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   Autore  Topic: Il nome di Dio  (letto 28970 volte)
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #615 Data del Post: 31.05.2020 alle ore 15:25:06 »
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Quante complicatezze...
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"Zia, ma quando Gesù è risorto ha fatto il buco nell`ozono ? " (bambino) di Tony Kospan.
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #616 Data del Post: 31.05.2020 alle ore 19:13:25 »
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In realtà è tutto molto semplice.  
 
Le spiegazioni che ho articolato sono tra i rudimenti iniziali di grammatica ebraica che vengono forniti (per quanto riguarda utilizzo obbligatorio di segni vocalici per ogni consonante che non sia madre di lettura o quiesciente, e vocalizzazioni di preposizioni e congiunzione coordinante) e nei manuali sulla vocalizzazione masoretica tiberiense (per quando riguarda fonetica dei segni vocalici e fonti primarie da utilizzare - cioè Codice di Aleppo, eventualmente Leningrado, trattati masoretici, trascrizioni arabe e frammenti della Geniza).
 
Nulla di arcano o complicato. Può darsi, forse, che sia complesso, ma perché il sistema sviluppato a Tiberiade era molto preciso. Però ripeto, nulla che non venga affrontato in classe entro le prime settimane di studio dell'ebraico Sorriso
« Ultima modifica: 31.05.2020 alle ore 21:20:05 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #617 Data del Post: 31.05.2020 alle ore 23:29:39 »
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Caro Vladi,
Ti ringrazio per i tuoi lunghi post, che capisco solo in parte: da un lato dici di avere poco tempo, mentre dall’altro torni a ripetere cose già scritte, come se i tuoi lettori non fossero in grado di leggere i tuoi posto precedenti.  
Parto dalla tua conclusione, dove menzioni “le categorie che Simon desidererebbe”, poi “uno schiaffo alla linguistica e alla filologia del testo ebraico” e infine “l’evidenza testuale”.
 
Per intanto preciso che “le categorie che Simon desidererebbe” non sono il risultato di un sogno notturno di mezza estate, ma derivano da quanto Simon ha letto nei manuali, nei testi di ebraico e sulla masora.  
Uno di questi spiega la masora come segue:  
 
“Qere and Ketib. In instances where the consonantal text was felt to be unsatisfactory or where textual variants were deemed to be worthy of preservation, the masoretes (who were bound not to alter the consonantal text) provided the consonants of the word to be read in the margin. The vowel points for the word to be read were then placed under the consonants written in the text. This can result in strange looking words if you don't remember that the vowel points under the ketib belong to another word.”
 
Ora come vedi siamo nello specifico e la regola esposta in questo modo, certo non da me, richiede che le vocali annotate sotto il testo consonantico appartengano al qere, non al ketib. Questo manuale si premura anche di specificare che “This can result in strange looking words if you don't remember that the vowel points under the ketib belong to another word.”  
Ora visto che tu sostieni che il qere perpetuum del tetragramma indichi invariabilmente la lettura “adonaj” (se il tetragramma non è seguito da adonaj), per prima cosa, per onestà intellettuale, dovresti informare il tuo lettore di come viene vocalizzata la parola Adonaj nel testo critico, ma in modo piu’ interessante, dai masoreti del Leningrado e dell’Aleppo. Finora ho dovuto dare io questa informazione, perché ho come la sensazione che a te faccia venire un’irritazione alla pelle.  
 
Poi tu poi anche scrivere lunghe dissertazioni per sostenere che per i masoreti della scuola di tiberiade ritenessero equivalenti lo shewa e l’hatef patah: per dar forza alla tua tesi dovresti citare passi dei manoscritti o del testo critico dove adonaj viene scritto con lo shewa semplice, attendo da te di vedere dove sono tutti questi passi. In aggiunta, produci l’evidenza testuale e sostanziale di questi scambi di vocale anche nelle altre parole del testo dei manoscritti. Se fosse come affermi tu “l’evidenza testuale” testimonierebbe in modo inequivocabile l’uso alterno di shewa e hataf patah come equivalenti. Attendo da te di vedere questa “evidenza testuale”. Per intanto la mia sensazione è che il masoreta cambi molto raramente la vocalizzazione del tetragramma e di adonaj, ma anche di ogni altra parola.
Se mi sbaglio, spero che mi corriggerai.  
 
Quanto alla tua teoria dello “schiaffo alla linguistica e alla filologia del testo ebraico”, leggo ulteriormente in letteratura che:
 
“Le note del qere nei codici masoretici medioevali difficilmente ebbero origine come  correzioni marginali scritte di parole specifiche nel testo scritto, come sostenuto per esempio da studiosi come Ginsburg (1897) e Gordis (1971). Piuttosto esse costituiscono un sistema che venne sviluppato prima che i segni vocalici fossero creati, per avvisare il lettore dei passi dove la lettura orale è diversa da quello che è rappresentato dalla ortografia scritta.”
Questo  testo sostiene infatti che il qere annotato si sarebbe sviluppato oralmente parallelamente e in modo del tutto indipendente dal testo scritto, col quale quindi avrebbe una relazione solo parziale.  
 
Piu’ approfondisco e meno trovo le certezze che tu sbandieri, soprattutto nessuno usa i toni che usi tu, perché ci si sta muovendo sulla base di ipotesi, con piu’ o meno evidenza documentale.
 
Riguardo a Gordon, come ho già detto, si chiama Nehemiah e da studente di master a Gerusalemme ha esaminato e tradotto il codice di Aleppo, grazie a una borsa di studio.
 
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #618 Data del Post: 01.06.2020 alle ore 01:00:49 »
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on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:
Caro Vladi,
Ti ringrazio per i tuoi lunghi post, che capisco solo in parte: da un lato dici di avere poco tempo, mentre dall’altro torni a ripetere cose già scritte, come se i tuoi lettori non fossero in grado di leggere i tuoi posto precedenti.

 
Tra non avere tempo e abbozzare un post in 10 minuti c'è differenza. Tu tirasti in ballo la questione tempo per primo, e io simpatizzai. Come puoi notare dai numerosi errori di gramamatica e stile con cui scrivo è qualcosa che faccio di slancio. Repetita iuvant, anche alla luce dei non sequitur che produci.
Ma che c'entra questo con il dati linguistici e filologici? Cui prodest quest'osservazione?
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

“Qere and Ketib. In instances where (...) to another word.”

