ROMA – Ampio lo spazio dedicato dai media al viaggio di Bergoglio in Svezia per la commemorazione della Riforma alla vigilia di quel cinquecentenario che, nel 2017, vedrà Martin Lutero sotto i riflettori in tutta Europa. La chiave di lettura dell’incontro ecumenico è nella dichiarazione comune, firmata a margine della celebrazione: «Quello che è accaduto nel passato non si può cambiare, ma può invece cambiare… ciò che del passato viene ricordato e come viene ricordato».
Alla vigilia, lo stesso Bergoglio riassumeva così, in un’intervista, l’eredità di Lutero: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”… All’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa. Lutero voleva porre un rimedio a una situazione complessa. […] La seconda parola è «Scrittura», la parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la parola di Dio nelle mani del popolo».
«In Lutero – gli ha fatto eco il cardinale Kurt Koch – la questione di Dio e il cristocentrismo del suo annuncio sono fondamentali e molto positivi: e noi cattolici abbiamo ancora da imparare su questi temi». E anche Joseph Ratzinger, ricorda La Stampa, cinque anni fa aveva avuto modo di riflettere, ampiamente e serenamente, sul riformatore tedesco.
Sul volo di ritorno, nel consueto incontro con i giornalisti, il papa ha chiarito la sua prospettiva nei rapporti con le altre chiese: «sono andato a Caserta alla Chiesa pentecostale, e… a Torino sono andato alla Chiesa valdese. Una iniziativa di riparazione e di richiesta di perdono, perché i cattolici… parte, parte della Chiesa cattolica non si è comportata cristianamente, bene, nei loro confronti. E lì c’era da chiedere perdono e da risanare una ferita». Sul movimento carismatico ha aggiunto un dettaglio interessante, ammettendo di essere stato “uno dei suoi primi oppositori”: «io ero Provinciale dei Gesuiti a quell’epoca – ha ricordato -, quando è iniziato in Argentina, e io ho proibito ai Gesuiti di avere a che fare con loro. E ho detto pubblicamente che quando si faceva una celebrazione liturgica bisognava fare una cosa liturgica e non una “scuola di samba”. Quello ho detto. E oggi penso il contrario, quando le cose sono ben fatte».
Per il futuro, peraltro, Bergoglio non si nasconde una probabile battuta d’arresto nel dialogo: dopo «il grande documento ecumenico sulla giustificazione… immagino che non sarà facile andare avanti a causa delle diverse capacità di comprendere alcune questioni teologiche». Per questo indica una possibile soluzione, squisitamente concreta: «Personalmente credo anche che si debba spostare l’entusiasmo verso la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo… Parlare, pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare».
Commenti di vario tenore hanno accompagnato la visita sui media. Per Lucetta Scaraffia si è trattato di «un gesto di pace clamorosamente concreto». La presenza a Lund, ha scritto sul Corriere, è stata un gesto che solo un papa sudamericano, «sottratto ai duri condizionamenti storici della vecchia Europa» e da cinque secoli di – dolorose – dispute tra cattolici e protestanti, poteva fare. «Per noi europei insomma è più difficile dimenticare», scrive la studiosa, anche se «molti dei profondi dissensi… non hanno più ragion d’essere», mentre in primo piano richiamano oggi la nostra attenzione nuove questioni bioetiche come divorzio, controllo delle nascite, omosessualità.
Anche Giuliano Ferrara sul Foglio riflette sulla visita di Bergoglio, con qualche distinguo: «Che i cattolici – scrive Ferrara – abbiano qualcosa da imparare da Lutero… è giusto anche da una prospettiva di osservazione integralmente laica. Lutero fu un genio religioso immenso e fu un riformatore nelle intenzioni, un rivoluzionario potente nelle conseguenze. La sua lettura di san Paolo, la sua idea che solo la fede può rendere giusto l’uomo di fronte al giudizio di Dio, non le opere… Ma – rileva il fondatore del Foglio – qualche problema c’è… Lutero con i sacramenti e la messa negava anche il libero arbitrio e la erasmiana ragione naturale… Lutero rinnegò la chiesa, la dottrina, il clero, i dogmi, i sacramenti, reimbarcarsi con lui, perché non sia un’operazione di facciata mediatica, vuol dire andare alla radice della questione… con l’insegnamento di Lutero che diventa ausilio del magistero cattolico, la chiesa perde la quintessenza della sua dimensione razionale di fede che rende conto di sé… si inoltra in un profetismo secolarizzante pieno d’ombra e in un misticismo, in una fede solo interiore, in un abbandono a Dio e alla sua misericordia».
