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   La vita (com'esistenza) dell’aldilà
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   Autore  Topic: La vita (com'esistenza) dell’aldilà  (letto 5199 volte)
Domenico
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La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Data del Post: 30.09.2009 alle ore 04:36:03 »
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In questo topic vorrei trattare “la vita (com'esistenza) dell’aldilà”, sia per quanto riguarda i credenti come anche per i perduti. L’analisi che intendo condurre, partirà dai termini greci e i loro significati etimologici, che il Nuovo Testamento adopera per descrivere la vita (com'esistenza) oltre tomba. I termini in questione sono:
 
Hadēs, (sogiorno dei morti)
 
Paradeisos (paradiso)
 
Yeenna (valle nella quale ognuno discende a causa della sua leggerezza (himôm)  
 
Ouranos (cielo)
 
Bēmatos (da Bēma) tou Xristou (tribunale di Cristo)
 
Attraverso questi termini che il greco del Nuovo Testamento adopera, possiamo ricavare tante notizie riguardanti la vita oltre tomba, cioè dopo la morte. Naturalmente quest'esame lo farò voce per voce, per evitare di creare confusione e per rendere facile, nello stesso tempo, la comprensione del testo biblico. Fornirò anche una statistica riguardante, le occorrenze di ogni lemma, per poi passare all’esame dei vari testi, (tranne quelli di ouranos), visto che questa parola, ricorre nell’ordine di diverse centinaia di volte tra la forma singolare e quello plurale. Di quest’ultimo lemma, però, fornirò il totale delle occorrenze oltre a parlare dello stato di felicità eterna. Così facendo, avremo un panorama completo di quello che le Scritture insegnano a tale riguardo.  
 
Pensate che sia utile trattare un simile tema ai fini di accrescere la nostra conoscenza?
« Ultima modifica: 30.09.2009 alle ore 04:38:20 by Domenico » Loggato
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #1 Data del Post: 30.09.2009 alle ore 07:41:40 »
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Penso proprio di si, anche perché, in genere, non è molto trattato.
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Aiutiamoci gli uni gli altri a liberarsi da quello che ritarda il nostro cammino.
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #2 Data del Post: 02.10.2009 alle ore 00:08:07 »
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Hadēs
 
Il termine hadēs, di significato incerto, etimologicamente parlando, potrebbe significare “luogo invisibile”; è menzionato nel Nuovo Testamente 10 volte. Come si vede dalla tabella sottostante, il termine in questione si trova: due volte in Matteo; due volte in Luca; due volte in Atti e quattro volte in Apocalisse. Per controllare come questo lemma è stato tradotto, ho preso in esame tre versioni:
 
                            ND,               NR,                      CEI
Matteo 11: 23      inferno       ades                      inferi
“          16:18       “                  “                            “
Luca    10:15        “                 “                            “
“          16:23       “                  “                         inferno
Atti        2:27       ades            “                         inferi
“              31        “             sogiorno dei morti   “
Apoc.      1:8        “             ades                        “
“             6:8        “             “                              inferno
“          20:13       “             “                              inferi
“               14       “             “                              “  
Totale   10 volte.  
 
Come si può vedere chiaramente, le tre traduzioni, non hanno dato lo stesso significato a tutti i testi menzionati. Secondo me, il significato di “inferno” che il Diodati e la CEI, hanno attribuito ad alcuni passi, non corrisponde al vero, se si considera che l’Hadēs, è un luogo di accoglienza temporanea tra la morte e la risurrezione e non è definitivo com'effettivamente è l’infermo. Questo, naturalmente, si vedrà quando esamineremo i testi elencati. Per quanto riguarda le citazioni bibliche, invece di limitarmi a riferire il capitolo e i versetti, preferisco riportare le parole del testo, in modo che chi legge, l’abbia sottomano
 
«Nei LXX hadēs è traduzione corrente di še’ôl (sheol). Questa parola designa nell’A.T. la dimora dei morti, concepita come un luogo oscuro (Iob 10:21s.) e situato al di sotto dell’oceano (Iob 26:5) che dietro le sue ‘porte’ (Is. 38:10; Iob 38:17) racchiude per sempre (Iob 7:9s.; 16,22; Eccl. 12,5) tutte indistintamente (Ps. 89,49) le ‘ombre’ dei trapassati (Is. 14:9). Questa raffigurazione veterotestamentaria dello še’ôl collima sostanzialmente con la comune concezione babilonese dell’oltretomba» [J. Jeremias, GLNT, (Grande lessico del Nuovo Testamento) Vol. I, col. 393].
 
Per il sostantivo še’ôl (sheol), peculiare dell’ebraico, si sono fatti diversi tentativi per stabilire la sua derivazione. C’è chi l’ha fatto derivare da šâ’al ‘interrogare’ (Gesenius) e con lui si sono uniti (König, Albrigth, C.H. Gordon) il cui significato sarebbe «(luogo della) consultazione». F. Delitzsch, l’ha fatto derivare dall’accadico šu’alu, un nome del regno sotterraneo; mentre von Soden, riprendendo un suggerimento di Albrigth, partì dall’accusativo šu’âra che avrebbe indicato in origine la dimora sotterranea di Tammuz e poi sarebbe diventato il nome del regno infernale stesso. Gli studiosi ritengono che, questa spiegazione, oltre ad essere troppo complessa, non regge ad un accurato esame. Qualche altro, Dévand, l’ha fatto derivare dall’egiziano ðihôr «stagno di Horo». Per Köhler la derivazione di še’ôl, sarebbe da š’h che ha diversi significati tra loro: 1. essere desolato; 2. rumoreggiare, infuriare, e 3. considerare. Köhler, considera i primi significati per farli combaciare alla desolazione del regno infernale. Comunque, considerando la famiglia lessicale di š’h, resta sempre dubbio che še’ôl sia realmente un membro di questa famiglia. Infine, si pensa che dividendo in due še ’ôl si potrebbe risalire ad un più antico še’āl: nella sillaba accentata una â lunga di natura divenne in antico cananaico una ō così da leggere še’ôl. In conclusione, visto che non c’è accordo tra gli studiosi per quanto riguarda la derivazione di še’ôl, la cosa più semplice è quella di considerare la še’ôl una parola a sé e trattarla come tale. Resta per tanto incerto il suo significato etimologico.
 
Il termine še’ôl ricorre nell’A.T. 66 volte e i LXX, per 60 volte, l’hanno tradotto hadēs. Gli Israeliti s’immaginavano il regno dei morti come un vasto spazio negli abissi della terra, un mondo sotterraneo. L'ubicazione in profondità della še’ôl risulta dai verbi che denotano il raggiungimento degli inferi. Si hanno quasi sempre forme di ‘scendere’, «mandare giù nel profondo». “Tu vai dal re con dell’olio e gli porti profumi in grande quantità; mandi lontano i tuoi ambasciatori e ti abbassi fino al soggiorno dei morti” (še’ôl) (Isaia 57:9). Lo stesso vale per Giobbe 21:13 “Passano felici i loro giorni poi scendono in un attimo nel soggiorno dei morti” (še’ôl), come anche per Giobbe 17:16 “Essa discenderà alle porte del soggiorno dei morti (še’ôl), quando nella polvere troveremo riposo assieme”.  
 
