L’era Trump si apre nel segno della preghiera

By 2 Febbraio 2017Esteri

WASHINGTON – Il giuramento di Donald Trump come 45.mo presidente degli Stati Uniti, venerdì 20 gennaio, è stato seguito in diretta da milioni di persone in tutto il mondo: è stato il momento culmine di una giornata a suo modo storica, che secondo Trump ha addirittura segnato il ritorno del potere nelle mani del popolo.

IL CULTO – L’Inauguration day, racconta la CNN, si è aperto come di consueto con un culto evangelico semi-privato nella chiesa di St John, non lontano dalla Casa Bianca: Trump, il suo vice Mike Pence e le rispettive famiglie, insieme a un entourage di trecento persone, hanno partecipato alla riunione che ha visto predicare Robert Jeffress, un battista vecchio stampo, pastore di una megachiesa da 12 mila membri a Dallas e, negli ultimi mesi, uno dei consiglieri spirituali del neopresidente. Jeffress ha concentrato il suo sermone sulla figura di Neemia, personaggio biblico vissuto nel V secolo prima di Cristo, che richiama in qualche modo la figura di Trump (tra l’altro – faceva notare la CNN con un’ironia non si sa quanto consapevole – anche Neemia aveva una certa familiarità con le mura di difesa). Il titolo del messaggio di Jeffress? “Quando Dio sceglie un leader”.

IL GIURAMENTO – Trump ha giurato davanti al presidente della Corte suprema appoggiando la mano sinistra su ben due copie della Bibbia: la sua – la madre gliela regalò quando Donald aveva nove anni – e la Bibbia di Abramo Lincoln, già utilizzata nei precedenti giuramenti da Barack Obama.
Lo ha preceduto, qualche minuto prima, il vicepresidente Mike Pence, che ha espresso il suo impegno giurando invece sulla Bibbia di Ronald Reagan.
Nel suo discorso post-giuramento Trump ha citato la Bibbia, e in particolare il noto incipit del Salmo 133, “Ecco quanto è buono e quanto è piacevole che i fratelli vivano insieme». Piccola curiosità: Trump ha citato la New International Version, che rende il versetto con “… quando il popolo di Dio vive in unità” (il testo completo del discorso).

LE PREGHIERE – Gli interventi dei sei ministri di culto, bistrattati dalle emittenti nostrane, sono stati aperti dal cardinale Michael Dolan con una lettura dal libro deuterocanonico della Sapienza (la preghiera del re Salomone); Samuel Rodriguez ha citato le beatitudini dal passo di Matteo 5,1-17; Paula White ha pregato per il nuovo presidente e il suo vice (ma anche per gli Stati Uniti), richiamando nella sua preghiera Proverbi 21,1 (“il cuore del re è in mano al Signore”). Dopo il giuramento è stata la volta del rabbino Marvin Hier che nella benedizione ha richiamato il Salmo 15 (“Signore, chi abiterà sul tuo santo monte? Colui che agisce con giustizia e dice la verità”) e il 137 (“Presso i fiumi di Babilonia piangevamo ricordandoci di Sion… Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra”).
Franklin Graham ha citato invece I Timoteo 2,1-6 (“Esorto dunque che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per le autorità”; dalle immagini sembra che Trump abbia apprezzato); infine Wayne T. Jackson, dopo aver invocato la benedizione su Trump (“ti preghiamo di donargli la saggezza di Salomone, la visione di Giuseppe e la forza di Cristo”), ha concluso citando un brano di Mahalia Jackson per sottolineare l’importanza dell’unità (gli interventi integrali).

I PRIMI ATTI – Tra i primi provvedimenti firmati da Trump, come era stato promesso, c’è il bando ai fondi federali alle organizzazioni «che praticano aborti o forniscono informazioni a riguardo». Si tratta di un atto che i due schieramenti continuano a rimpallarsi: «da quando è stato introdotto dall’amministrazione repubblicana nel 1984 – ricorda La Stampa -, è stato revocato dalle amministrazioni democratiche e reintrodotto da quelle repubblicane che si sono succedute. L’ultima volta era stato il presidente Barack Obama a cancellare il bando».

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