 
Nulla da eccepire in questa definizione, che penso ogni studioso sottoscriva. Questa è la regola generale, poi si va a sfumare ed arricchire con le eccezioni e i casi particolari. Per questo gli ebraisti sono d'accordo con quanto delinea Würthwein e allo stesso tempo leggono Adonay per il tetragramma. Se ci fai caso, Würthwein non parla del tetragramma, ma ho il forte sospetto che avrebbe aderito al consenso generale per quanto riguarda la lettura Adonay.
Puoi trovare la stessa definizione che fornisci qui anche in Tov e Khan, o molti altri manuali. I quali Tov e Khan, (cioè i due leading scholars nel campo della critica testuale e del testo masoretico) come pure gli altri autori, nel momento in cui descrivono il tetragramma, dopo aver fornito la regola generale, affermano che vada letto Adonay. Perché? Beh perché i punti linguistici e filologici elementari che ho elencato sopra non sono opinabili e sono loro noti. Cos'è, gli ebraisti, che producono la regola che continui a ripetermi, si sono tutti bevuti il cervello? O forse la regola non copre tutta l'evidenze e quindi necessità di ulteriori chiarimenti (come infatti avviene nei manuali che si dilungano negli esempi - Würthwein non è tra questi).
Come in ogni grammatica o manuale di filologia (ma suppongo sia così anche nel tuo campo) prima dai la regola generale, poi menzioni anche i casi che sfumano la regola e magari anche le eccezioni (se ci sono). Si procede dal basso verso l'alto nella ricostruzione generale.
Trascureresti tutti i punti e sottopunti del Gesenius per un dato fenomeno linguistico fermandoti alla sola enunciazione della regola generale che copre quasi tutti i casi?
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Ora visto che tu sostieni che il qere perpetuum del tetragramma indichi invariabilmente la lettura “adonaj” (se il tetragramma non è seguito da adonaj), per prima cosa, per onestà intellettuale, dovresti informare il tuo lettore di come viene vocalizzata la parola Adonaj nel testo critico, ma in modo piu’ interessante, dai masoreti del Leningrado e dell’Aleppo. Finora ho dovuto dare io questa informazione, perché ho come la sensazione che a te faccia venire un’irritazione alla pelle.

 
E perché mai irritazione? Oltre ad essere un fatto noto, immagino, ho anche fin dai primi post specificato il perché sia storico (abbreviamento da qamets) sia grafico del hataf patach in Adonay: sta sotto una gutturale, e pertanto è variante grafica dello shewà mobile. Nulla di arcano, nulla di strano. Essendoti tu inserito in medias res, ti sei probabilmente perso la mia spiegazione della vocalizzazione di Adonay che feci, se non rammento male, ad Agata. Quindi il lettore è già più che informato.
 
È solo dal tuo ultimo post che mi sono reso conto che tu in realtà non sai che i due segni sono varianti grafiche dell stesso suono. Ma io non posso prevedere l'ignoranza altrui su elementi così basilari. Potevo immaginare che anche tu hai bisogno che ti venga rispiegato?
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Poi tu poi anche scrivere lunghe dissertazioni per sostenere che per i masoreti della scuola di tiberiade ritenessero equivalenti lo shewa e l’hatef patah: per dar forza alla tua tesi dovresti citare passi dei manoscritti o del testo critico dove adonaj viene scritto con lo shewa semplice, attendo da te di vedere dove sono tutti questi passi. In aggiunta, produci l’evidenza testuale e sostanziale di questi scambi di vocale anche nelle altre parole del testo dei manoscritti. Se fosse come affermi tu “l’evidenza testuale” testimonierebbe in modo inequivocabile l’uso alterno di shewa e hataf patah come equivalenti. Attendo da te di vedere questa “evidenza testuale”. Per intanto la mia sensazione è che il masoreta cambi molto raramente la vocalizzazione del tetragramma e di adonaj, ma anche di ogni altra parola.

 
Non c'è bisogno di scrivere lunghe dissertazioni, né la teoria è mia. È un'informazione elementare che puoi trovare (con abbondanza di esempi) in Yeivin, Khan, Dotan o in qualsiasi altro manuale di filologia o fonetica sul sistema tiberiense. Per non parlare delle monografie e degli articoli scientifici. Non ho scoperto l'acqua calda quando ho scritto queste cose. Che so, giusto per fare un paragone in quanto a livello, è come dire che ε e η hanno diversa lunghezza ma la seconda subisce iotacismo nel corso della storia: una nozione di fonetica base.
Come inoltre è spiegato nel 'Trattato sullo schewà' che ti ho citato (fonte primaria) o in qualsiasi altro manuale (fonte secondaria), non troverai un'alternanza tra schewà mobile e patach o hataf patach, proprio perché sono varianti grafiche (o allografi) dello stesso suono. Ti ripeto il concetto con un esempio, perché è chiaro che non lo hai capito da quanto scrivi (e, con mio stupore, nessuno sembra avertelo mai spiegato): la parola Avraham, poiché ha schewà sotto bet, non può prendere hataf patach sotto alef, pertanto ha patach. Ma lo prenderebbe se non ci fosse schewà, perché il suono è lo stesso e ci sarebbero tutte le altre condizioni. Trattasi di varianti grafiche condizionate dal contesto, quindi non puoi trovare l'una al posto dell'altra di norma. Se non sei familiare con il concetto di variante grafica, fatti una rapida ricerca (o, visto che il principio è lo stesso, su cosa sia un allofono o un allomorfo). In ogni caso visto che ogni regola ha le sue eccezioni, se vuoi un po' di evidenza testuale dove questo fenomeno traspare meglio puoi rileggere il mio post sopra, dove cito alcuni esempi dove tale alternanza avviene. Non aspettarti di trovare un patach o uno shewà mobile sotto la alef di Adonay, perché delle tre varianti grafiche per /a/ breve, lì si usa il hataf patach. Si chiamano varianti grafiche proprio per questo: stesso suono, diverse varianti a seconda del contesto. Gli allografi (come gli allofoni) esistono proprio con la funzione di apparire in contesti determinati e non essere interscambiabili.
Ma, ripeto, questa è una notazione elementare che si spiega già nei corsi base di ebraico (o comunque di glottologia), quando si illustra il perché noi in realtà leggiamo con pronuncia sefaradita e non tiberiense: shewà mobile, hataf patach e patach sono varianti grafiche di /a/ breve. Essendo varianti grafiche, il cui uso è severamente regolato dal contesto della sillaba e dall'origine della /a/ breve, sicuramente non troverai l'uno al posto dell'altro, se non raramente (cf. i passi che ti ho menzionato nel post precedente).
Mi stupisco tu non fossi al corrente di questo dato base. Di cosa stiamo a parlare scusa?
« Ultima modifica: 04.06.2020 alle ore 03:35:33 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #619 Data del Post: 01.06.2020 alle ore 01:07:18 »
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on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Se mi sbaglio, spero che mi corriggerai.  