Altri verbi di movimento si hanno in Amos 9:2 “Anche se penetrassero nel soggiorno dei morti (še’ôl), la mia mano li strapperebbe di là; anche se salissero in cielo, io li tirerei giù”. “Gli empi se ne andranno al soggiorno dei morti (še’ôl), sì, tutte le nazioni che dimenticano Dio” (Salmo 9:17); “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti (še’ôl) dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza” (Ecclesiaste 9:10).  
 
La profondità abissale della (še’ôl) è sottolineata dai seguenti testi: “Infatti il fuoco della mia ira si è acceso e divamperà fino in fondo al soggiorno dei morti (še’ôl); divorerà la terra e i suoi prodotti e infiammerà le fondamenta delle montagne” (Deuteronomio 32:22); “Perché grande è la tua benignità verso di me; tu hai salvato l’anima mia dallo Sceol” (Salmo 86:13) (ND); “Ma egli non sa che là sono i defunti, che i suoi convitati giacciono in fondo al soggiorno dei morti” (še’ôl) (Proverbi 9:18).
 
Secondo la visione del mondo degli Ebrei antichi la sheol si trova al disotto dell’oceano sotterraneo sul quale galleggia la terra. “Davanti a Dio tremano le ombre disotto alle acque e ai loro abitanti.
Davanti a lui il soggiorno dei morti (še’ôl) è nudo, l’abisso è senza velo” (Giobbe 26:5-6); “Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti (še’ôl), eccoti là” (Salmo 139:8); “Si tratta di cose più alte del cielo; tu che faresti? Di cose più profonde del soggiorno dei morti (še’ôl); come le conosceresti?” (Giobbe 11:8); “«Chiedi un segno al SIGNORE, al tuo Dio! Chiedilo giù nei luoghi sottoterra o nei luoghi eccelsi!»” (Isaia 7:11).
 
Segue...  
 
« Ultima modifica: 08.01.2010 alle ore 21:58:40 by Domenico » Loggato
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #3 Data del Post: 02.10.2009 alle ore 00:30:06 »
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Alcuni testi esprimono caratteristiche che si adattano alla convinzione degli Israeliti per indicare la discesa agli inferi, pur usando i termini “fossa” e “tomba”. “Poiché non è il soggiorno dei morti (še’ôl) che possa lodarti, non è la morte che ti possa celebrare; quelli che scendono nella tomba non possono più sperare nella tua fedeltà” (Isaia 38:18); “allora ti tirerò giù, con quelli che discendono nella fossa, fra il popolo dun tempo; ti farò abitare nelle profondità della terra, nelle solitudini eterne, con quelli che scendono nella fossa, perché tu non sia più abitata; invece rimetterò lo splendore sulla terra dei viventi” (Ezechiele 26:20); “Così è avvenuto affinché tutti gli alberi piantati presso le acque non siano orgogliosi della propria altezza, non sporgano più la vetta tra il folto dei rami, e tutti gli alberi potenti che si dissetano alle acque non persistano nella loro fierezza; poiché tutti quanti sono dati alla morte, alle profondità della terra, assieme ai figli degli uomini, a quelli che scendono nella fossa.
Al rumore della sua caduta feci tremare le nazioni, quando lo feci scendere nel soggiorno dei morti con quelli che scendono nella fossa; nelle profondità della terra si consolarono tutti gli alberi di Eden, i più scelti e i più belli del Libano, tutti quelli che si dissetavano alle acque” (Ezechiele 31:14,16); “Io grido a te, o SIGNORE; Ròcca mia, non essere sordo alla mia voce, perché, se non mi rispondi, io sarò simile a quelli che scendono nella tomba” (Salmo 28:1); “inghiottiamoli vivi, come il soggiorno dei morti, e tutti interi come quelli che scendono nella tomba” (Proverbi 1:12). C’è poi un’espressione che indica la “fossa inferiore o più profonda. “Invece ti hanno fatto discendere nel soggiorno dei morti, nelle profondità della fossa!”; Ezechiele 32:23 “I suoi sepolcri sono posti nelle profondità della fossa, e la sua moltitudine sta attorno al suo sepolcro; tutti sono uccisi, caduti per la spada, essi che spargevano il terrore sulla terra dei viventi” (Isaia 14:15).
 
L’ineluttabilità della morte poteva esser definendo poeticamente, come fame insaziabile del mondo sotterraneo. “Il soggiorno dei morti e l’abisso sono insaziabili, e insaziabili sono gli occhi degli uomini” (Proverbi 27:20); “Perciò il soggiorno dei morti si è aperto bramoso, e ha spalancato oltremisura la gola; laggiù scende lo splendore di Sion e la sua folla chiassosa e festante” (Isaia 5:14).  
 
Il racconto di Datan e Abiram, descrive quello che accadde a loro e a tutti quelli che li seguirono nella loro ribellione. “Mosè disse: «Da questo conoscerete che il SIGNORE mi ha mandato per fare tutte queste cose, e che non le ho fatte di testa mia.
Se questa gente muore come muoiono tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, il SIGNORE non mi ha mandato;
ma se il SIGNORE fa una cosa nuova, se la terra apre la sua bocca e li ingoia con tutto quello che appartiene a loro e se essi scendono vivi nel soggiorno dei morti, allora riconoscerete che questi uomini hanno disprezzato il SIGNORE».
Appena egli ebbe finito di pronunciare tutte queste parole, il suolo si spaccò sotto i piedi di quelli,
la terra spalancò la sua bocca e li ingoiò: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutta la loro roba.
Scesero vivi nel soggiorno dei morti; la terra si richiuse su di loro, ed essi scomparvero dal mezzo dell’assemblea” (Numeri 16:28-33).
 
Infine, la concezione della sheol acquista importanza teologica in quanto la segregazione nella sheol comporta la lontananza da Dio. La concezione generale in Israele era prevalentemente che Jhwh non avesse niente a che fare con i morti e che costoro non potessero avere alcuna comunione con lui. Ecco, cosa affermano alcuni testi: “La tua bontà sarà narrata nel sepolcro? O la tua fedeltà nel luogo della distruzione?
Le tue meraviglie saranno forse conosciute nelle tenebre, e la tua giustizia, nella terra dell’oblio?
Ma io grido a te, o SIGNORE, e la mattina la mia preghiera ti viene incontro” (Salmo 88:11-13); “Poiché non è il soggiorno dei morti che possa lodarti, non è la morte che ti possa celebrare; quelli che scendono nella tomba non possono più sperare nella tua fedeltà” (Isaia 38:18); “Non sono i morti che lodano il SIGNORE, né alcuno di quelli che scendono nella tomba” (Salmo 115:17). [Per una paronamica dettaglia del termine (še’ôl), si veda l’articolo che L. Wächter ha scritto in GLAT (Grande lessico Antico Testamento), opera di valore scientifico, riconosciuta in campo internazionale, Vol. VIII, col. 900-912].
 
