Ragazze di Chibok, il mondo non si rassegna

By 13 Aprile 2015Esteri

ABUJA – A un anno dal rapimento delle liceali di Chibok, enclave cristiana evangelica nella Nigeria del nord-est, diversi indizi suggeriscono che le giovani donne siano state giustiziate dai combattenti islamici Boko Haram prima che questi si ritirassero dalla città di Bama dove le truppe regolari hanno trovato fosse comuni. In questo senso si è espresso Raad Zeid al Hussein, funzionario dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).

Era la notte tra il 14 e il 15 aprile del 2014 quando i combattenti del gruppo estremista islamico Boko Haram irruppero nel dormitorio della scuola e rapirono 276 studentesse obbligandole a salire su quattro camion: 57 ragazze riuscirono a fuggire ma delle altre 219 non si è saputo più nulla. Negli ultimi giorni è circolata la notizia che potrebbero essere state uccise a Bama e il mondo non si rassegna, si mobilita di nuovo e attraverso i social network prepara una serie di iniziative lanciate con gli hashtag #GWA (Global Week of Action), #365DaysOn, #ChibokGirls, #NeverToBeForgotten.

Tra le varie iniziative è prevista una marcia globale il 14 aprile, lanciata dall’account ufficiale Twitter @BBOG_Nigeria (BringBackOurGirls, “Ridateci le nostre ragazze”), dal profilo Facebook “BringBackOurGirls” e dai siti web “bringbackourgirls.ng” e “bringbackourgirls.us”. La mobilitazione vede adesioni da varie località negli Stati Uniti oltre che da Cile, Svizzera, Inghilterra Francia. In Nigeria sono previsti incontri di preghiera nelle moschee e nelle chiese cristiane del Paese, letture commemorative nella capitale e anche veglie di preghiera.

Nei dodici mesi trascorsi dal rapimento migliaia di persone comuni in tutto il pianeta si sono mobilitate per la campagna mediatica “Ridateci le nostre ragazze”, oltre a personaggi noti della politica, dello sport e dello spettacolo. Hanno partecipato alla campagna, tra gli altri, anche la first lady americana, Michelle Obama, che si è fatta fotografare con il cartello #BringBackOurGirls, e papa Bergoglio che lo scorso 10 maggio su Twitter invitava tutti alla preghiera per un immediato rilascio delle liceali rapite in Nigeria.

Parallelamente alla mobilitazione social, si muoveva la diplomazia in cerca di un accordo. Le prime voci d’intesa con Boko Haram per la liberazione delle studentesse hanno iniziato a circolare a settembre, quando rappresentanti del governo nigeriano e della Croce rossa internazionale hanno fatto sapere di avere avviato negoziati con il gruppo terrorista per uno scambio di prigionieri. A ottobre il governo nigeriano annunciava un accordo sul cessate il fuoco con Boko Haram che avrebbe previsto anche la liberazione delle studentesse. Il capo di Stato maggiore delle forze armate nigeriane, Alex Badeh, precisò che l’intesa era stata raggiunta dopo un mese di negoziati mediati dal Ciad. I dettagli per la liberazione delle ragazze avrebbero dovuto essere concordati in un incontro successivo fra esponenti del governo e rappresentanti del gruppo islamista previsto nella capitale del Ciad. Erano trascorsi sei mesi dal rapimento e il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Susan Rice, assicurava la determinazione americana a sostenere gli sforzi della Nigeria per riportare le ragazze a casa, ma a fine ottobre i negoziati tra autorità nigeriane e gruppo terrorista furono smentiti e venne diffuso un video nel quale il leader di Boko Haram, Abdullah Shekau, annunciava che le 219 ragazze si sono «convertite all’Islam e sono state date in sposa» ai militanti. Poi delle ragazze non si è saputo più nulla mentre nel nord del Paese gli attacchi dei Boko Haram sono proseguiti causando centinaia e centinaia di vittime.

La lotta al gruppo islamista è stata uno dei temi centrali della recente campagna elettorale in Nigeria che ha visto l’ex generale Muhammadu Buhari conquistare la vittoria nelle elezioni presidenziali contro il capo di Stato uscente Goodluck Jonathan che nell’anno trascorso dal rapimento aveva più volte assicurato l’impegno delle autorità sul caso delle ragazze di Chibok.

Pochi giorni fa la nigeriana Amina J. Mohammed, consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni unite sull’Agenda sviluppo post 2015, parlando con l’agenzia Adnkronos delle studentesse rapite diceva che il presidente uscente aveva fatto ciò che era nelle sue possibilità e aggiungeva: «Credo, desidero pensare e spero che le ragazze siano ancora vive; devono tornare a casa, dobbiamo portarle a casa». Ma oggi, a un anno dal loro rapimento le studentesse non sono tornate e nei giorni scorsi l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha espresso i suoi timori. [gp]

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