 
Ottima citazione! Come detto sopra, c'è abbondanza di letteratura manualistica (per non parlare di articoli scientifici) che descrivono la fonetica dell'ebraico tiberiense, e nell'ultimo decennio i cosiddetti Masoretic Studies sono rifioriti producendo ulteriori descrizioni più dettagliate.
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Questo  testo sostiene infatti che il qere annotato si sarebbe sviluppato oralmente parallelamente e in modo del tutto indipendente dal testo scritto, col quale quindi avrebbe una relazione solo parziale.

 
Sì, vero. Ci sono già in antico varianti testuali della LXX o a Qumran che riemergono poi nelle notazioni del qeré a margine. Inoltre, il qeré, che è un elemento della tradizione di lettura tiberiense, appartiene spesso ad un dialetto diverso da quello del testo consonantico. E la tradizione di lettura tiberiense, come alcune tradizioni e diversamente da altre, leggeva Adonay dove il testo consonantico aveva YHWH.
Ma questa differenza già la menzionai sopra quando feci una chiara distinzione tra sofer e naqdan e, in ogni caso, non ne capisco la funzionalità qui.
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Piu’ approfondisco e meno trovo le certezze che tu sbandieri, soprattutto nessuno usa i toni che usi tu, perché ci si sta muovendo sulla base di ipotesi, con piu’ o meno evidenza documentale.

 
Mah questo è un giudizio personale piuttosto infelice. È chiaro che tu non sia del campo e quindi va bene così. In realtà (e lo specifico perché non deve passare l'idea che questa tua impressione da individuo estraneo a questo campo di studi sia corretta), i toni di certezza sono usati al riguardo dai più rinomati studiosi, in aula e non. Che tu lo sappia o meno esula dalle mie possibilità di rimediare (cioè non ti posso portare in classe o alle conferenze lol).
Il fatto che la lettura del tetragramma con Adonay si trovi in tutte le grammatiche di ebraico e nei manuali sulla vocalizzazione masoretica di Tiberiade conferma ulteriormente quanto questo dato non sia per nulla ipotetico, né speculativo. Al contrario, è trattato e divulgato come elemento linguistico certo, altrimenti non rientrerebbe né nelle parti normative, né in quelle descrittive dell'ebraico (da manuali introduttivi come quello del Weingreen ai grandi classici della critica tesutale come il testo di Tov, alle descrizioni della tradizione masoretica tiberiense come i volumi di Khan). Oppure nelle opere di riferimento come il Theological Dictionary of the Old Testament. Non è minimamente vero che siamo nel reame dell'ipotetico, ma proprio per niente.
Purtroppo capita spesso di avere evidenza frammentaria o ambigua, fortunatamente non nel caso presente.
 

on 31.05.2020 alle ore 23:29:39, Simon wrote:

Riguardo a Gordon, come ho già detto, si chiama Nehemiah e da studente di master a Gerusalemme ha esaminato e tradotto il codice di Aleppo, grazie a una borsa di studio.

 
Sì, me lo fecero notare che ho cannato personaggio. Il fatto che costui si sia fermato soltanto ad un master e forse quello che dice non è altro che un risultato di un lavoro di master mi rincuora, quantomeno. Se anche dopo o durante un dottorato avesse affermato simili cose (quelle del video) mi sarebbero sorti dubbi sulle istituzioni.
 
In ogni caso, dopo il tuo ultimo post sicuramente so che non agisci in malafede (sospetto che tacqui già dopo la tua replica al riguardo) ma semplicemente da dilettante della materia, quindi con molte lacune metodologiche e nozionistiche. E non lo dico con astio alcuno, sicuramente se mi mettessi a parlare di ingegneria farei molto peggio di quanto tu stia facendo qui con l'ebraico.
Tuttavia, mi chiedo quale sia l'utilità della presente conversazione a questo punto. Le mie ultime risposte sono state principalmente volte a far capire ai lettori che non deve passare l'idea che quello che tu, Simon, proponi sia anche solo oggetto di discussione nelle aule o tra studiosi. È indubbio che vi siano liberi battitori anche nell'ebraistica, ma costoro non hanno prodotto nulla di scientificamente accettabile su questo argomento.
Le tue tesi restano uno schiaffo alla linguistica e alla filologia del testo ebraico, nonché un ricettacolo di lacune più o meno ampie sull'argomento (quella sullo schewà nella fonetica tiberiense a sto punto riceve il premio).
« Ultima modifica: 02.06.2020 alle ore 17:06:06 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #620 Data del Post: 01.06.2020 alle ore 19:06:19 »
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In un film della serie indiana jones GEova e stato pronunciato  3 vilte
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #621 Data del Post: 01.06.2020 alle ore 19:23:09 »
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on 01.06.2020 alle ore 19:06:19, claudiaTdg wrote:
In un film della serie indiana jones GEova e stato pronunciato  3 vilte

 
E che vuol dire? Anche il mio macellaio lo dice  Risata
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #622 Data del Post: 02.06.2020 alle ore 17:05:45 »
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Ci tengo a far osservare, Simon, che non solo non conosci le nozioni basi della fonetica tiberiense e le regole che stabiliscono la notazione grafica dei segni dello stesso sistema, ma ti ostini ad andare contro ogni evidenza linguistica e filologica impugnando una definizione. Definizione che è prodotto secondario creato dagli studiosi (come giustamente osservavi sul qere perpetuum), i quali studiosi dopo aver fornito la definizione si premurano, qualora trattino i casi specifici, di precisare che il tetragramma vada letto Adonay.
Quindi, non solo ignoranza delle fonti primarie (tra cui la tua deliberata scelta di ignorare cosa ci dicono i trattati masoretici sulle varianti grafiche di /a/ breve), con la conseguente assenza di produzione di dati da parte tua, ma anche l'incapacità di utilizzare le fonti secondarie, che usi parzialmente (cioè riproducendo solo parte di quello che viene affermato nel campo, come se gli ebraisti presenti e passati fossero schizofrenici) ed inappropriatamente (cioè a scapito delle fonti primarie, non producendo tu nemmeno un dato).
 