Riprendendo il discorso sull’Hadēs, il Nuovo Testamento «si collega in gran parte a quella del tardo giudaismo. Ciò risulta evidente dal racconto del ricco epulone (Luca 16:19-31) che non soltanto è nel suo complesso un fedele quadro di vita contemporanea, ma anche nella raffigurazione dell’Ade collima puntualmente come dimostra soprattutto un confronto con Hen. Aeth. 22 con la ‘concezione popolare media’».
 
È estraneo a tutto il Nuovo Testamento, come al tardo giudaismo, l’idea del sonno dell’anima; l’immagine del sonno in Marco 5:39 “Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme»”; “il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (1Tessalonicesi 5:10); “Così parlò; poi disse loro: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma vado a svegliarlo».
Perciò i discepoli gli dissero: «Signore, se egli dorme, sarà salvo»” (Giovanni 11:11-12) è esclusivamente una designazione eufemistica della morte. Con questa l’anima si separa dal corpo, ma nell'attesa della risurrezione, riceve una retribuzione temporanea. Quando nel Nuovo Testamento si parla dell’Ade si intende sempre la dimora provvisoria delle anime sciolte dal corpo “Per questo si è rallegrato il mio cuore, la mia lingua ha giubilato e anche la mia carne riposerà nella speranza;
previde la risurrezione di Cristo e ne parlò affermando che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione” (Atti 2:26,31). [Per un'esauriente trattazione del soggetto riguardante l’Hadēs, rimandiamo all’articolo di J. Jeremias, in GLNT (Grande lessico del Nuovo Testamento) opera di valore scientifico riconosciuta in campo internazione, Vol. 1, col. 393-400]
 
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #4 Data del Post: 02.10.2009 alle ore 11:49:03 »
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Grazie Domenico, lo studio è chiaro ed interessante  Sorriso
 
Che il Signore ti benedica, restiamo in attesa degli altri termini.
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #5 Data del Post: 04.10.2009 alle ore 18:45:23 »
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Infine, per ciò che riguarda la dottrina del sonno dell’anima, dobbiamo specificare che è «sostenuta dagli Avventisti del Settimo giorno, dai Testimoni di Geova e da diversi gruppi minori, i quali affermano che dopo la morte, l'anima riposa in una condizione d'incoscienza fino alla risurrezione. Costoro adducano le seguenti ragioni: 1) Spesso la Bibbia fa riferimento alla morte come al sonno (1Tessalonicesi 4:13,14; Giovanni 11:11-14; 2) si suppone che l’anima non possa agire senza il corpo, quindi non si sveglierà finché non sarà riunita al corpo con la risurrezione; 3) sembra inopportuno che i giusti godano della felicità celeste, o che gli ingiusti soffrano nell’Ades fino al giudizio (Ebrei 9:27).
 
Le summenzionate argomentazioni a favore della dottrina del sonno dell’anima verranno contrapposte nello stesso ordine:
 
a) L’utilizzo del termine “sonno” con riferimento alla morte, è un’espressione figurata ed eufemistica usata per enfatizzare il fatto che le persone decedute continuano a vivere.  
«L’utilizzo metaforico del termine “sonno” è appropriato in virtù della somiglianza apparente tra un corpo che dorme e un corpo deceduto, perché ordinariamente il riposo e la pace caratterizzano entrambe le cose. L’oggetto della metafora suggerisce che, come chi dorme non cessa di esistere, così la persona deceduta continua ad esistere indipendentemente dalla sua assenza dalla regione in cui quelli che rimangono possono comunicare con lei» [William Edwy Vine, Expository Dictionary of New Testament, New York: Fleming H. Revell Publiching Company, 1958].
Inoltre, il racconto di Gesù riguardo alla condizione del ricco e di Lazzaro subito dopo la morte dimostra chiaramente che le loro anime non stanno dormendo in una condizione d'incoscienza (Luca 16:22-23). Si veda anche ciò che Paolo disse ai Filippesi: “Ho desiderio di partire e d’esser con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore” (Filippesi 1:23).
 
b) Il fatto che lo spirito dell’uomo può esistere anche lontano dal corpo è spiegato chiaramente nel discorso di Paolo sulla morte, dove leggiamo: “Noi siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore (poiché camminiamo per fede e non per visione; ma siamo pieni di fiducia e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e d’abitare col Signore. Ed è perciò che ci studiamo d’essergli grati, sia che abitiamo nel corpo, sia che partiamo” (2Corinzi 5:6-9).
 
Paolo afferma che “abitare col Signore” significa “partire dal corpo”. Inoltre, il “desiderio” dell’apostolo era di essere gradito al Signore, sia nel corpo che lontano da esso. Se “partire dal corpo” avesse denotato il sonno dell’anima, perché Paolo sarebbe dovuto preoccuparsi di essere grato al Signore dopo la morte, quando chi dorme non può assolutamente farlo? Se Paolo si fosse aspettato di dormire dopo la morte, la sua ambizione di piacere a Dio avrebbe potuto riguardare solo l’esistenza prima della morte. Tuttavia, aspettandosi di essere cosciente anche dopo la morte, Paolo voleva essere grato al Signore lodandolo (Apocalisse 7:9-10; cfr. Ebrei 12:23; Apocalisse 6:9-11; Ecclesiaste 12:7).  
 
c) In risposta all’idea che gli uomini debbano attendere il Giudizio prima di godere della felicità o di subire il castigo, Louis Berkhof osserva: «Il giorno del giudizio non è necessario per prendere una decisione riguardo alla ricompensa o al giudizio di ogni persona, ma servirà solo per annunciare solamente il verdetto e per rivelare la giustizia di Dio alla presenza degli uomini e degli angeli» [Louis Berkhof, Systematic Theology, Gran Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing company, 1941]. Gesù disse: “Chi crede in Lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figliuol di Dio” (Giovanni 3:18). Vi sarà il Giudizio per i credenti riguardo alle ricompense per il servizio, ma non riguardo alla salvezza, perché la salvezza dipende dalla fede in Gesù (cfr. 2Corinzi 5:10; 1Corinzi 3:12-15)» [J. Rodman Williams, Collanna di teologia sistematica, Vol. III, pagg. 532-533].
 
Esame dei testi biblici
 
Attraverso l’esame dei testi biblici in cui ricorre il termine Hadēs, si può meglio valutare l’argomento, e, alla luce del suo contesto, si possono fare le dovute considerazioni.
“E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino al soggiorno dei morti (Hadēs). Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durata fino ad oggi” (Matteo 11:23).
 
