La persecuzione che non risparmia i bambini

By 7 Ottobre 2014Chiesa Perseguitata

VERONA – Può essere difficile capacitarsi che bimbi in età scolare debbano sopportare discriminazioni o addirittura persecuzioni perché sono cristiani. Eppure accade: Porte Aperte, l’organizzazione internazionale evangelica a sostegno della chiesa perseguitata, ha raccolto e diffuso attraverso la sua ultima newsletter una testimonianza emblematica di una situazione reale e diffusa nei Paesi in cui non si tollera il cristianesimo.

M., sette anni, frequentava una scuola pubblica. Ma nella scuola, pur pubblica, l’ottanta per cento del suo tempo era impiegato negli studi islamici e solamente il venti per cento della giornata era occupato da materie come matematica, storia o scienze, e perfino nei testi di queste materie non mancavano i riferimenti all’islam, e gli attacchi ai cristiani e alle altre minoranze religiose, insegnando che «di questa gente non ci si può fidare».

M., come cristiano, era preso di mira dai compagni di classe, vittima di una classica situazione di bullismo. Quanto può patire un bambino che ogni giorno, durante la ricreazione, si sente chiamare “infedele”, “impuro” oppure si sente dire che «tutti i cristiani sono maiali o scimmie»? M. ha cominciato a essere depresso e a credere che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui e nella sua fede.

Poi i genitori dei suoi compagni hanno iniziato a infastidire la sua famiglia. Purtroppo anche i talebani, numerosi nella città, sono venuti a sapere dell’esistenza di questa famiglia cristiana e l’hanno minacciata con il messaggio: «Se non vi convertirete, faremo rapire i vostri due figli». Di seguito sono anche arrivate minacce di morte per tutta la famiglia.

Il padre di M. confessa di essere stato sul punto di reagire: «Volevo comprare una pistola per difendere la mia famiglia, ma ero combattuto perché Gesù ci dice di porgere l’altra guancia». Gli rimaneva una cosa da fare: chiedere saggezza a Dio. «Il Signore ha ascoltato il suo grido», scrive Porte Aperte, perché i talebani non hanno attaccato la famiglia. La storia ha una conclusione amara: il padre di M. ha capito che dovevano comunque spostarsi da quella regione per raggiungere un posto più sicuro. Hanno preso alcune delle loro cose e se ne sono andati per sempre. [gp]

La newsletter completa:PORTE APERTE

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