Perché io inizialmente feci il paragone con i terrapiattisti? Perché è esattamente la stessa procedura che vidi in questo video spassosissimo - similitudine arricchita dalla presenza di formule/definizioni e variabili/varianti in entrambe le discussioni (dal minuto 13, nello specifico dal 17:40):
 
https://www.youtube.com/watch?v=44cZCmtGoJM
« Ultima modifica: 02.06.2020 alle ore 23:29:57 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #623 Data del Post: 02.06.2020 alle ore 18:07:45 »
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on 01.06.2020 alle ore 19:23:09, JWFELIX wrote:

 
E che vuol dire? Anche il mio macellaio lo dice  Risata

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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #624 Data del Post: 07.06.2020 alle ore 22:28:57 »
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on 02.06.2020 alle ore 17:05:45, Vladi91 wrote:
Ci tengo a far osservare, Simon, che non solo non conosci le nozioni basi della fonetica tiberiense e le regole che stabiliscono la notazione grafica dei segni dello stesso sistema, ma ti ostini ad andare contro ogni evidenza linguistica e filologica impugnando una definizione. Definizione che è prodotto secondario creato dagli studiosi (come giustamente osservavi sul qere perpetuum), i quali studiosi dopo aver fornito la definizione si premurano, qualora trattino i casi specifici, di precisare che il tetragramma vada letto Adonay.
Quindi, non solo ignoranza delle fonti primarie (tra cui la tua deliberata scelta di ignorare cosa ci dicono i trattati masoretici sulle varianti grafiche di /a/ breve), con la conseguente assenza di produzione di dati da parte tua, ma anche l'incapacità di utilizzare le fonti secondarie, che usi parzialmente (cioè riproducendo solo parte di quello che viene affermato nel campo, come se gli ebraisti presenti e passati fossero schizofrenici) ed inappropriatamente (cioè a scapito delle fonti primarie, non producendo tu nemmeno un dato).
 
Perché io inizialmente feci il paragone con i terrapiattisti? Perché è esattamente la stessa procedura che vidi in questo video spassosissimo - similitudine arricchita dalla presenza di formule/definizioni e variabili/varianti in entrambe le discussioni (dal minuto 13, nello specifico dal 17:40):
 
https://www.youtube.com/watch?v=44cZCmtGoJM

 
Caro Vladi, cari nostri lettori,
 
mi permetto un altro post interlocutorio, doveroso per via delle risposte che continuo a leggere. Virtuale e altri si sono stupiti della complicatezza della questione. Il problema è duplice: da un lato sta nell’atteggiamento del Vladi, dall’altro dall’accozzaglia di affermazioni contrastanti e contraddittorie con espone, senza nemmeno rendersene conto.  
 
Ho già incontrato gente con l’atteggiamento del Vladi online, personaggi che:
A.     Sostengono di sapere tutto loro e che il consensus omnium bonorum stia invariabilmente dalla loro parte
B.     Quando gli si citano letteratura accademica e opinioni contrarie di prof. universitari, al posto di prenderne atto come si fa in accademia, avviano il processo di “mud throwing” (gettare fango) e li dipingono come dei poveri scemi del villaggio.
 
Vi rassicuro garantendovi che questo tipo di personaggi se ne stanno lontani dalle università e, semmai avessero titolo per salire su una cattedra e tenere una lezione, anche solo da assistenti, parlando col tono usato dal Vladi firmerebbero inevitabilmente la propria condanna accademica. Di solito se ne stanno ai margini, nel loro anonimato, con le loro convinzioni personali, che invece sbandierano poi online.  
 
Venendo al merito, leggo che quel che dice il Vladi sarebbe (testuali parole): “Nulla di arcano o complicato. Può darsi, forse, che sia complesso, ma perché il sistema sviluppato a Tiberiade era molto preciso. Però ripeto, nulla che non venga affrontato in classe entro le prime settimane di studio dell'ebraico.”
 
Vi rassicuro, visto che ci sono passato, che durante le “prime settimane di studio dell’ebraico” non si studia affatto quello che dice il Vladi. In particolare, si usano grammatiche di base della lingua ebraica, che si guardano bene dal fare le affermazioni che avete letto nei suoi post.  
 
Ad esempio, non conosco alcuna grammatica di base che insegni che lo shewa, annotato sotto lo yod del tetragramma, vada letto “a” e corrisponda al suono della hatef patah scritto sotto la aleph della parola adonaj. Secondo le grammatiche di base infatti, tutte le grammatiche che ho consultato, lo shewa è letto come “e” breve e non come “a”. La hatef patah invece viene letta “a breve”. Se il Vladi ha piacere, può naturalmente citare una grammatica di base, di quelle che si usano nei corsi di base, che dice diversamente da quello che ho scritto io adesso.  
 
L’avevo già detto, lo ripeto ancora. Un mio amico ha fatto un corso riassuntivo di ebraico biblico l’anno scorso a Roma, tenuto da un prof. di ebraico con cattedra. Era un corso intensivo per chi aveva già studiato i fondamenti dell’ebraico biblico e desiderava ripeterli. Quando ha spiegato la vocalizzazione del testo consonantico ha usato anche il tetragramma come esempio e ha detto con chiarezza che le vocali annotate sono quelle di “shemà” e non quelle di adonaj (che non corrispondono), ma vengono usate anche per indicare adonaj.  
 
Quanto alla regola del qere/chetiv, anche applicata al caso del nome, una grammatica di livello già intermedio (e non più di base) come quella del Lambdin, commenta la vocalizzazione masoretica come segue:  
 
“I masoreti applicarono questa sostituzione applicando a YHWH i punti vocalici – leggermente modificati – di adonay da cui YeHoWaH. L’interpretazione letterale di questa ultima forma come Yehowah = Jehovah risale ai tempi moderni. Entrambi i termini si comportano in maniera irregolare quando vi si prefiggono delle preposizioni: la aleph iniziale nella pronuncia si perde.
Be(‘)lohim/Le(‘)lohim/Ke(‘)lohim  e  ba(‘)donay/ka(‘)donay/la(‘)donay
Coloro che desiderano leggere YHWH come Yahweh, la pronuncia originaria piu’ probabile, devono ricordare di punteggiare queste preposizioni come beYahweh, leYaweh etc.” (p. 95)
 
Riguardo a Gordon, ha fatto il master in studi biblici con E. Tov a Gerusalemme e ha viaggiato a cercare manoscritti del Matteo ebraico di Shem Tov su cui ha scritto anche un libretto.  
Comunica da amerikano e fa i suoi show, ma pur essendo ebreo figlio di rabbini e di origine caraita, usa il nome e lo legge com’è scritto.  
 