Il contesto di questo passo ci parla del rimprovero che Gesù diede alle due città di Corazin e Betsaida, (s’intende la popolazione di questi due centri abitati) che non si erano pentiti, pur avendo visto le opere potenti che Gesù ha operato in mezzo a loro. In considerazione di ciò, Gesù afferma che, nel giorno del giudizio, le due città in questione, saranno trattate con più rigore, rispetto a Tiro e Sidone (due città pagane) che non ebbero il privilegio di vedere in mezzo a loro, le opere potenti operate da Gesù in Corazin e a Betsaida. Questo ci fa capire chiaramente, che nel giorno del giudizio finale, non tutte le persone saranno trattate nello stesso modo. Gesù, che sarà il giudice supremo, saprà valutare giustamente le varie situazioni e assegnerà la punizione a seconda delle opere di ciascuno.
 
Per quanto riguarda invece, Capernaum, cioè la popolazione di questa città, che ha avuto un gran privilegio di vedere il maggior numero delle opere potenti operate da Gesù, privilegio paragonato come un'elevazione verso il cielo, scenderà nell’Hadēs. Che l’Hadēs di questo passo non sarà l’inferno, inteso come luogo definitivo di punizione eterna, è provato dal fatto che subito dopo, Gesù parla del giudizio, cioè il giorno finale, in cui Capernaum, sarà trattata con maggiore rigore rispetto a Sodoma, città distrutta dal fuoco a causa della sua dissolutezza. La nostra interpretazione è avallata anche da Gnilka, il quale precisa: «Gli inferi (še’ôl) sono il regno dei morti, non l’inferno. La città ricade dalla luce splendente nell’oscurità» [J Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, pag. 625].
 
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #6 Data del Post: 04.10.2009 alle ore 18:50:19 »
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“E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte del soggiorno dei morti (Hadēs) non la potranno vincere” (Matteo 16:18).
 
L’Hadēs di questo passo si trova in un contesto in cui Cristo è impegnato ad edificare la sua Chiesa. Poiché questa Chiesa appartiene a Cristo, Egli ha tutto l’interesse di proteggerla da ogni attacco del nemico. Siccome è Cristo stesso che dà l’assicurazione che le porte dell’Hadēs non prevaleranno, i credenti che compongono questa Chiesa, possono contare sulla fedeltà di Gesù, visto che Egli ha sempre mantenuto la Sua parola. L’Hadēs, pur non essendo l’inferno, visto che è il luogo temporaneo dove si trovano i perduti durante l'attesa della risurrezione e del giudizio finale, c’è sempre una forza malefica che si muove in quest'ambiente, che è la potenza delle tenebre e della morte. Tenuto conto che su queste potenze diaboliche, Cristo ha vinto, cioè le ha sconfitte, riportando su di esse una gloriosa vittoria, i suoi seguaci si trovano sotto una sicura e invincibile protezione, che assicura loro che le porte dell’Hadēs non potranno prevalere su loro.
 
“E tu, Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, sarai abbassata fino al soggiorno dei morti! (Hadēs)” (Luca 10:15).
Visto che questo passo è esattamente come quello di Matteo 11:23, quello che abbiamo detto su quest’ultimo, vale anche per Luca 10:15.
 
“E nel soggiorno dei morti (Hadēs), essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno” (Luca 16:23).
 
In esegesi si è discusso se il racconto che Luca ci ha tramandato, sia una “parabola” o la “narrazione di un fatto successo”. Personalmente sono convinto che si tratti del racconto di un “fatto successo” e non di una “parabola”. Tra i motivi che mi inducono a credere, c’è anche una parola che Backer, in una sua osservazione ha messo in evidenza: il termine è “c’era”. Maurizio, rispondendo a quest'osservazione, afferma che questa parola  
 

Quote:

«non comprova da un punto di vista linguistico che si stia riferendo ad una storia "in particolare" realmente accaduta».
 

Dimostro con la Bibblia in mano, che, non è affatto vero. Questa tesi davanti alle affermazioni delle Scritture, non regge. Ho raccolto 21 passi di reali persone che la Bibbia presenta, usando la forma verbale “c’era”. Ecco i testi:
 
1) c‘era con lui il suo amico Chira, l’Adullamita (Genesi 38:12)
2) C‘era un uomo di Sorea, della famiglia dei Daniti, di nome Manoà (Giudici 13:2)
3) C‘era un uomo nella regione montuosa di Efraim che si chiamava Mica (Giudici 17:1)
4) C‘era un uomo di Ramataim-Sofim, della regione montuosa di Efraim, che si chiamava Elcana (1 Samuele 1:1)
5) C‘era un uomo, discendente di Beniamino, che si chiamava Chis (1 Samuele 9:1)
6) C‘era un servo della casa di Saul, di nome Siba... (2 Samuele 9:2)
7) C‘era là un uomo scellerato di nome Seba (2 Samuele 20:1)
8) Poi c‘era suo fratello Asaf (1 Cronache 6:39)
9) Là c‘era un profeta del SIGNORE, di nome Oded (2 Cronache 28:9)
10) Nella residenza reale di Susa c‘era un Giudeo di nome Mardocheo (Ester 2:5)
11) C‘era Aman che era venuto nel cortile esterno della casa del re (Ester 6:4)
12) C‘era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe 1:1)
13) c‘era là un capitano della guardia, di nome Ireia (Geremia 37:13)
14) c‘era un sacerdote di nome Zaccaria (Luca 1:5)
15) c‘era un mendicante, chiamato Lazzaro (Luca 16:20)
16) C‘era un uomo, di nome Giuseppe, che era membro del Consiglio (Luca 23:50)
17) C‘era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo (Giovanni 3:1)
18) C‘era un ammalato, un certo Lazzaro di Betania (Giovanni 11:1)
19) Or a Damasco c‘era un discepolo di nome Anania (Atti 9:10)
20) A Ioppe c‘era una discepola, di nome Tabita (Atti 9:36)
21) Giunse anche a Derba e a Listra; e là c‘era un discepolo, di nome Timoteo (Atti 16:1).
 
Maurizio fa rilevare che:
 

Quote:

«-Il nome di Lazzaro, è un nome comunissimo, e rafforza maggiormente l'idea che Gesù prenda a pretesto una storia plausibile, per trarne un insegnamento morale. Come allo stesso modo, e chi si trova spesso a fare dei corsi di formazione legati alla comunicazione lo sa, nelle simulazioni si usa signor rossi ecc, ecc.»  
 

Qui, ovviamente non c’è nessuna “simulazione”; non ci troviamo davanti ad una messa in scena, ci troviamo piuttosto davanti ad una reale persona che visse tra i suoi contemporanei. La storia raccontata da Gesù non è immaginaria, è piuttosto reale nel senso che ha a che fare con un fatto successo. Gesù nel suo parlare, specie in quello parabolico, non usava immagini fantasiose privi della realtà, anzi si riferiva a quello che si verificava nella vita pratica, per dare modo agli ascoltatori di comprendere quello che Egli diceva. Sì, è vero che non sempre le persone comprendevano quello che Gesù insegnava! Però, non si può negare che a volte i capi religiosi, i soliti oppositori di Gesù, sentendolo parlare, riconoscevano che quello che Egli diceva riguardava proprio loro. Il classico esempio è quello intorno alla parabola dei malvagi vignaioli. “I capi dei sacerdoti e i farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro” (Matteo 21:45).  
 
