Che invece l’olfatto riveli qualcosa della nostra identità lo dicono anche le Scritture. Come spiega la biblista Antonella Anghinoni: «Tantissime pagine del testo biblico sono “profumate”. Il termine ebraico reach richiama ruach, lo Spirito, quindi già alla radice il profumo ha in sé qualcosa di divino. Non a caso compare nel Cantico dei Cantici, un libro che non si può comprendere senza far riferimento agli odori. Questo testo comincia subito con un altro termine illuminante: «Profumo (shemen) olezzante è il tuo nome». Shemen evoca la parola shem che significa nome. A riprova che ognuno di noi ha un odore diverso, il profumo svela l’identità specifica di ogni uomo e di ogni donna. L’olfatto è il senso più interno all’uomo e nella tradizione rabbinica è l’unico senso non intaccato dal peccato: tutti i sensi ti possono ingannare, il profumo no».
Un senso “divino” di nome e di fatto: «La Genesi dice dopo il diluvio universale Noè fa un sacrificio e volute di profumo salgono al Signore che ne odorò la soave fragranza. Sembra che Dio abbia un naso e che gli piaccia esercitare anche l’olfatto entrando nel gioco delle realtà umane. E nell’Esodo Dio dà a Mosè una ricetta per un profumo tutto per sé quando l’uomo entra in contatto con lui».
Antonio Giuliano – L’olfatto ucciso dalla modernità
Avvenire, 18/2/2014