culto, ha lo scopo di mettere in risalto quei sentimenti di gratitudine e di riconoscenza a Dio, per tutti i beni della Sua grazia. Attraverso il cantico, non si notificano solamente le varie richieste al Signore, ma si loda e si magnifica principalmente il Suo Nome, offrendogli l’adorazione. Per fare questo, naturalmente, non occorre che ci sia un particolare canto fatto da professionisti, o preparato con tecniche che riflettono una preparazione accademica.  
 
Ricordo di aver sentito di prima mano, cioè personalmente, il racconto di un pastore, italo-americano, il quale, in una riunione pastorale tenuta in Canada, riferì quanto segue: “Nella mia chiesa, un giorno invitai un gruppo di cantori, per cantare nel culto. Quando gli venne dato la libertà di farlo, chi dirigeva il gruppo, appena salì sopra il pulpito, la prima cosa che disse fu: “Ed ora cominciamo a lodare il Signore”. All’udire quelle parole, dicevo in me sesto, perché il canto che la comunità ha innalzato, non è stato un lodare il Signore?”
 
Oggi, i gruppi di cantori che vanno in giro per le chiese, hanno questa convinzione: “La lode al Signore si innalza, quando loro cominciano a cantare”. Questa convinzione, secondo me, non è solamente errata, deve essere anche denunciata con fermezza.  
 
Durante i lunghi anni del mio ministero, ho ascoltato tante corali e gruppi di cantori. In tutti ho notato un’eccellenza preparazione accademica, cioè l’arte del cantare, ma non tutti hanno manifestato quel fervore, di cui stiamo parlando; questi, infatti, si palesa, quando il canto è cantato con il cuore. Che cosa intendo con quest'affermazione? Subito detto.  
 
Nelle due citazioni che ho prodotto, cioè Efesini 5:19 e Colossesi 3:16, l’apostolo non parla solamente di salmi, inni e cantici spirituali e di cantare sotto l’impulso della grazia, ma mette anche in risalto di farlo con il vostro cuore al Signore e cantate di cuore a Dio. Questo significa che non tutto il cantare che viene eseguito, è fatto con il cuore al Signore e di cuore a Dio. Potrebbe sembrare un'esagerazione, o peggio ancora assumere una posizione di severo giudizio nei confronti di chi canta. Niente di tutto questo!
 
Per chiarire tutta la questione, mi servirò di un testo del profeta Isaia, con il suo relativo riscontro nel Nuovo Testamento, per dare validità anche per noi ai nostri giorni. Il testo isaiano recita:  
 
Il Signore ha detto: «Poiché questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini (Isaia 29:13). Le parole in questione, non sono rivolte ai pagani, cioè a persone che non conoscono niente di Dio e della Sua legge; sono invece indirizzate ad Israele, popolo di Dio. Ai tempi del profeta Isaia, Israele si avvicinava al Signore con la bocca e lo onorava con le labbra, mentre il suo cuore era lontano da Lui e il timore che aveva di Dio, era semplicemente un comandamento che aveva imparato dagli uomini.
 
Il Nuovo Testamento riporta questa citazione, in due testi.  
 
Ipocriti, ben profetizzò Isaia di voi quando disse: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me.
Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini»
(Matteo 15:7-9);
E Gesù disse loro: «Ben profetizzò Isaia di voi, ipocriti, com’è scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me.
Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini"
(Marco 7:6-7).
 
Per valutare la citazione del profeta Isaia, bisogna tener presente il fatto che lo fece Gesù e non un suo discepolo. Il giudizio che Gesù formulò nei confronti dei religiosi dei suoi tempi, era basato sul fatto che Egli, essendo Dio fatto carne, conosceva l’interiore di quelle persone, e, sapendo che erano degli autentici ipocriti, (santi davanti agli uomini, ma non davanti a Dio), poteva affermare che l’onore che rivolgevano a Dio, era solamente fatto con le labbra, mentre il loro cuore era lontano dal Signore. Inoltre, il culto che rendevano a Dio, era invano, cioè non aveva valore, significato davanti a Lui, visto che insegnavano dottrine che erano precetti di uomini.
 
Sulla base di questi testi, quando in un culto e anche fuori di esso, il canto della lode viene fatto solamente con le labbra, con la bocca e non con il cuore, (non importa se è eseguito maestrevolmente e con gesti particolari) oltre a non avere nessun valore davanti a Dio, quindi davanti a Lui non è gradito, mi domando: quale fervore potranno manifestare quelli che si comportano in quel modo? Potrà il loro modo di agire, farlo risalire all’ispirazione dello Spirito Santo? Non ho nessun'incertezza, per rispondere con un risoluto e fermo: assolutamente no!
 