Se teniamo in debito conto che Gesù, in tutte le sue parabole, non ha mai menzionato il nome di una persona, questo solo elemento, ammesso che non ce ne siano altri, dovrebbe portarci a riflettere seriamente e chiederci: perché lo fece? È stata una pura causalità priva di un qualsiasi significato? Se egli lo fece, sicuramente avrà avuto un motivo. Anche se il testo evangelico non lo spiega. Un lettore attento, che legge, è portato a chiedersi: perché nominò il mendicante col nome specifico di Lazzaro? La logica, forse si oppone che Gesù stava raccontando di un fatto successo? Che incoerenza ci sarebbe stata se quello che Gesù raccontava si era veramente verificato? Qual è il problema di fondo per noi che leggiamo, di avere difficoltà ad accettare un fatto veramente accaduto? Forse l’insegnamento morale che Gesù voleva dare, avrebbe perso il suo valore? Niente affatto! Lo affermo con piena cognizione di causa. Infine, si asserisce che non molto tempo fa, è stato scoperto un manscritto in cui si riporta il nome del ricco: il suo nome è Neues [I. H. Marshall, Commentario Biblico, Vol. III, pag. 170].  
 
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #7 Data del Post: 04.10.2009 alle ore 19:01:55 »
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Domenico bella anche questa ultima parte. Deve aver richiesto molto lavoro.
Dio ti benedica e grazie per quanto condividi.
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #8 Data del Post: 09.10.2009 alle ore 05:31:53 »
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ZioFrank ha suggerito che  
 

Quote:

«non si deve prendere alla lettera la descrizione puramente immaginaria dell'aldilà (vv. 24-26), perché Gesù si adatta, ovviamente, alla mentalità corrente dei Giudei, che si raffiguravano il mondo di là diviso in due scomparti, di gioia l'uno e di sofferenza l'altro, da cui ci si poteva anche vedere e parlare».  
 

Ai fini di una rigorosa esegesi, non ha niente a che vedere fare riferimento al significato del nome Lazzaro “Sorridenteio aiuta” per negare la sua storicità. Si sa, infatti, che quasi tutti i nomi ebraici, hanno un particolare significato. Il nome si dava ad una reale persona, non ad un essere che esisteva solamente nell’immaginazione. Nessuno metterà in dubbio che  
 

Quote:

«il ricco stolto ha sbagliato perché ha accumulato beni per sé e non si è arricchito davanti a Dio. Così pure ha sbagliato quell'amministratore infedele perché ha cercato di assicurarsi il suo avvenire terreno imbrogliando e non ha agito in una luce di "eternità". Sulla stessa linea si mantiene questo ricco: vive nel lusso pensando soltanto a sé, non sa farsi commensale dei poveri, non condivide i suoi beni, non usa il denaro per farsi degli amici che lo accolgano nelle dimore eterne.  
Chi non è disposto ad uscire dalle sue "sicurezze" o dai suoi "pregiudizi", interpreterà i fatti più evidenti in maniera distorta: se il ricco ha chiuso il proprio cuore al grido del povero è perché prima l'aveva chiuso alla Parola di Dio, che ripetutamente esorta a "dividere il proprio pane con l'affamato, ad ospitare i miseri senza tetto, a non sottrarsi al proprio fratello bisognoso" (Is. 58:7)».  
 

Però affermare che «non si deve prendere alla lettera la descrizione puramente immaginaria dell'aldilà (vv.24-26)...», significa che per quanto riguarda la vita dell’aldilà, (visto che i versetti in questione parlano esplicitamente di quell'esistenza), che Gesù non sapeva quello che diceva o stava inventando qualcosa che non aveva niente ha che fare con la realtà. Ci vuole forse un'elevata sapienza per vedere una “forzatura interpretativa” che mira ad annullare che “la vita” (com'esistenza) continua a vivere dopo la morte, oltre la tomba?  
 
Riprendendo il discorso su Luca 16:19-30, a partire da 22-29, la scena verte esclusivamente sulla vita oltre tomba. Per capire giustamente questo tratto della narrazione, bisogna accettare questa specificazione, visto che si parla esplicitamente di “Hadēs” e di “seno d’Abraamo”. Nel “seno d’Abraamo” va a finire Lazzaro e nell’Hadēs il ricco. È risaputo che in tutte le parabole di Gesù, non solo non si fa mai menzione di un nome di persona, ma neanche si fa un accenno alla vita dell’aldilà. Se Gesù in questa circostanza lo fa, specialmente per ciò che riguarda la vita dopo la morte, credo che Gesù ha voluto sollevare il velo per farci vedere e conoscere la realtà dell’esistenza dell’aldilà. Perora ci occupiamo dell’Hadēs, quando tratteremo del “paradiso”, parleremo del “seno d’Abraamo”.  
 
Anche per quanto riguarda l’Hadēs del nostro testo, non è possibile dargli il senso di “inferno”, come ha fatto Diodati e la CEI. Sicuramente la loro interpretazione è stata motivata dal fatto che il ricco in quel luogo era nei “tormenti”. Questa semplice constatazione, secondo me, non è sufficiente, perché si sa che il luogo dove vanno a finire i perduti dopo la morte, l’Ades, in attesa del giudizio finale, è oscuro e privo della presenza di Dio. Il vero inferno, è lo “stagno di fuoco” dove saranno gettati la “morte e l’Ades (Apocalisse 20:14).
 
“perché tu non lascerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione” (Atti 2:27).  
 
Le parole di questo testo sono una chiara citazione del Salmo 16:10. Che questo Salmo, sia messianico, nessuno lo mette in dubbio. Infatti, l’apostolo Pietro nel citarlo, lo applica specificatamente a Gesù per ciò che riguardava la sua risurrezione dai morti. Se Pietro ripeté “non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione”, si riferiva a Gesù, non solo perché “Sorridenteio lo risuscitò, avendolo sciolto dagli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto” (v. 24), ma anche perché il suo corpo non subisse la decomposizione. Il (vv. 30-31) chiariscono ulteriormente la questione: “Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti (Ades), e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione”. Quindi, il significato più coerente della citazione che l’apostolo adduca e la sua interpretazione applicando il testo del Salmo 16 a Gesù, è che lo stesso non è stato nel potere della morte più di tre giorni, cioè prima che entrasse la fase decompositiva del suo corpo. D’altra parte, Gesù stesso aveva predetto la sua risurrezione, precisamente al terzo giorno della sua morte.  
 
I quattro testi dell’Apocalisse, in cui è riportato il nostro termine cioè Ades, hanno il medesimo significato, cioè “sogiorno dei morti” e non di “inferi” e “inferno” come ha tradotto la Cei.  
 
1:18:
“e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e del soggiorno dei morti”.  
 
Il fatto che il testo specifichi che Gesù tiene le chiavi della morte e del sogiorno dei morti, sta significando che Egli ha piena autorità, come Signore dei morti e dei vivi (Romani 14:9).
 