Auguro a Vladi di scendere dalla luna e di tornare con i piedi per terra.
 
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #625 Data del Post: 07.06.2020 alle ore 23:14:13 »
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on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

l’accozzaglia di affermazioni contrastanti e contraddittorie con espone, senza nemmeno rendersene conto.  

 
Attendo tu possa prima o poi illustrare dove le affermazioni contrastanti e contradditorie siano. Soprattutto spiegare linguisticamente e filologicamente il perché, se per una volta riesci. Solo blabla da parte tua fino a qui.
 

on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

Ho già incontrato gente con l’atteggiamento del Vladi online, personaggi che:
A.     Sostengono di sapere tutto loro e che il consensus omnium bonorum stia invariabilmente dalla loro parte
B.     Quando gli si citano letteratura accademica e opinioni contrarie di prof. universitari, al posto di prenderne atto come si fa in accademia, avviano il processo di “mud throwing” (gettare fango) e li dipingono come dei poveri scemi del villaggio.

 
Vorrei tu illustrassi a me e ai nostri venticinque lettori quando io ho gettato fango sulla letteratura accademica che hai citato o su quali professori universitari. Da quel che mi risulta, mi hai trovato in accordo con Würthwein e, benché dissentendo, ho affermato che l'ipotesi della De Troyer (che stimo come studiosa e come persona!) riguardo a שמא è, quantomeno, ingegnosa (al contrario di altre). Ho tuttavia spiegato il perché non sia valida, il che non è 'mud throwing'.
Non mi sembra tu abbia citato altri professori oltre a questi due, né pubblicazioni accademiche cui io abbia gettato fango addosso. Hai menzionato ora un professore romano, ma il mio commento sarebbe identico: שמא è ingegnoso, ma non fattibile linguisticamente. Non vedo dove sia il 'mud throwing' in questo.
 
Ed effettivamente sì, il consenso o, se preferisci, l'opinione della schiacciante maggioranza di ebraisti, è per la lettura Adonay (cf. i testi normativi e descrittivi della lingua ebraica o della tradizione tiberiense).
Inoltre, nessuno sostiene di sapere tutto qui. È che tu non ti rendi conto di quanto elementare questa questione sia, come pure quanto elementari siano i tuoi errori e gravi le tue lacune.
 

on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

Vi rassicuro garantendovi che questo tipo di personaggi se ne stanno lontani dalle università e, semmai avessero titolo per salire su una cattedra e tenere una lezione, anche solo da assistenti, parlando col tono usato dal Vladi firmerebbero inevitabilmente la propria condanna accademica. Di solito se ne stanno ai margini, nel loro anonimato, con le loro convinzioni personali, che invece sbandierano poi online.  

 
Lol bellissimo, il mio pezzo preferito del tuo vaniloquio!
 
Ma, nuovamente, un'accozzaglia di falsità. Non solo in generale - si veda il genere letterario della review, per non parlare dei momenti di discussione dopo papers e seminari, dove i toni possono essere ben più diretti dei miei - ma, anche, nello specifico per quanto riguarda questo argomento.
Simon, non parlerei con così tanta confidenza di un ambiente, quello dell'ebraistica, in cui non sei attore e di cui sembri avere per lo più una conoscenza aneddotica. Stai facendo tanta disinformazione, non solo nozionistica. Puoi fare tutte le apostrofi che vuoi ai lettori, rassicurandoli di questo e di quello, ma restano parole vuote perché non conosci il campo e l'ambiente di cui parli.
Cerca di discutere i dati. Li ho articolati in punti, puoi facilmente citarli e smentirli uno a uno, mostrandone le contraddizioni e gli errori.
 

on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

Vi rassicuro, visto che ci sono passato, che durante le “prime settimane di studio dell’ebraico” non si studia affatto quello che dice il Vladi. In particolare, si usano grammatiche di base della lingua ebraica, che si guardano bene dal fare le affermazioni che avete letto nei suoi post.

 
Evidentemente percorsi diversi. A me fu spiegato (ovviamente in maniera generica) quando mi si introdusse la vocalizzazione. Ho visto altri professori farlo. Io, a mia volta, lo spiego all'inizio.
Posso immaginare, in effetti, che se l'insegnamento avviene in un curriculum di licenza biblica o teologia, questi aspetti non vengano affrontati approfonditamente. Ma anche in questo caso ho in mente posti in cui si fa teologia dove l'infarinatura generale sulla fonetica tiberiense viene fornita parallelamente a quella sefaradita.
Comunque, i manuali sulla vocalizzazione tiberiense sono facilmente accessibili anche online gratuitamente.
 
Resta il grandissimo mistero di come tu, nei tuoi 'approfonditi' studi ebraici, non ti sia mai imbattutto nella letteratura fondamentale su questo argomento, né abbia appreso queste nozioni basilari. Lo studio della vocalizzazione tiberiense è un argomento di grande attualità, tra gli hot topics del momento nella linguistica ebraica.
La tua ignoranza non giustifica il tuo primo post in risposta a quanto dissi sulla /a/ breve nell'ebraico tiberiense. Né il fatto che tu non l'abbia studiato all'inizio giustifica il fatto che tu non lo abbia studiato, in classe o da solo, dopo.
Fondamentalmente: fai i compiti a casa prima di esprimerti in maniera perentoria su un argomento o addirittura affermare che non esista una tal cosa.
 

on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

Ad esempio, non conosco alcuna grammatica di base che insegni che lo shewa, annotato sotto lo yod del tetragramma, vada letto “a” e corrisponda al suono della hatef patah scritto sotto la aleph della parola adonaj. Secondo le grammatiche di base infatti, tutte le grammatiche che ho consultato, lo shewa è letto come “e” breve e non come “a”. La hatef patah invece viene letta “a breve”. Se Vladi ha piacere, può naturalmente citare una grammatica di base, di quelle che si usano nei corsi di base, che dice diversamente da quello che ho scritto io adesso.

