Le notizie della settimana – 9 dicembre

By 10 Dicembre 2017Focus

La settimana in breve. Con la firma di Donald Trump gli Usa hanno riconosciuto ufficialmente Gerusalemme come capitale di Israele, provocando le intuibili polemiche e più di qualche preoccupazione per le reazioni arabe (che non si sono fatte attendere); intanto si complica la posizione del presidente americano in relazione al Russiagate, dopo la confessione dell’ex consigliere per la sicurezza Michael Flynn. Come da tradizione con l’inizio di dicembre è arrivato l’annuncio del Time: la persona dell’anno, che secondo la testata ha segnato in maniera decisiva il 2017, sono le “silence breakers”, le donne che hanno rotto il silenzio denunciando molestie e violenze. La Russia è stata squalificata dal Comitato olimpico internazionale per l’utilizzo sistematico di doping, e non avrà quindi una sua delegazione ai Giochi invernali del 2018.
Sul versante politico italiano spunta la stella di Pietro Grasso, che oscura Pisapia e si candida a guidare la federazione delle forze a sinistra del Pd accolto dallo scetticismo di Renzi; a destra c’è incertezza su programmi e candidature, anche se Berlusconi ostenta tranquillità e sondaggi favorevoli.

In primo piano. La fotografia che emerge dal 51mo rapporto del Censis vede ritratta un’Italia in ripresa economica ma rancorosa, dove «l’immaginario collettivo ha perso la sua forza propulsiva di una volta e non c’è più un’agenda condivisa»; nel contempo, fa notare il Censis, la povertà assoluta tocca oggi 4,7 milioni di persone con un 165% rispetto a dieci anni fa.

La legislatura sta volgendo al termine, ma pare che il biotestamento abbia serie possibilità di diventare legge entro Natale grazie alla sponda del M5S. E se a Nordest, registra il Gazzettino, l’eutanasia vede ormai favorevoli tre interpellati su quattro (guadagnando posizioni anche tra i cattolici), l’Osservatore romano segnala che in Belgio sono ormai 15 mila “le persone eutanasizzate dal 2003 a oggi”, e rileva che il Paese vede «da un lato l’opinione pubblica per la maggior parte favorevole e dall’altro un numero crescente di medici scettici», preoccupati perché sul tema «la pressione sociale è enorme» e «non c’è dibattito nella società belga».

“Dio non induce in tentazione”: sono bastate queste parole di papa Francesco per sollevare una polemica raccolta da tutti i quotidiani nazionali. Quella usata tradizionalmente nel mondo cattolico, ha rimarcato Bergoglio, “non è una buona traduzione”. In realtà, ricorda Andrea Tornielli sulla Stampa, «nell’ultima traduzione della Bibbia curata dalla Cei nove anni fa il testo è cambiato, anche se la formula della più conosciuta e diffusa preghiera cristiana recitata nelle chiese, per il momento, è rimasta quella di sempre». Tra l’altro, rileva il Corriere, lo stesso Bergoglio nel suo primo intervento pubblico – subito dopo l’elezione al soglio pontificio – recitò la versione che oggi considera inadeguata.
A opporsi all’innovazione linguistica è Camillo Langone sul Giornale: «peccato – polemizza – che la traduzione “non buona” sia addirittura di San Girolamo, padre e dottore della Chiesa», e all’obiezione sul fatto che «non è mai Dio a indurci in tentazione ma Satana», segnala che questa posizione stride «con numerosi episodi biblici»: dalla storia di Giobbe, «sottoposto a ogni genere di prove proprio per verificare se cederà alla tentazione di maledire Dio» ad Abramo, «esplicitamente messo alla prova», fino all’intero popolo di Israele.
Sia come sia, nessuno dei principali media ha pensato di approfondire la questione, altrimenti avrebbe scoperto che da secoli tutte le versioni evangeliche – Diodati, Riveduta, Nuova Riveduta – traducono quel passo con “non esporci alla tentazione” (per i più meticolosi: la nuovissima versione della Riforma, presentata a fine ottobre, si discosta invece dalla classica tradizione evangelica proponendo un inusuale “non metterci alla prova”).

Pagina esteri. Partiamo dalle notizie di cui si è sentito parlare poco. Nello Yemen è stato assassinato l’ex presidente e il Paese è, secondo l’Onu, sull’orlo di una gravissima carestia; un nuovo incendio in California ha reso necessaria l’evacuazione di 27 mila persone; duecento pescatori sono dispersi, in India, dopo il passaggio del ciclone Ockhi.

