Repubblica: “L’America scopre il business della fede”

By 19 Dicembre 2005Rassegna Stampa

WASHINGTON – L’epopea del consumismo americano si è arricchita di un nuovo protagonista. Sociologi del costume e guru del marketing bisticciano sulla sua data di nascita: qualcuno la fa coincidere con il film di Mel Gibson sulla passione di Cristo, qualcun altro con il bizzarro bestseller di Don Colbert (“What would Jesus eat?”: una dieta alimentare basata sulla fede). Ma tutti concordano che il “consumatore cristiano” è ormai diventato una componente non trascurabile del capitalismo a stelle e strisce. E’ una maxinicchia di 50 milioni di evangelici, leali e prevedibili nelle loro scelte, sempre più numerosi e più ricchi, visti i progressi economici delle roccaforti negli stati del sud.

L’anno scorso il mercato dei prodotti religiosi ammontava negli States a 8,6 miliardi di dollari. Secondo le proiezioni di Packaged Facts, una società di ricerche di mercato, la crescita continuerà fino al 2008 in modo esponenziale. Anche perché il business, ormai liberatosi dall’imbuto delle chiese, arriva direttamente alla grande distribuzione e approfitta della galoppata del online. Sullo sfondo si intravede una riconciliazione tra la “nuova” America cristiana e il “vecchio” mondo delle imprese.

Basta girarsi attorno, in questo periodo natalizio di orge consumistiche, per vedere ovunque l’intreccio tra business e religione. Hollywood è un buon esempio: sull’onda del successo imprevisto di Gibson, è appena uscito il film di C.S. Lewis “The lion, the witch and the wordrobe”, preso d’assalto dagli spettatori cristiani, nonostante che a produrlo sia stata la Walt Disney, tanto criticata, nel passato, per le sue aperture “peccaminose” nei confronti dei gay.

Anche l’editoria non perde tempo. A spianare la strada era stato l’onnipresente Rudolph Murdoch, che anni fa aveva rilevato attraverso la sua casa editrice HarperCollins la cristianissima Zondervan, rilanciandola, aprendole i canali della grande distribuzione, a cominciare da WalMart, e facendone un polo di iniziative multimediali. Tra poco, ad esempio, la Bibbia potrà essere scaricare sotto forma digitale su ogni iPod (il soprannome? “Godcasting”, cioè podcasting di Dio).

I concorrenti della HarperCollins non sono rimasti a guardare. La Random House ha acquisito la Waterbook; Time Warner ha costituito la Warner Faith. Secondo l’associazione degli editori americani la vendita di libri religiosi è cresciuta del 37% nel 2003. Certo, la Bibbia resta il “titolo” più venduto (circa il 5% di tutti i libri), ma l’editoria del settore può contare su bestseller di ogni tipo. E non è un caso che la celebre scrittrice Ann Rice, dopo averci raccontato le storie di streghe e vampiri al profumo sadomaso, si faccia ora ispirare dalla fede nel suo ultimo “Christ the Lord”, Cristo il Signore, pubblicato da Knopf.

Intanto l’ascolto delle radio cristiane è passato dal 2,2% del totale nel 1999 al 5,5%: il mondo della pubblicità ne prende atto. La catena ChickfilA, che ogni domenica chiude i suoi locali di fastfood in omaggio delle tradizioni religiose, ha raggiunto un fatturato di 1,74 miliardi: non tanto per il sapore dei suoi polli, quanto per lo spirito di riconoscenza della sua clientela cristiana.

di Arturo Zampaglione
da: Repubblica
data: 13 dicembre 2005

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