6:8:
“Guardai e vidi un cavallo giallastro; e colui che lo cavalcava si chiamava Morte; e gli veniva dietro il soggiorno dei morti. Fu loro dato potere sulla quarta parte della terra, per uccidere con la spada, con la fame, con la mortalità e con le belve della terra”.  
 
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #9 Data del Post: 09.10.2009 alle ore 05:33:13 »
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La visione dei quattro cavalli che Giovanni vide, cioè quello di colore bianco, rosso, nero e giallastro, rappresentano: il primo cavallo bianco con il suo cavaliere è “chi esce fuori da vincitore, e per vincere”, non è sicuramente il Cristo, come alcuni hanno erroneamente interpretato, ma l’anticristo; il secondo cavallo rosso e il suo cavaliere rappresenta la guerra. Infatti, è con la guerra che viene tolta la pace dalla terra affinché gli uomini si uccidessero gli uni e gli altri; il terzo cavallo nero con il suo cavaliere, rappresenta la carestia. È, infatti, quando c’è la carestia, mancanza di viveri alimentari che si usa la bilancia, per dividere quel poco che c’è tra gli uomini; mentre il quarto cavallo è di colore olivastro, per indicare la pestilenza che seguirà dopo la carestia. Al suo cavaliere gli venne assegnato il nome Morte; “e gli veniva dietro il soggiorno dei morti. Fu loro dato potere sulla quarta parte della terra, per uccidere con la spada, con la fame, con la mortalità e con le belve della terra” (v. 8).
 
20:13-14
“Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e il soggiorno dei morti restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere.
Poi la morte e il soggiorno dei morti furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco.
 
Questo testo ci parla chiaramente la fine della morte e dell’Ades, che saranno gettati nello stagno di fuoco, dove andranno a finire anche tutti quelli che non saranno trovati scritti nel libro della vita, cioè tutti i perduti. In conclusione, se l’Ades, nel giorno del giudizio finale, sarà gettato nello stagno di fuoco, questo significa che nei passi che abbiamo esaminato, di cui parla il N.T., non possono dare ad intendere l’inferno, inteso come luogo definitivo di tormenti, ma indica invece un luogo temporaneo tra la morte e la risurrezione, in cui i non salvati attenderanno il giudizio finale.
 
Domenico  
« Ultima modifica: 08.01.2010 alle ore 21:59:27 by Domenico » Loggato
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #10 Data del Post: 09.10.2009 alle ore 13:56:39 »
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Pace.
 
Una domanda:

Quote:
“perché tu non lascerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione” (Atti 2:27).  
 
Le parole di questo testo sono una chiara citazione del Salmo 16:10. Che questo Salmo, sia messianico, nessuno lo mette in dubbio. Infatti, l’apostolo Pietro nel citarlo, lo applica specificatamente a Gesù per ciò che riguardava la sua risurrezione dai morti. Se Pietro ripeté “non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione”, si riferiva a Gesù, non solo perché “Dio lo risuscitò, avendolo sciolto dagli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto” (v. 24), ma anche perché il suo corpo non subisse la decomposizione. Il (vv. 30-31) chiariscono ulteriormente la questione: “Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti (Ades), e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione”. Quindi, il significato più coerente della citazione che l’apostolo adduca e la sua interpretazione applicando il testo del Salmo 16 a Gesù, è che lo stesso non è stato nel potere della morte più di tre giorni, cioè prima che entrasse la fase decompositiva del suo corpo. D’altra parte, Gesù stesso aveva predetto la sua risurrezione, precisamente al terzo giorno della sua morte.

 
Se il "soggiorno dei morti" è l'Ades, e cioè il luogo di tormento, come può essere che di Gesù si dica: Tu non lascerai l'anima mia nel soggiorno dei morti?
 
Gesù era giusto....
E agli occhi dei contemporanei, i quali non sapevano ancora che Egli sarebbe risorto, credo che essi pensassero che Gesù fosse stato "portato" nel seno d'Abramo, e non nel "soggiorno dei morti".
 
Come mai Davide parla del "soggiorno dei morti"?  
Egli stava parlando del "Santo dell'Eterno", eppure, dice che sarebbe "sceso nel soggiorno dei morti", che è l'Ades, il "luogo del tormento".
E anche in Atti 2: 29, Pietro dice: Uomini fratelli, ben può liberamente dirvisi intorno al patriarca Davide, ch'egli morì e fu sepolto...
 
Ora, non so se Davide fosse cosciente del fatto che stesse profetizzando del Cristo, ma egli parla comunque delle sue certezze, e del fatto che l'Eterno non lascerà la sua anima in potere dell'Ades.
Infatti, indipendentemente dalla Profezia riferita al Cristo, certamente Davide risorgerà con i Santi, e la sua anima non è certo stata lasciata in potere della morte.
Perchè dunque, egli parla di Ades, e non del "seno d'Abramo"?
 
Non è per fare disquisizioni o polemiche, ma perchè non capisco come il Gesù uomo, giusto agli occhi di Dio, nella sua morte, quant'anche temporanea, fosse stato "portato nel soggiorno dei morti". Intendo almeno "terminologicamente" parlando, visto che il soggiorno dei morti è il luogo di tormento destinato a chi sarà poi giudicato.
 
In quanto il Suo Corpo era si morto, lo avevano sepolto, ma Egli, non era in "balia" o in potere della morte, ma in quei tre giorni era stato in "missione", e il Suo Corpo aspettava di risorgere, perchè appunto, Colui al quale apparteneva, non poteva essere trattenuto nel "soggiorno dei morti".
 
È certo che per "soggiorno dei morti" si intenda solamente il "luogo dei tormenti", e non anche semplicemente la "morte", anche quella del corpo..., come "il luogo del silenzio"...?  
Il corpo infatti, ritorna alla polvere, ma sarà "restituito" nel giorno della resurrezione, e questo, vale per tutti, salvati e non, almeno stando ad Apocalisse 20:13-14.
Solo che i salvati (a parte la Chiesa che riceverà il suo nuovo "corpo incorruttibile" alla venuta del Cristo)non saranno soggetti alla morte seconda, mentre gli altri saranno gettati nello stagno di fuoco. La morte, e il soggiorno dei morti.
 
Perdonatemi, se magari faccio un po' di confusione...
 
Pace
Eliseo
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #11 Data del Post: 10.10.2009 alle ore 05:41:42 »
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Eliseo ha scritto
 

Quote:

Se il "soggiorno dei morti" è l'Ades, e cioè il luogo di tormento, come può essere che di Gesù si dica: Tu non lascerai l'anima mia nel soggiorno dei morti?  
 
Gesù era giusto....  
E agli occhi dei contemporanei, i quali non sapevano ancora che Egli sarebbe risorto, credo che essi pensassero che Gesù fosse stato "portato" nel seno d'Abramo, e non nel "soggiorno dei morti".  
 