 
Ho specificatamente citato Khan, Yeivin, Dotan. Cioè non manuali di grammatica ebraica, ma di filologia e fonetica del sistema tiberiense, e ho fatto riferimento al campo dei Masoretic Studies.
Bastava che leggessi attentamente quanto avevo scritto così ti risparmiavi di perdere tempo a consultare le grammatiche di base.
Il fatto stesso che tu vada a cercare queste cose nei manuali di ebraico dimostra ulteriormente che non hai proprio idea di come consultare le fonti e degli argomenti di cui sto parlando.
« Ultima modifica: 09.06.2020 alle ore 03:10:46 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #626 Data del Post: 08.06.2020 alle ore 01:38:25 »
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on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

“I masoreti applicarono questa sostituzione applicando a YHWH i punti vocalici – leggermente modificati – di adonay da cui YeHoWaH. L’interpretazione letterale di questa ultima forma come Yehowah = Jehovah risale ai tempi moderni. Entrambi i termini si comportano in maniera irregolare quando vi si prefiggono delle preposizioni: la aleph iniziale nella pronuncia si perde.
Be(‘)lohim/Le(‘)lohim/Ke(‘)lohim  e  ba(‘)donay/ka(‘)donay/la(‘)donay
Coloro che desiderano leggere YHWH come Yahweh, la pronuncia originaria piu’ probabile, devono ricordare di punteggiare queste preposizioni come beYahweh, leYaweh etc.” (p. 95)

 
E quale sarebbe il problema con Lambdin o la funzionalità di questa citazione nel discorso che stiamo avendo?
 

on 07.06.2020 alle ore 22:28:57, Simon wrote:

Auguro a Vladi di scendere dalla luna e di tornare con i piedi per terra.

 
Fantastico, sembra la conferenza del link sul terrapiattismo!
 
Simon, hai pressoché prodotto solo post interlocutori fin'ora, altrettanto imprecisi ed immotivati nelle accuse (vedi il tuo ultimo post) quanto quelli che contengono nozioni di lingua e filologia. Attendo un tuo intervento in cui i punti linguistici e filologici vengano da te smentiti.
Al posto di dilungarci in post inutili come questo da te scritto e questo mio di replica, discuti e smentisci motivando perché i punti individuali non vadano bene, siano contraddittori etc.
Ti faccio notare che a tutti i post in cui elenco dettagliatamente elementi linguistici e filologici hai sempre risposto con post 'interlocutori', tra l'altro fuori luogo perché non riflettono assolutamente quello che avviene nel campo dell'ebraistica. E, te lo faccio notare nuovamente, fai ciò essendo completamente esterno alla disciplina e quindi, fondamentalmente, scrivendo baggianate su come gli accademici si esprimano o meno in questo campo o quali nozioni ritengano ipotetiche o meno. E non vado oltre su quest'aspetto.
Attendo che tu discuta individualmente i punti da un punto di vista linguistico e filologico, come io discuto quelli che esponi tu.
Fin'ora, non che mi importi più di tanto data la tua totale estraneità a questo campo e pertanto la natura dilettantistica dei tuoi commenti, il mud throwing lo stai facendo tu.
Consiglio su come rimediare: prima smentisci le spiegazioni linguistiche e filologiche (con grammatiche, articoli, quel che ti pare), poi dammi dell'incompetente. Attendo.
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #627 Data del Post: 16.06.2020 alle ore 08:34:51 »
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Caro Vladi,
Se non ti fosse chiaro, il numero dei miei post interlocutori è direttamente proporzionale alla poca educazione e supponenza dei tuoi post, che continuano a parlare di “terrapiattismo” e adesso anche  di “vaniloquio” e “blablabà”. Questo si addice molto bene all’idea che mi sono fatto della sua persona. Se mi dai un’indicazione precisa verrò volentieri a filmare le tue conferenze e le tue dichiarazione perentorie per postarle online, a beneficio dei nostri (pochi) lettori, giusto perché sappiano con che tipo di personaggetto hanno a che fare.
 
Venendo al dunque, hai affermato quanto segue:  
 
[quote=Vladi]“Non è che se qualcuno ha detto qualcosa ad un certo punto allora va bene. Qui gli schieramenti sono dell'ordine 99.9 vs 0.1. E può comunque darsi che lo 0.1 abbia ragione, quindi va comunque ascoltato. Ma fin'ora lo 0.1 non ha prodotto nulla di valido per far cambiare idea alla comunità degli ebraisti.” [/quote]
 
Ora aggiungo una terza fonte in favore della derivazione delle vocali da Shemà: P. Joüon, T. Muraoka “A grammar of Biblical Hebrew”, p. 73 par. 6. È citata nella nota n. 283 del libro di Gertoux a p. 141, ma se ho ben compreso il modo di operare impiegato dal nostro Vladi, lui non è d’accordo con Gertoux, quindi non ha neanche letto il libro con attenzione e non ha preso nota delle fonti.  
 
“(1) In our translation we have used Yahweh, a form widely accepted by scholars, instead of the traditional Jehovah.
In Codex L. the usual form is YeHWaH based on the Aramaic SeMa’ the name, i.e. the Divine Name, but rarely YeHoWaH (e.g. Ex 3.2).” (p. 73)  
 
Non so se tu sei bravo in matematica, caro Vladi, ma per dimostrare quello che hai dichiarato, cioè che “Qui gli schieramenti sono dell'ordine 99.9 vs 0.1” adesso dovresti produrre un elenco di 3'000 ebraisti che concordino con le tue affermazioni. Io ho pazienza e aspetto volontieri che tu produca questo elenco, che naturalmente andrò poi a controllare. Oppure ti troverò a gettare fango anche su questi due autori, dicendo che non capiscono nulla e non hanno prodotto alcuna evidenza, alla memoria?  
 
Caro Vladi, su quelli che tu chiami “manuali di ebraico” devo capire che non ne puoi citare neanche uno o che finora tu hai parlato d’altro. Dunque, per far capire qualcosa di più ai nostri (pochi) lettori, la tua affermazione che qui riporto:
 
[quote=Vladi]“Nulla di arcano o complicato. Può darsi, forse, che sia complesso, ma perché il sistema sviluppato a Tiberiade era molto preciso. Però ripeto, nulla che non venga affrontato in classe entro le prime settimane di studio dell'ebraico.” [/quote]
 
non riguarda affatto i corsi introduttivi alla lingua ebraica, che insegnano tutti invariabilmente la lettura dello shewa mobile come “e”, ma forse corsi di approfondimento specifico, posti nell’ambito di approfondimenti tematici specifici e come tali devono essere letti. E poi ti stupisci che i tuoi lettori non ti capiscono? Non vorrei che qualcuno s’iscrivesse davvero a un corso di ebraico e verificasse la differenza tra quello che dici tu e quello che viene detto e insegnato davvero.  
 