In un’intervista alla CBN, il vicepresidente USA Mike Pence è tornato sulla questione relativa alla fede di Trump: «Ero con il presidente nello Studio Ovale insieme a un gruppo di leader religiosi; quando qualcuno ha chiesto una pausa per un momento di preghiera, il presidente ha accettato prontamente. Il Presidente Trump è un credente, e lo sono anch’io. Comprendiamo il ruolo della fede nella vita di questo Paese, e penso che gli americani possano venire incoraggiati sapendo che nel presidente Donald Trump hanno un leader che abbraccia e rispetta e apprezza il ruolo della fede e l’importanza della religione nelle vite delle nostre famiglie, nelle comunità, nel Paese, e che lo farà sempre».

Sempre negli Usa, un gruppo di manifestanti si è raccolto martedì davanti alla sede della Corte Suprema che si apprestava a esaminare il caso Phillips, il pasticciere del Colorado portato a processo dopo aver rifiutato di realizzare una torta di nozze per una coppia omosessuale.

La campagna per il Medio Oriente promossa da Porte Aperte (Open Doors) e Middle East Concern ha superato le 740 mila firme, coinvolgendo cittadini di oltre 142 Paesi; la petizione verrà presentata al vicesegretario generale dell’Onu lunedì 11 dicembre.

Gli atei, in Gran Bretagna, hanno avviato una nuova campagna mediatica per scoraggiare le persone dall’andare in chiesa a Natale, presentando il messaggio della natività come un caso di “fake news” ante litteram.

Che poi, a dire il vero, i detrattori del messaggio cristiano si sarebbero anche potuti risparmiare la fatica: in un sondaggio di History Channel realizzato in Inghilterra è risultato che il 20% degli interpellati non collega il Natale alla nascita di Gesù, e uno su venti pensa addirittura che la natività si celebri a Pasqua.

Anche negli Stati Uniti i credenti fanno tutto da soli: il trend degli ultimi anni vede un lento ma inesorabile declino di quanti si dichiarano spiritualmente nati di nuovo (“born again”). Quest’anno, secondo un’indagine promossa da ACFI, sono appena il 31%, mai così pochi dal 1991 (e dire che, nel 1993, si sfiorò il 50%).

In Italia, invece, secondo Camillo Langone sarebbero proprio gli atei ad avviarsi all’estinzione.

Vicende italiche. In una caserma dei Carabinieri è spuntata una bandiera del Secondo Reich, appesa al muro da un giovane militare ignaro del suo significato: quando gli è stato fatto presente che quel vessillo è diventato, ormai da tempo, un simbolo sfoggiato dai neonazisti ai loro raduni, il ragazzo è caduto dalle nuvole e si è scusato. Al netto dell’ingenuità, quello che forse dovrebbe suonare più preoccupante è che il giovane studia storia all’università e che, oltretutto, è appassionato del periodo in questione.

Si dipana il giallo di Nova Milanese, dove tre persone dello stesso nucleo familiare erano morte, nei mesi scorsi, avvelenate dal tallio: il nipote ventisettenne, messo alle strette dagli investigatori, ha confessato accampando un movente di sapore pseudoreligioso («volevo purificare soggetti impuri).

L’Alleanza evangelica mondiale, federazione che rappresenta a livello globale milioni di credenti evangelici, si prepara a firmare nel 2018 un documento ecumenicoinsieme a CEC e Chiesa cattolica; per questo motivo tre comitati nazionali – l’Alleanza evangelica italiana, la Evangelical Alliance of Malta e la Alianza Evangélica Española – sono insorti denunciando una svolta contraria alle “posizioni storiche” dell’organismo. In un documento di otto pagine indirizzato ai vertici dell’Alleanza mondiale le tre organizzazioni sudeuropee rilevano che la decisione è stata calata dall’alto senza un voto e perfino senza una discussione condivisa in merito, e ventilano, in assenza di uno stop, drastiche conseguenze: «questo modo di operare – riporta il documento, redatto in inglese – mina la fiducia, essenziale in una rete orizzontale come la WEA. Quando poche persone decidono in autonomia su un tema di questa grandezza, senza un serio dibattito con le persone che si suppone rappresentino, è l’inizio della fine di questo storico network evangelico e l’inizio di una trasformazione in una organizzazione gerarchica verticale, il che è una cosa completamente diversa».