Quando però, c’è l’ispirazione dello Spirito di Dio, cioè quelli che cantano si trovano sotto l’influenza e l’unzione della guida divina, il loro cantare, oltre ad essere gradito al Signore, perché viene eseguito con il cuore, risulterà immensamente di benedizione a tutta la comunità radunata in assemblea. La fervenza di ogni singolo cantante (quando si tratta di un gruppo di cantori), non si rivelerà solamente dal tenore del timbro della voce o dalla posizione corporale che assumono, ma dal calore che sprigionano.  
 
segue...
 
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #50 Data del Post: 27.01.2010 alle ore 23:54:04 »
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Ricordo un’esperienza che feci, anni addietro, in un campeggio cristiano. Durante il giorno, si tenevano diversi culti e vari fratelli si susseguivano nella predicazione della Parola del Signore. La sera, però, si riunivano tanti fratelli e sorelle che, a motivo dei loro impegni di lavoro, non potevano partecipare di giorno.  
 
Una sera, si verificò qualcosa di particolare in quell’assemblea radunata sotto una tenda. C’era una brava pianista che, con il suo modo di suonare, aveva guidato il canto di una brava solista. Terminata quell'esecuzione, tutta l’assemblea cominciò a ripetere “alleluia”, sotto forma di un cantico. Quel modo di cantare, che la brava pianista accompagnava l’assemblea, si protrasse per più di due ore ininterrottamente.  
 
Il pastore quella sera doveva fare degli annunci previsti, ma non poté agire e neanche il predicatore designato fu in grado di predicare la Parola del Signore, per il semplice motivo che quel cantare “alleluia”, in quel modo, era incessante e non c’era verso di fermarlo. All’indomani mattina, una sorella del luogo raccontò: “Quando l’assemblea cominciò a cantare “alleluia”, vidi entrare sotto la tenda un angelo del Signore che sparse una manata di fuoco sopra di noi”. Ecco perché quel cantare in quel modo alleluia, non si poteva fermare.
 
Quando lo Spirito del Signore guida il popolo nelle varie fasi del culto, si può vedere la gloria di Dio manifestarsi e riempire i cuori di vera gioia e di vera felicità.
 
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #51 Data del Post: 31.01.2010 alle ore 18:49:24 »
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Una domanda agli utenti
 
Secondo voi, cos’altro si potrebbe aggiungere, oltre a quanto è stato detto, intorno allo stato di fervenza di un credento, riguardante la sua fedeltà a Dio e alla Sua Parola, al servizio tra la fratellanza e con il prossimo?
Or su, datevi da fare a scrivere.
 
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Re: I tre stati in cui il credente si può trovare
« Rispondi #52 Data del Post: 05.02.2010 alle ore 04:06:11 »
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Fedeltà a Dio e alla Sua Parola
 
Tenuto conto che il mio invito non ha esordito a quello che avrei sperato, cioè che qualcuno si fosse mosso per scrivere, lo faccio ancora una volta io, visto che sono stato il promotore del topic.
 
Concepire lo stato di fervenza di un credente senza tener conto della fedeltà a Dio e alla Sua Parola, è quanto mai improbabile, per il semplice motivo che quando ci sarà veramente il fervore nella vita di un credente, è inconcepibile che il fedele non metta al primo posto nella sua vita, la sua fedeltà a Dio e alla Sua Parola. Infatti, dissociare la fervenza di un credente dalla fedeltà a Dio e alla Sua Parola, non è solamente “inconcepibile”, ma è anche “insostenibile” dal punto di vista della coerenza della vita cristiana. In altre parole si può affermare che la fervenza cammina di pari passo con la fedeltà a Dio e alla Sua Parola, cioè: un credente che vive realmente nello stato di fervenza, non potrà ignorare quello che Dio dice nella Sua Parola.  
 
Per sviluppare questo concetto, mi rifaccio a due episodi biblici. Il primo si trova nel libro dei Numeri, capitolo 25, in cui si racconta che Israele, ritrovandosi nelle pianure di Moab, precisamente a Sittim, si diede alla fornicazione con le figlie di Moab. Queste ultime, visto che erano nelle grazie degli israeliti, riuscirono a convincere i figli d’Israele a partecipare ai loro sacrifici che offrivano ai loro dèi, a mangiare con loro e a prostrarsi davanti ai loro dèi. Così facendo, il testo sacro precisa che, Israele si unì a Baal-Peor e l’ira del Signore si accese contro Israele. Talmente Israele si era dato alla fornicazione e all’idolatria con le figlie dei Moabiti, che avevano perso ogni decenza e ogni controllo. Il testo precisa:
 