Aggiungo un’ulteriore citazione al nostro dibattito, e cioè di nuovo la De Troyer che afferma:  
 
“3. Was the Name pronounced or not?
There is no explanation as to why the Tetragrammaton was no longer pronounced. Moreover, all hypotheses regarding the origins of the Ketib/Qere phenomenon are speculative.”
 
Che cita proprio [13] Israel Yeivin, Introduction to the Tiberian Masorah, translated by Ernest J. Revell (Masoretic Studies, 5), Missoula, MT: Scholars Press, 1980, p. 61.
Che a sua volta conferma l’affermazione:
 
“Another suggestioni s that the qere readings are simply corrections suggested by the Masoretes on the basis of some manuscripts. All that is clear, however, is that the wording of the reading tradition is not, at these points, represented by the letters of the received text. Suggestions on the origin of the phenomenon are all speculative.”  
 
Tra parentesi, quello che Nehemiah Gordon suppone riguardo all’aggiunta di adonaj al manoscritto di Isaia tra i rotoli del mar Morto va nella stessa direzione di quello che dice qui Yeivin qui delle annotazioni masoretiche: probabilmente non si trattava di una indicazione di lettura ma dell’attestazione di una lezione diversa rispetto a quella riportata nel testo principale.  
 
Sulla mia citazione del Lambdin, che qui riporto:  
 
“I masoreti applicarono questa sostituzione applicando a YHWH i punti vocalici – leggermente modificati – di adonay da cui YeHoWaH.”
 
Lui, contrariamente a te, non ha problemi a far notare che i punti vocalici sono “leggermente modificati” per leggere adonaj, perché anche uno studente del primo anno si accorgerebbe che quelle non sono le vocali di adonaj né tantomeno di elohim, mentre tu fai fatica anche ad ammetterlo.  
 
All’interno di questa situazione, sulla cui origine il Yeivin parla di “speculazioni” e non di certezze, mentre nei tuoi post “da innamorato” leggo solo certezze, si collocano le ipotesi sulle vocalizzazione del Nome.  
 
Stammi bene e magari scendi dalla luna, ogni tanto.
 
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #628 Data del Post: 16.06.2020 alle ore 15:01:36 »
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Lol ma che senso ha la tua filippica sui corsi di ebraico? Non sei nemmeno del campo, a che fine e sulla base di quale ampia conoscenza dell’ambiente tale arringa? Boh!
Sì, esatto, come ho detto l’informazione la trovi in testi come quelli di Khan sulla fonetica tiberiense, non nei manuali come il Weingreen o il Lambdin (non capisco perché sei andato in fissa con i manuali di ebraico, che non ho mai menzionato). E come ho detto, noi non leggiamo comunque con pronuncia tiberiense, quindi nessuno sarà indotto in classe a leggere lo schewà come /a/ breve. D’altronde, vista la rinascita degli studi masoretici, non è cosa inusuale che tali informazioni vengano diffuse fin dall’inizio sempre in più corsi introduttivi. E non ci sarebbe nessun male: ci sono professori che già lo fanno, soprattutto nelle facoltà di orientalistica. È un problema, eventualmente, delle facoltà teologiche se tali argomenti non sono affrontati all’inizio. È come comparare i corsi di greco nelle medesime facoltà teologiche con quelli del liceo: nei secondi si ha un approccio linguistico molto solido con informazioni molto dettagliate, nei primi per nulla. Esistono realtà in cui l’ebraico antico è insegnato fin dall’inizio in maniera linguisticamente e filologicamente approfondita. Se a te è andata male, pazienza! E se qualcuno che legge questi post ad un certo punto inizierà ebraico, lo farà con una nozione in più sulla fonetica tiberiense, quindi ben venga.
Comunque, non importa. Passiamo alle dolenti note.
 
Simon, non ci siamo proprio: è esattamente come il video sul terrapiattismo. Questa volta però la similitudine risiede nella manipolazione delle fonti secondarie. Come al solito citi in maniera frammentaria e funzionale alla tua tesi facendo dire alle fonti secondarie qualcosa che non dicono. Non mi è chiaro, tuttavia, se questo lo fai tu o lo facciano Gertroux e Gordon (non a caso divulgatori di tali idee in pubblicazioni non accademiche).
 
Partiamo dalla citazione del Lambdin, che è il meno peggio:
 

on 16.06.2020 alle ore 08:34:51, Simon wrote:

“I masoreti applicarono questa sostituzione applicando a YHWH i punti vocalici – leggermente modificati – di adonay da cui YeHoWaH.”
 
Lui, contrariamente a te, non ha problemi a far notare che i punti vocalici sono “leggermente modificati” per leggere adonaj, perché anche uno studente del primo anno si accorgerebbe che quelle non sono le vocali di adonaj né tantomeno di elohim, mentre tu fai fatica anche ad ammetterlo.

 
Puoi tranquillamente rileggerti la nostra conversazione per vedere che ovunque affermo che è visibile a tutti che i segni vocalici non siano identici. Ti spiego inoltre anche il perché nel caso dello shewà iniziale, dicendoti che trattasi di variante grafica. Variante grafica significa che non sono segni identici, più chiaro di così come posso esprimerlo?
Il fatto che i segni vocalici non siano identici, tuttavia, non significa che le vocali siano differenti. Infatti, lo stesso Lambdin conferma che si legga Adonay. Sei tu che stai conflagrando grafia e resa fonetica e, infatti, mentre il Lambdin parla di punti vocalici, tu parli di vocali. Non capisco se qui manipoli la fonte o non la comprendi proprio.  
Quindi questa tua accusa è campata in aria, e non è che se la ripeti diventa vera.
 

on 16.06.2020 alle ore 08:34:51, Simon wrote:

Oppure ti troverò a gettare fango anche su questi due autori, dicendo che non capiscono nulla e non hanno prodotto alcuna evidenza, alla memoria?

 
Attendo ancora che tu mi mostri dove ho gettato fango su professori universitari e sulle loro pubblicazioni. Come sopra, non è che se continui a ripeterlo poi diventa vero. Il materiale valido e gli studiosi veri li tratto sempre con serietà, benché io possa dissentire.
« Ultima modifica: 16.06.2020 alle ore 16:05:41 by Amenachos » Loggato
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Re: Il nome di Dio
« Rispondi #629 Data del Post: 16.06.2020 alle ore 15:03:55 »
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on 16.06.2020 alle ore 08:34:51, Simon wrote:

“3. Was the Name pronounced or not?
There is no explanation as to why the Tetragrammaton was no longer pronounced. Moreover, all hypotheses regarding the origins of the Ketib/Qere phenomenon are speculative.”
 