Capitolo svarioni. Il refuso di questa settimana riguarda la questione-Padre nostro ed è, in realtà, una furbata per acchiappare click: in vena di sensazionalismi, Repubblica titola “Papa Francesco vuole cambiare il Padre Nostro”, salvo poi concedere, nell’articolo, che la nuova formula è già ufficiale (ancorché poco praticata) da quasi un decennio.

Rubrica appuntamenti. Ultima settimana, a Venezia, per visitare la mostra che celebra la Riforma luterana attraverso un percorso espositivo mirato a raccontare Albrecht Durer e le incisioni tedesche nella prima metà del XVI secolo.

Parentesi di costume. «Quante volte ancora dovrò vedere quella testata?»: è la domanda, accorata, che si pone Mauro Covacich dopo aver assistito – come tutti noi – all’infinita riproposizione delle vergognose immagini di Ostia. «Nei primi giorni – riflette lo scrittore – è valso il pretesto dell’informazione, ma presto le immagini sono diventate qualcos’altro». Immagini che fanno ribrezzo e attirano per la loro anomalia logica: «le persone, normalmente, non sono abituate a far male, non mettono in conto di dover far male a qualcuno, conoscente o sconosciuto che sia. Fingere di sorridere e d’un tratto sferrare una testata sul naso dell’altro è un gesto intrinsecamente criminale, scorretto prima che violento». Per questo motivo «la ferocia di quel gesto dovrebbe restare un turbamento prezioso e invece a ogni visione si inflaziona. Più viene ripetuto il filmato di Spada e più quel gesto appare possibile». Proprio la reazione che nessuna persona vorrebbe.

Nessuno passi il Natale da solo: è la campagna lanciata da una nota emittente evangelica inglese per sensibilizzare alla solidarietà verso chi non ha una famiglia con cui trascorrere la giornata di festa. Per rendere più efficace l’iniziativa, giunta alla sua quinta edizione, ha lanciato una mappa online dove le chiese potranno segnalare culti, pranzi o altri momenti comunitari organizzati in occasione del Natale.

Angolo cultura. L’Osservatore romano propone un interessante e articolato excursus storico-culturale su Gerusalemme.

Del Mar Morto tra archeologia ed ecologia parla invece Fernando Gentilini in un ampio servizio sulla Stampa.

Per Giuliano Ferrara il libro dell’anno è Lutero della studiosa valdese Silvana Nitti: «un racconto superbo, rigoroso e un po’ magico», si entusiasma Ferrara, che «se Hollywood non fosse pigramente impegnata con le cose irrisorie metterebbe in sceneggiatura un paio di volte l’anno».

Spazio archeologia. La mostra sui rotoli del Mar Morto, inizialmente programmata per il 2019 a Francoforte, è destinata a saltare a causa di un inghippo diplomatico: le autorità tedesche hanno infatti fatto sapere che non potrebbero ignorare eventuali reclami sulla proprietà dei reperti da parte di giordani e palestinesi, che da tempo sollecitano la consegna dei rotoli con la motivazione che, oggi, Qumran cade in una zona sotto amministrazione araba.

Pagina spettacoli. Sabato pomeriggio su Rai1 dalle 16.35 è in programma la finale del 60mo Zecchino d’oro: “Una parola magica”, brano dell’autore evangelico Stefano Rigamonti, parte in pole position dopo le due vittorie ottenute nelle puntate di avvicinamento.

Chiudiamo con lo sport. Il Gazzettino celebra Dominique Johnson, cestista della Reyer Venezia, campione statunitense che non si sottrae dal parlare del suo passato, rivelando che dopo un’infanzia travagliata il suo riscatto sociale è passato attraverso lo sport e la fede: «sono grato a Dio e alla pallacanestro – spiega alla testata – perché mi hanno permesso di essere qui e fare ciò che mi piace».

Voci dal web fuggite. Sono state ore di ansia per Nadia Toffa, volto noto del programma tv “Le Iene”, ricoverata d’urgenza per un non meglio specificato problema cerebrale. E spiace che, di fronte al dramma, qualche anima opaca abbia colto l’occasione per scatenare sul web il suo odio nei confronti della malcapitata (ma, come sempre accade in questi casi, sarebbe successo con chiunque). Si può non condividere lo stile, il format, i metodi del programma (inciampato, negli ultimi mesi, in diverse polemiche) e si può anche considerare irritante l’approccio di Toffa con i suoi interlocutori, ma in situazioni simili la solidarietà umana è doverosa e prioritaria. O, in assenza di sentimenti più nobili, è d’uopo almeno un sano silenzio.

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