Le ossa del mistero

By 20 Giugno 2012Media&Fede

«Le ossa trovate nel sottosuolo di una chiesa bulgara nel 2010 potrebbero essere quelle di San Giovanni Battista», annunciava in questi giorni un sito italiano rilanciando una scoperta dell’Università di Oxford, seguita a una serie di lunghe e (si presume) costose ricerche sui resti – «una falange di mano, un dente e la parte anteriore di un cranio» – ritrovati in «un piccolo sarcofago di marmo sotterrato vicino all’altare» nella chiesa costruita sull’isoletta di Sveti Ivan.

A supporto della tesi si certifica che «La falange esaminata dagli studiosi risale ai I secolo, l’epoca in cui, secondo la Bibbia e altri testi religiosi, sarebbe vissuto il predicatore»: non quindi il III secolo, come si credeva inizialmente, ma il primo secolo dopo Cristo, il periodo in cui hanno vissuto Giovanni il Battista e tutti i personaggi citati nel Nuovo Testamento. Insieme a centinaia di migliaia di altre persone: precisazione forse non troppo superflua, considerato che gli unici elemementi per attribuire i resti al profeta parente di Gesù sono la datazione, l’etnia (o meglio, l’area di provenienza: il Medio Oriente) un’iscrizione sul sarcofago e, naturalmente, il nome della chiesa. Il resto è un cumulo di condizionali: sarebbe, potrebbe, dovrebbe.

Tutti indizi, più che prove: elementi che in un processo probabilmente non supererebbero nemmeno le udienze preliminari. Eppure i toni sensazionalistici usati dai media farebbero credere a una scoperta clamorosa, che gli studiosi non confermano, ma nemmeno smentiscono: «Non possiamo e probabilmente non potremo mai rispondere alla domanda se si tratti o meno di San Giovanni Battista». Una risposta che para eventuali obiezioni, ma che suona come un di più, una excusatio non petita, una conclusione da divulgatori disinvolti, più che da scienziati diligenti.

D’accordo: viviamo nell’epoca di Voyager, va di moda la caccia alle presunte verità ammantate di mistero, e pare che di fronte a una ricerca improbabile ma spettacolare poco importi la sistematica assenza di risposte. Ma ad accontentarsi di Giacobbo e delle sue ipotesi dovrebbe essere solo lo spettatore in cerca di distrazione.

Credevamo che lo scienziato, per dare e darsi risposte, avesse bisogno di dati sicuri e certezze verificate, ma forse ci sbagliavamo: evidentemente reclamare test da laboratorio incontrovertibili per misurare il visibile e vidimare l’invisibile conta di più quando si tratta di contestare, e possibilmente ridicolizzare, la fede di chi non crede che tutto sia frutto del caso.

Di fronte a delle ossa senza nome, invece, la deontologia può lasciare spazio alla suggestione.

A quanto pare certi ricercatori, per quanto atei, subiscono il fascino dell’inspiegabile. Forse più di quanto capiti agli uomini di fede.

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