Ecco che uno dei figli d’Israele venne e condusse ai suoi fratelli una donna madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità dei figli d’Israele, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda di convegno.
E Fineas, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, lo vide, si alzò in mezzo alla comunità e afferrò una lancia;
poi andò dietro a quell’Israelita nella sua tenda e li trafisse tutti e due, l’uomo d’Israele e la donna, nel basso ventre. E il flagello cessò tra i figli d’Israele.
Di quel flagello morirono ventiquattromila persone.
Il SIGNORE parlò a Mosè e disse:
«Fineas, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, ha allontanato la mia ira dai figli d’Israele, perché egli è stato animato del mio zelo in mezzo a loro; e io, nella mia indignazione, non ho sterminato i figli d’Israele.
Perciò digli che io stabilisco con lui un patto di pace,
che sarà per lui e per la sua discendenza dopo di lui: l’alleanza di un sacerdozio perenne, perché egli ha avuto zelo per il suo Dio, e ha fatto l’espiazione per i figli d’Israele»
(Numeri 25:6-13).
 
Davanti a questa desolante e oscura scena, Fineas, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, ebbe il coraggio di inseguire i due spasimanti nella tenda dove l’israelita e la moabita si erano uniti in un rapporto sessuale e di ucciderle. Davanti a quest'azione, Dio rese testimonianza dell’azione di Fineas, precisando che se egli agì in quel modo, fu per lo zelo che aveva per il suo Dio. A sua volta, zelo, significa: «ardente fede religiosa, fervore spirituale».
 
Come si può ben notare, il fervore di Fineas, era strettamente collegato alla fedeltà del suo Dio e alla Sua legge, che non ammetteva, anzi proibiva severamente quel tipo di rapporto sessuale. Lo stato di fervenza di un credente si conosce nel rispetto e nell’ubbidienza a quello che Dio dice nella Sua Parola.
 
Il secondo episodio biblico si trova in 2 Re, nei capitoli 9 e 10, in cui si parla di Ieu, un capitano che Dio scelse per portare a compimento quello che aveva detto, tramite il profeta Elia, circa la punizione che sarebbe inflitta ad Acab e alla sua casa. Ecco il testo che indica specificatamente il mandato che Ieu riceve da parte di Dio.
 
Quando vi giunse, i capitani dell’esercito stavano seduti assieme; e disse: «Capitano, ho da dirti una parola». Ieu chiese: «A chi di noi?» Quegli rispose: «A te, capitano».
Ieu si alzò, ed entrò in casa; e il giovane gli versò l’olio sul capo dicendogli: «Così dice il SIGNORE, Dio d’Israele: "Io ti ungo re del popolo del SIGNORE d’Israele.
Tu colpirai la casa di Acab, tuo signore, e io vendicherò il sangue dei profeti miei servi e il sangue di tutti i servi del SIGNORE, sparso dalla mano di Izebel.
Tutta la casa di Acab perirà, e io sterminerò dalla casa di Acab fino all’ultimo uomo, tanto chi è schiavo quanto chi è libero in Israele.
Ridurrò la casa di Acab come la casa di Geroboamo, figlio di Nebat, e come la casa di Baasa, figlio di Aiia.
I cani divoreranno Izebel nel campo d’Izreel, e non vi sarà chi le dia sepoltura"»
(2Re 9:5-10).  
 
Seguendo la lettura dei capitoli 9 e 10 di 2 Re, Ieu, non solo viene unto e proclamato re d’Israele, ma procede anche alla descrizione dell’opera che egli porterà a compimento, nel distruggere la casa di Acab. Se Ieu distrusse la casa di Acab, lo fece con riferimento al mandato divino per tale scopo. Inoltre, se egli fu fermo e risoluto nel portare a termine il suo lavoro, la sua fermezza e la sua risolutezza, gli derivava principalmente dalla consapevolezza che Dio lo aveva scelto per compiere una particolare missione: punire con severità la casa di Acab. A questo punto è necessario conoscere il fervore di quest’uomo in quello che egli compie; ecco il testo che glielo rivela.
 
Ieu partì di là e trovò Ionadab, figlio di Recab, che gli veniva incontro; lo salutò, e gli disse: «Il tuo cuore è leale verso il mio, come il mio verso il tuo?» Ionadab rispose: «Lo è». «Se è così», disse Ieu, «dammi la mano». Ionadab gli diede la mano; Ieu lo fece salire vicino a sé sul carro, e gli disse:
«Vieni con me, e vedrai il mio zelo per il SIGNORE!» Così lo portò via nel suo carro
(2Re 10:15-16).
 
Non era solamente Ieu che conosceva lo zelo che egli aveva per il suo Signore; l’avrebbe anche appreso Ionadab, standogli vicino. Quando c’è il vero fervore nella vita di un credente, non resterà nascosto; si manifesterà apertamente in modo che altri lo potranno vedere e costatare. Il tutto sarà improntato nel rispetto e nell’ubbidienza a Dio e alla Sua Parola.
 
Domenico
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