Come mai Davide parla del "soggiorno dei morti"?  
Egli stava parlando del "Santo dell'Eterno", eppure, dice che sarebbe "sceso nel soggiorno dei morti", che è l'Ades, il "luogo del tormento".  
E anche in Atti 2:29, Pietro dice: Uomini fratelli, ben può liberamente dirvisi intorno al patriarca Davide, ch'egli morì e fu sepolto...  
 

La citazione che l’apostolo Pietro ha addotto, cioè il Salmo 16, aveva lo scopo di provare la risurrezione di Gesù, dal punto di vista profetico, visto che Davide, (secondo l’interpretazione di Pietro), essendo profeta, parlò di quell’evento. Davanti alle parole: “Tu non lascerai l’anima mia nel soggiorno dei morti (sheol nel testo ebraico), e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione”, si deve tener presente la concezione che gli ebrei avevano dello sheol. Per loro lo sheol aveva due sezioni: in una si trovavano gli empi e nell’altra i giusti. L’anima di Davide, non poteva trovarsi nella sezione degli empi, perché appunto era un giusto.  
 
Tenuto conto che Pietro citasse la versione dei LXX, che traduce lo sheol Ades, non poteva pensare che Gesù, alla sua morte, l’anima sua sarebbe andata nel luogo dove si trovavano gli impenitenti (Luca 16:23). Questo suonerebbe strano, soprattutto pensando a Luca 23: 43. Mentre, se per Ades, nel testo di Atti 2:27, si intende, non il luogo di “tormento” ma “il regno della morte” (come giustamente alcuni commentatori l’hanno reso), il pensiero dell’apostolo appare bene diverso. Infatti, non potendo negare che Gesù, nei tre giorni e nelle tre notti della sua morte, è stato nel cuore della terra, “Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti (Matteo 12:40), si trovasse nel regno della morte, tuttavia con l’evento della risurrezione, non solo il corpo di Gesù non conobbe la decomposizione, ma la morte stessa è stata “sommersa nella vittoria” (1Corinzi 15:54). Era di questa verità che l’apostolo Pietro voleva parlare ai suoi ascoltatori.
 
Domenico
« Ultima modifica: 10.10.2009 alle ore 05:45:04 by Domenico » Loggato
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #12 Data del Post: 12.10.2009 alle ore 23:19:19 »
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Paradeisos = paradiso
 
Il termine paradeisos è un imprestito dall’antico iranico che indica un vallo di cinta e poi il parco rinchiuso da un vallo tutt’intorno. In greco il termine appare per la prima volta in Senofonte ad indicare i parchi e i giardini del re e dei notabili persiani. Nell’ambito giudaico di lingua greca il nostro vocabolo viene a significare, per la prima volta nei LXX, il “giardino di Dio” del racconto biblico della creazione.
 
“Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato.
Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d’alberi piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, e Dio il SIGNORE ordinò all’uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino” (Genesi 2:8-10,16).
 
Per maggiore precisione e per distinguerlo dai parchi profani i LXX chiamano quel giardino “il giardino di Dio” o “il giardino del Signore”.
 
“Lot alzò gli occhi e vide l’intera pianura del Giordano. Prima che il SIGNORE avesse distrutto Sodoma e Gomorra, essa era tutta irrigata fino a Soar, come il giardino del SIGNORE, come il paese d’Egitto” (Genesi 13:10); “eri in Eden, il giardino di Dio; eri coperto di ogni tipo di pietre preziose: rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici, diaspri, zaffiri, carbonchi, smeraldi, oro; tamburi e flauti, erano al tuo servizio, preparati il giorno che fosti creato” (Ezechiele 28:13); “I cedri non lo sorpassavano nel giardino di Dio; i cipressi non uguagliavano i suoi ramoscelli, e i platani non erano neppure come i suoi rami; nessun albero nel giardino di Dio lo pareggiava in bellezza
Io l’avevo reso bello per l’abbondanza dei suoi rami, e tutti gli alberi di Eden, che sono nel giardino di Dio, gli portavano invidia” (Ezechiele 31:8-9); “Così il SIGNORE sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine; renderà il suo deserto pari ad un Eden, la sua solitudine pari ad un giardino del SIGNORE. Gioia ed esultanza si troveranno in mezzo a lei, inni di lode e melodia di canti” (Isaia 51:3).
 
In questo modo il termine subisce un decisivo cambiamento semantico: i LXX fanno passare il termine paradeisos dalla sfera profana a quella religiosa. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, il termine paradeisos ricorre tre volte, precisamente: (Luca 23:43; 2Corinzi 12:4 e Apocalisse 2:7); la realtà significata col nostro termine è invece menzionata molto più spesso. Come il tardo giudaismo non ha trovato una terminologia unitaria per indicare lo stato intermedio dei giusti, ma si serve di una serie d'immagini oltre che del nome gan ‘edēn, così anche il N.T. oltre che al termine paradeisos ricorre ad altre espressioni per significare lo stato dei salvati dopo la morte: comunione conviviale con Abramo, “il seno d’Abraamo” (Luca 16:23), dimorare col Signore, “ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore” (2Corinzi 5:8), andarsene dal corpo ed essere con Cristo, “Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio” (Filippesi 1:23); cfr. anche “E lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito»” (Atti 7:59); “Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà (Giovanni 12:26), regno celeste “Il Signore mi libererà da ogni azione malvagia e mi salverà nel suo regno celeste. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (2Timoteo 4:18), Gerusalemme celeste “Voi vi siete invece avvicinati al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche” (Ebrei 12:22), dimora nella casa del Padre “Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo?” (Giovanni 14:2). Oltre a questi testi vanno aggiunti alti passi quali, “Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che gli avevano resa.” (Apocalisse 6:9); “E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essi si riposano dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono»” (Apocalisse 14:13).
 
Per quanto riguarda l’ubicazione del paradiso, (gli studiosi lo chiamano paradiso nascosto) si può dedurre da Marco 13:27 “Ed egli allora manderà gli angeli a raccogliere i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremo della terra all’estremo del cielo” che Gesù l’abbia posto nel mondo celeste; infatti, il raduno degli eletti provenienti dai «quattro venti, dagli angoli della terra fino agli angoli del cielo» deve significare la riunione dei vivi e dei morti (che ora dimorano nel paradiso). È comunque accertato che il tardo giudaismo non ha mai posto il gan ‘edēn nello scheol.
 
Alla domanda: dove si trovi il paradiso nascosto? L’apocalittica prescristiana non offre una risposta unica e unitaria. La concezione più antica lo ricerca nella sfera terrena, soprattutto all’estremo confine orientale della terra “Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi pose l’uomo che aveva formato (Genesi 2:8); non manca però chi lo colloca a nord-ovest “Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione” (Isaia 14:13) e c’è chi lo pone su un monte altissimo che arriva fino al cielo “eri in Eden, il giardino di Dio; eri coperto di ogni tipo di pietre preziose: rubini, topazi, diamanti, crisoliti, onici, diaspri, zaffiri, carbonchi, smeraldi, oro; tamburi e flauti, erano al tuo servizio, preparati il giorno che fosti creato.
Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Ti avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio, camminavi in mezzo a pietre di fuoco” (Ezechiele 28:13-14).
 