Che cita proprio [13] Israel Yeivin, Introduction to the Tiberian Masorah, translated by Ernest J. Revell (Masoretic Studies, 5), Missoula, MT: Scholars Press, 1980, p. 61.
Che a sua volta conferma l’affermazione:
 
“Another suggestioni s that the qere readings are simply corrections suggested by the Masoretes on the basis of some manuscripts. All that is clear, however, is that the wording of the reading tradition is not, at these points, represented by the letters of the received text. Suggestions on the origin of the phenomenon are all speculative.”
 
All’interno di questa situazione, sulla cui origine il Yeivin parla di “speculazioni” e non di certezze, mentre nei tuoi post “da innamorato” leggo solo certezze, si collocano le ipotesi sulle vocalizzazione del Nome.  

 
Qui, in particolare, usi (o lo fanno Gertroux / Gordon) le fonti secondarie in maniera scriteriata e manipolatoria. Innanzitutto, la De Troyer afferma che non si sa perché esattamente il tetragramma non fosse più pronunciato ad un certo punto. E su questo nulla da ridire. Inoltre, quando cita Yeivin sta facendo un’osservazione di carattere generale sull’ORIGINE del Qere/Ketiv come FENOMENO, pertanto cita Yeivin che, a sua volta, fa quest’osservazione di carattere generale e non in riferimento al tetragramma. Riporto quanto Yeivin afferma per intero (sempre a p. 61):
 
“Various suggestions on the origin of the qere / ketiv situations have been made, but none provides a satisfactory explanation for all examples. Some have suggested that qere represents an arbitrary correction, noted in the margin by the Masoretes. There are, however, examples (admittedly rare} in which the qere is more difficult to understand than the reading suggested by the ketiv, as הוצא (Gen 8:17) read הַיְצֵא not הוֺצֵא, and מגדיל (2S 22:51) read מִגדּּוֺל not מַגְדִּיל. Others suggest that the ketiv represents the reading of some form of model manuscript, while the qere represents a variant reading from some other MS(S), or that two or three model MSS were used to determine the authoritative text, and that the ketiv represents the reading of the preferred text, or of the majority, while the qere gives the alternative or minority reading. Another suggestion is that the qere readings are simply corrections suggested by the Masoretes on the basis of some manuscript. All that is clear, however, is that the wording of the reading tradition is not, at these points, represented by the letters of the received text. Suggestions on the origin of the phenomenon are all speculative.”
 
Sull’ORIGINE poco chiara del FENOMENO Qere/Ketiv non c’è nulla da aggiungere. È un argomento che non abbiamo trattato qui e che non capisco perché utilizzi come se io dissentissi da queste affermazioni. Ci sono varie spiegazioni, che possono essere di natura orale o testuale, ma non ho nulla da dire che differisca o vada contro le fonti secondarie che citi.
Yeivin, da parte sua, quando tratta del tetragramma, sostiene che esso vada letto Adonay (fenomeno che chiama qere perpetuo). Cita inoltre un famoso passo del Talmud che afferma la stessa cosa (p. 59):
 
“Perpetual ‘qere’.
 
In the case of some words, the form traditionally read is always different from that suggested by the letters. This class is related to qere / ketiv, but is no marked as such. The leading example is the tetragrammaton יהוה, which is pointed יְהוָה or יְהֺוָה to indicate qere אֲדֺנָי or יְהוִה or יְהֺוִה to indicate the qere אֱלֺהִים. The Talmud (TB Pesahim 50a) remarks on this
 
לא כשם שאני נכתב אני נקרא נכתב אני ביו"ד ה"א ונקרא אני באל"ף דל"ת
 
“I am not read as I am written, I am written with yod he, but read with alef dalet”. It is possible that the writing of the Divine Name in Hebrew characters in some Greek MSS, and its writing in Old Hebrew characters (or with four dots) in some of the Qumran Scrolls, was similarly intended to guard the sanctity of the name of God.”
 
Quindi, se da un lato il fenomeno ketiv / qere è molto complesso e difficilmente tracciabile nel suo sviluppo storico e si può solo speculare su come esso si sia originato e perché esso sia stato codificato in un certo modo, dall’altro per Yeivin non c’è dubbio sulla pronuncia dei vari qere come pure del tetragramma.
Sia la De Troyer, sia Yeivin si riferiscono all’ORIGINE del FENOMENO qere / ketiv in generale e alla ricostruzione della sua storia come qualcosa di speculativo. Quando Yeivin scende nello specifico del tetragramma, non descrive minimamente come speculativa l’equazione YeHWaH / YeHoWaH = Adonay, né la tratta come ipotesi, etichetta che tu applichi, ma che non applicano Yeivin, Tov, Khan, etc.
Tu prendi un’affermazione tratta da un paragrafo di Yeivin sull’ORIGINE incerta del FENOMENO (come comunque tu stesso riconosci), e all’interno di questa cornice che fa riferimento ad aspetti storici fai dire che qualcosa che Yeivin non ritiene speculativo (cioè come il tetragramma vada letto) sia speculativo. Allo stesso modo, non è speculativo come vada letto ירושלם, הוא, etc. Stai confondendo il giudizio sulla dimensione storica sull’origine del fenomeno con la consapevolezza di come il qere vada pronunciato. Yeivin non sta dicendo che la lettura dei qere è speculativa, ma che l'origine dell'espediente qere non è chiara: il qere (che si sa come va letto, nel nostro caso Adonay) appartiene alla tradizione orale, deriva da un manostritto superiore, è una correzione masoretica? Yeivin sta dicendo qualcosa di completamente diverso da quello che vuoi fargli dire tu. Il passaggio che fai tu è illecito e produci un altro dei tuoi tanti non sequitur.
Quando Yeivin (come chiunque altro) formula un'ipotesi lo dice chiaramente, come nel passo qui sopra: "It is possible that etc."
 
È lo stesso processo che hai adottato per la formula che continuavi a ripetere sul qere: citi la ‘regola’ generale, senza prestare attenzione al fatto che gli autori stessi che riportano la regola allo stesso tempo affermano che il tetragramma si legga Adonay.
« Ultima modifica: 17.06.2020 alle ore 05:41:00 by Amenachos » Loggato
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