Intervistato da Repubblica, il pastore Giovanni Traettino spezza una lancia nei confronti dell’amico Bergoglio: «Credo… che Francesco sia – per così dire – serenamente cattolico, per cui è in grado di apprezzare il deposito migliore della teologia e della spiritualità evangeliche». Che in parte ha mutuato: «Direi che Francesco – aggiunge Traettino – ha avuto il grande merito di riprendere quelle istanze di “conversione” e di “riforma” che, a più riprese nel corso dei secoli, hanno percorso, rinnovato e fecondato tutta la chiesa».
L’incontro di Lund è stato parte di un processo di pace all’interno della cristianità, ha scritto anche Thomas Schirrmacher, segretario della commissione teologica dell’Alleanza evangelica europea; secondo Schirrmacher è stato siglato un vero “trattato di pace”, in base al quale “fare i conti con le differenze attraverso un confronto pacifico, rigettando l’uso di armi non spirituali”, concentrandosi sul “potere del vangelo”. Non c’è stata nessuna “svendita della Riforma”, ha continuato Schirrmacher rintuzzando indirettamente alcune posizioni critiche, né strategie occulte: «secondo alcuni il papa dissimula e, da gesuita, sta seguendo un piano segreto, completamente diverso da ciò che espone in pubblico. Papa Francesco – afferma l’esponente dell’Alleanza europea – è profondamente convinto che le Sacre Scritture, il Vangelo e lo Spirito Santo posseggono il potere necessario per guidare le chiese, sul lungo termine, a una più ampia unità, e a dare a ogni cristiano la facoltà di testimoniare personalmente la salvezza e la speranza offerta da Gesù Cristo a un mondo che sta morendo». Bergoglio, ricorda Schirrmacher, ha riconosciuto che «È Dio a prendere l’iniziativa, è Dio a preparare la nostra risposta. E noi riceviamo perdono e grazia solo in Gesù Cristo. Sarei contento – prosegue – se questa convinzione fosse condivisa da tutti i protestanti!». Schirrmacher conclude puntualizzando che l’invito di Bergoglio a intensificare la collaborazione non annulla le differenze teologiche, che vanno «discusse a fondo, anche se i punti di contatto di certo predominano».
Alle perplessità sul fronte cattolico risponde invece padre Bartolomeo Sorge, che non vede discontinuità tra Bergoglio e i suoi predecessori: il suo, scrive Sorge rispondendo alle obiezioni più comuni, è un «ulteriore approfondimento, alla luce del realismo di Dio. È il Vangelo della misericordia a chiedere che si prenda atto della complessità dei condizionamenti che, nella società di oggi, limitano la capacità di decisione di molte coscienze».
Sul piano storico Gian Guido Vecchi, sul Corriere di sabato, a parte un lapsus che anticipa il cinquecentenario («Lunedì saranno passati 500 anni da quando Martin Lutero, il 31 ottobre 1517, affisse le 95 tesi»), rileva un dato interessante: lo strappo del riformatore con la chiesa cattolica non risale a quella data ma al 18 aprile 1521. Fu allora che, alla richiesta di tornare sui suoi passi e rientrare nei ranghi, di fronte all’imperatore disse: «Qui sto. Non posso fare altrimenti. Che Dio mi aiuti. Amen». Un distinguo “politico” non da poco: Francesco avrebbe commemorato una riforma che, in fondo, condivide, ma non le sue conseguenze epocali.
(nella foto, un momento della celebrazione nella Cattedrale di Lund, in Svezia)