Esame dei tre testi del N.T. in cui ricorre il termine paradeisos  
 
segue...
 
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #13 Data del Post: 12.10.2009 alle ore 23:20:32 »
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1) Luca 23:43
 
“Gesù gli disse: «Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso»” (Luca 23:43).  
 
Il testo di Luca, unico nel suo genere, visto che non si trova in ness’altra parte del Nuovo Testamento, è la risposta che Gesù diede alla richiesta del ladrone penitente “«Gesù, ricordati di me quando entrerai (o meglio “verrai” (ND) nel tuo regno!»” (Luca 23:42). È chiaro che il ladrone si riferisca al futuro del regno del Signore, e non aveva la minima idea che in quello stesso giorno, Gesù gli prometta di andare con lui in paradiso. In questo passo, il paradiso è il luogo in cui vengono accolte le anime dei giusti, cioè il paradiso nascosto. Il testo non dice dove sia situato; è soltanto escluso che si cerchi di collocarlo nell’Ade per evitare una contraddizione con la dottrina della discesa nel soggiorno dei morti, perché il Gan Eden non è mai stato situato nello sheol.
 
I passi che abbiamo citato, dal punto di vista cristiano, sono abbastanza chiari da farci comprendere la comunione che si ha con Cristo dopo la morte, e tale affermazione rappresenta la posizione specificatamente cristiana sulla questione dello stato intermedio tra la morte e la risurrezione. Dalle affermazioni che fanno il N.T. circa il paradiso e l’Ades, si sono formate due concezioni opposte: l’una che parla dell’ascesa al cielo e l’altra della discesa nel soggiorno dei morti. Per quanto riguarda la prima posizione, dal testo di (Luca 23:43), per amore di chiarezza contestuale, non si dovrebbe parlare di una ‘ascensione’ dalla croce, perché questo passo non presenta alcun'ascensione corporea (come Atti 1:9). Dall’altra parte, i passi che parlano della discesa di Gesù nell’Ades, quali Romani 10:7; Atti 2:27,31; Salmo 16:8-11), non devono essere intesi nel senso comune che si dà al soggiorno dei morti, cioè luogo in cui gli impenitenti si trovano nell'attesa della risurrezione e del giudizio finale, ma nel senso del “regno della morte”, in cui Gesù rimase tre giorni e tre notti.
 
2) 2Corinzi 12:4
 
“fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunziare” (2Corinzi 12:4).  
 
Leggendo il contesto di questo passo, si comprende chiaramente che Paolo stia raccontando di una sua personale esperienza che ebbe quattordici anni prima della stesura di quest'epistola. Che questa sua esperienza non ha niente a che vedere che l’evento di Damasco, come qualcuno, erroneamente ha cercato di farlo risalire, appare evidente dal fatto che egli nomini il rapimento al terzo cielo e in paradiso. Si discute se il rapimento al terzo cielo e in paradiso, siano due eventi separati o se si tratti di un unico evento. Tra i commentatori, infatti, ci sono quelli che pensano a due esperienze separate e ci sono quelli che invece sostengono ad una sola esperienza. Ora, dato che non si può stabilire con certezza se il rapimento «fino al terzo cielo» (2Corinzi 12:2) ed il rapimento «in paradiso» (v. 4) indicano o no il medesimo evento, non è possibile neanche sapere se per Paolo il paradiso fosse collocato nel terzo cielo o in un altro luogo. Secondo l’uso linguistico oramai stabilito, il paradiso è il luogo dove dimorano i giusti dopo la loro morte.  
 
Il fatto poi che Paolo non può affermare se il suo rapimento fu col corpo o fuori di esso, non significa che l’evento in se stesso venga sfigurato o snaturato. Se il rapimento avvenne col corpo, significa che il Signore ha dovuto compiere un’azione miracolosa nel trasformare il corpo umano dell’apostolo e renderlo adatto in una sfera diversa dal terrestre; mentre se il rapimento avvenne fuori del corpo, c’è sempre l’azione miracolosa divina che rende possibile che l’anima di Paolo, si separi dal suo corpo, per raggiungere il terzo cielo e il paradiso.  
Infine, è sorprendente come Paolo, nel raccontare del suo rapimento fino al terzo cielo e in paradiso, non ha visto il Signore (visto che non lo nomina) ma si limita solamente a riferire di aver “sentito parole ineffabili, che non è lecito all'uomo di pronunziare” (v. 4).
 
3) Apocalisse 2:7

“Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio”.  
 
In questo testo Gesù viene presentato come il restauratore del paradiso escatologico di Dio. La promessa di Gesù in favore dei vincitori, consiste nel dargli da mangiare dell’albero della vita che si trova nel paradiso di Dio. Questo significa che non ci saranno più i cherubini con la spada in mano per custodire la via dell’albero della vita (Genesi 3:24), ma per chi vince, la strada sarà libera per arrivare all’albero della vita e mangiare del suo frutto. Infine, l’albero della vita lo troviamo nella nuova Gerusalemme: “In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita. Esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni” (Apocalisse 22:2).  
 
In conclusione, per Gesù e per la chiesa primitiva il giardino com'entità autonoma passa in secondo piano: importante non è la beatitudine del paradiso, bensì la restaurazione della comunione con Dio distrutta dalla caduta di Adamo [Per tutta la trattazione, rimandiamo all’articolo di J. Jeremias, in GLNT, (Grande lessico del Nuovo Tetamento) Vol. IX, col. 577-600. Inoltre, per quanti volessero approfondirsi sul “Gan ‘Edēn”, rimandiamo all’articolo di B. Jacobs-Hornig, GLAT (Grande lessico Antico Testamento) Vol. II, col. 39-41].
 
Domenico
« Ultima modifica: 12.10.2009 alle ore 23:28:57 by Domenico » Loggato
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Re: La vita (com'esistenza) dell’aldilà
« Rispondi #14 Data del Post: 13.10.2009 alle ore 13:39:26 »
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Nota su 2Co.12:2-4
 
L’evento descritto in 2Co.12:2-4 è un unico evento, dice di “quattordici anni fa”, l’ anthrôpos (l’uomo del vs.2) è lo stesso del vs.3 “toiouton ton anthrôpos” (quell’uomo, quello del vs.precedente), il vs.3 è la ripetizione dell’affermazione del vs. precedente per sottolineare:
 
a) che l’apostolo conosce l’uomo in questione (confr. vs.7), quindi che non sta parlando di un qualcuno immaginario,
 
b) per imprimere forza ed importanza, non è raro ripetere certe asserzioni in maniera da rendere l’affermazione incisiva visto la straordinarietà di ciò che è  stato vissuto.  
 
Pertanto è legittimo considerare che il "paradiso" del vs.4 è presumibilmente il "terzo cielo" del vs.2, e/o ad esso strettamente associato.
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