Dio, rock, meno tasse: la ricetta di Huckabee

By 5 Dicembre 2007Rassegna Stampa

NEW YORK – L’ “uomo nuovo” della campagna elettorale americana è un pastore evangelico campione dei cristiani integralisti, che da 40 anni ama esibirsi anche come chitarrista rock sui palcoscenici di cento feste di paese. Uno che si dice contrario a ogni atteggiamento tollerante su aborto, unioni gay e immigrati clandestini e impegnato in una lotta senza quartiere contro gli stupefacenti, ma che ha nel cuore le canzoni di “The Wall”: l’opera rock, frutto di una cultura influenzata dall’ uso di allucinogeni, composta dai Pink Floyd alla fine degli anni ’70.

Di crociate controverse Mike Huckabee, l’ ex governatore repubblicano dell’ Arkansas che vuole arrivare alla Casa Bianca come candidato populista dell’ America «profonda», ne ha lanciate tante: da quella contro l’ epidemia di obesità che ha colpito l’ America (campagna di cui lui stesso è un testimonial vivente, essendo riuscito a separarsi da ben 50 chili di ciccia in eccesso) alla «dieta delle tasse». Huckabee vuole praticamente abolire le imposte sul reddito e – quindi – lo stesso IRS, il Fisco americano, sostituendo queste entrate con un tributo unico del 23 per cento su tutti i consumi.

Fin qui le contraddizioni di Huckabee – che si presenta come candidato anti-tasse ma da governatore ha aumentato i tributi e che demonizza l’alimentazione industriale zeppa di grassi, zuccheri e sale, ma si limita a invitare la gente a mangiare di meno e a fare più ginnastica – non hanno arrecato danni alla sua campagna elettorale. Merito della simpatia e del calore umano di questo personaggio dell’America rurale, ma anche della sua irrilevanza politica. Fino a qualche settimana fa, infatti, tutti i sondaggi attribuivano ad Huckabee un gradimento variabile dallo zero a tre per cento.

Squattrinato, senza una vera squadra elettorale, Huckabee sembrava un caricatura da «dilettanti allo sbaraglio». E invece nell’Iowa, lo Stato dal quale – col “caucus” del 3 gennaio – partirà la «cavalcata» delle primarie, in poche settimane Huckabee ha guadagnato terreno fino a raggiungere (e, secondo alcuni sondaggi, superare) Mitt Romney, l’ex governatore del Massachusetts che era da tutti considerato il sicuro vincitore della sfida. Un dato strabiliante, tanto più che in America, per funzionare, la “macchina del consenso” ha bisogno non solo di un buon candidato, ma anche di molti soldi. E in Iowa, finora, Huckabee ha speso spiccioli: 324 mila dollari (circa 220 mila euro) contro i 7 milioni di dollari di Romney.

In realtà un primo avviso Romney lo aveva avuto a Ferragosto, in occasione dello «straw poll» di Ames, una specie di festival nazionale della politica conservatrice che è anche la «prova generale» del voto del 3 gennaio in Iowa: allora, in un campus zeppo di tendoni messi su dall’organizzazione di Romney che offriva a tutti i visitatori pasti gratis sfornati dal miglior ristorante della contea, Huckabee arrivò da Hope, la sua cittadina in Arkansas, con due pullman di sostenitori, la sua band, i «Capitol Offense», e 200 cocomeri. Vinse Romney, ma Huckabee prese la metà dei voti del candidato mormone.

Oggi il predicatore delle praterie è passato in testa e la cosa sta creando curiosità anche negli altri Stati: dove prima parlava a platee semideserte, ora Huckabee trova gente che si mette in fila per ascoltarlo. E’ nata una stella? Meglio andarci piano: i guai per Huckabee cominciano ora che ha acquistato visibilità.

Fin qui l’aver dichiarato di non credere alla teoria darwiniana dell’evoluzione della specie umana o la “ricetta Chuck Norris” per bloccare i clandestini che entrano negli Usa dal Messico (il muscoloso protagonista di tanti film d’azione è il suo più noto supporter) hanno suscitato più sorrisi ironici che indignazione.

Ora entra anche lui ufficialmente nel “tritacarne” elettorale. Già viene fuori la storia di un collaboratore (ex membro del team Clinton) coinvolto in uno scandalo sessuale, mentre molti puntano il dito sulla sua più evidente debolezza: l’assenza di una linea definita di politica estera. Non basta più il populismo di una campagna centrata sulle tre F: famiglia, fede e “freedom”, libertà, che lui declina semplicisticamente come «libertà dal terrorismo, dall’ immigrazione illegale, dalla dipendenza energetica e dalle tasse». Il Council on Foreign Relations, un autorevole centro studi di politica estera che ha pubblicato un confronto tra le posizioni dei vari candidati, ha dovuto usare la parola «sconosciuto» per definire la posizione di Huckabee su questioni non proprio irrilevanti come la Corea del Nord, la politica di difesa, i rapporti Usa-India, il peso della Cina in Africa.

Secondo molti Huckabee avrà soprattutto l’effetto di demolire la candidatura di Romney, aprendo la strada a Giuliani o a McCain, del quale potrebbe diventare vicepresidente. Ma c’è anche chi nota che i leader cristiani conservatori che all’inizio si erano schierati malvolentieri con Giuliani, considerando Huckabee un candidato di cartapesta, ora ci stanno ripensando. La religiosità, la retorica su immigrati e tasse e anche la lotta personale contro l’obesità lo avvicinano a molti elettori.

In fondo l’Arkansas un presidente all’America già l’ha dato. Anche lui un ex governatore venuto da una cittadina sperduta nella campagna americana: Hope.

di: Massimo Gaggi
da: Corriere della sera
data: 5/12/2007

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