“Gli apostati islamici segregati anche in Italia”

By 25 Novembre 2006Rassegna Stampa

MILANO – L’apostasia, in tutti i Paesi musulmani, è punita con la morte, o per legge o per condanna religiosa (fatwa). E in Italia? Lo abbiamo chiesto a Francesco Maggio, esponente della Chiesa Evangelica italiana per il confronto interreligioso e interculturale. Il quale ci spiega: “Al contrario di quanto si pensa, secondo la nostra esperienza, abbiamo trovato molta disponibilità da parte dei giovani musulmani. Noi presentiamo loro, non la buccia del Cristianesimo, ma il suo nocciolo: la Bibbia. Certamente loro vengono dai loro Paesi carichi di pregiudizi e con un mare di odio. Io ho visto gli insegnanti imporre ai bambini (di 7, 8 anni), non solo di imparare a memoria il Corano, ma anche di studiare tutti i presunti lati negativi del cristianesimo, perché la Bibbia è falsa e il Corano è vero, perché Gesù Cristo è soltanto un uomo, perché Maometto è il più grande dei profeti. Quando vengono qui in occidente, grazie alla libertà di pensiero e alla varietà dei mezzi di informazione, questi giovani iniziano a porsi delle domande”.

Mi può fare degli esempi?
Gli amici immigrati musulmani della seconda generazione, non tanto quelli più in là negli anni o i loro genitori, hanno sempre più dubbi, soprattutto dopo l’11 settembre. Da un lato vedono quello che succede nel mondo dell’Islam, dall’altro giudicano quella che è la civiltà cristiana. Ogni religione ha i suoi difetti, compreso il cristianesimo, però ne sono attratti, ci chiedono di leggere la Bibbia assieme a loro, ci pongono domande sulla loro stessa teologia.

Ma in quasi tutti i Paesi arabi, l’apostasia o è reato o viene punita con una fatwa religiosa. Anche in Italia, un musulmano che legge la Bibbia o si avvicina al cristianesimo rischia la vita?
Non agli stessi livelli dei loro Paesi di provenienza, ma spesso gli amici cristiani magrebini ex musulmani in Italia vivono la loro nuova fede di nascosto, non possono rivelarlo ai loro amici e colleghi di lavoro musulmani. Sanno che un loro amico, venendolo a sapere, potrebbe fare la spia con una telefonata ai suoi familiari nel Paese d’origine e questi ultimi faranno pressione per farlo tornare all’Islam, se necessario anche partendo per visitarlo personalmente. E’ una persecuzione sottile. Vi sono state rappresaglie, come la segregazione in casa o l’isolamento dal resto della comunità, cose che vengono sofferte molto da chi le subisce. Adesso i musulmani non sono nella condizione di imporre la pena di morte per apostasia anche qui in Italia. Per lo meno: non lo sono ancora. Il fatto è che vogliono un tavolo di discussione col governo per promuovere l’Islam a tutti i livelli.

Si sente parlare molto spesso di “reciprocità”, fare concessioni alle comunità musulmane in Occidente solo se vi saranno pari diritti per i cristiani nel mondo musulmano. Lo trova un principio giusto?
Formulato in questi termini, lo trovo semplicemente inapplicabile. Io sono dell’idea che il principio di reciprocità non vada applicato in terre così lontane. Deve essere applicato qui in Italia: partire dalle moschee italiane, chiedere che i leader musulmani, specialmente tra quelli dell’Ucoii che si dicono moderati, predichino il rispetto del diritto e della dignità umana di quei musulmani che si convertono al cristianesimo, così come noi rispettiamo pienamente quei cattolici che decidono di convertirsi all’Islam. Noi Evangelici vorremmo leggere sui giornali che gli esponenti musulmani, al tavolo della Consulta, decidano esplicitamente di riconoscere piena dignità ai convertiti ex-musulmani italiani.

Ma le conversioni dei musulmani al Cristianesimo sono frequenti?
Finché c’è poco sforzo da parte dei cristiani di sfruttare questa opportunità (perché noi non potevamo andare dalle loro parti), finché non ci sarà una mobilitazione cristiana, non si potrà ottenere nulla. In Francia, i cristiani si sono mobilitati da trent’anni per testimoniare la loro fede presso i musulmani. Come risultato, ogni anno, si tengono conferenze cristiane organizzate da ex musulmani, in lingua araba, con migliaia di presenze ogni volta. In Italia c’è ancora tutto da imparare.

Lei, da cristiano, come si pone nei confronti dei musulmani?
Sono rari i “leader” musulmani, e non, che conoscono una corretta definizione di ciò che è un cristiano. A questi chiedo di rinunciare all’intransigenza tipica. Questa ignoranza alimenta l’incomprensione interreligiosa verso i cristiani. Il nostro primo compito è quello di far pulizia di tutti i pregiudizi che sono radicati in loro. In questo, sia noi cristiani che i musulmani abbiamo in comune la volontà di essere consacrati, l’allontanarci dalla corruzione, il fuggire il peccato. In questo ci sentiamo simili e ci rispettiamo. Quando li incontro, so che non devo partire da zero. Paradossalmente abbiamo più problemi con i nostri connazionali. Se noi diamo qualcosa da leggere a un musulmano (tranne alcuni episodi di insofferenza da parte di alcuni) non lo buttano per terra, al massimo ce lo riportano indietro. I musulmani sono i nostri migliori interlocutori: non solo ci ringraziano, ci benedicono anche.

E’ Lei che cerca i musulmani o sono i musulmani che vengono da Lei?
Io cerco di andare incontro alle opportunità che Dio mi dà. Non sono un cane da tartufo. Semplicemente, quando mi capita un’occasione, non mi volto dall’altra parte.

di: Stefano Magni
da: L’opinione (www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&edi=254&id_art=4876&aa=2006)
data: 24/11/2006

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