Le notizie della settimana – 15 luglio

By 15 Luglio 2017Focus

L’allarme immigrazione rimane al centro della scena: le migliaia di persone che attraversano il Mediterraneo sembrano riscuotere poco interesse da parte dei nostri partner europei, che ribadiscono il loro rifiuto a condividere l’accoglienza e lasciano l’Italia a gestire da sola una situazione sempre più critica.
Una situazione insostenibile anche sul piano morale, tanto da provocare la denuncia dell’Osservatore romano, che in merito all’atteggiamento dell’UE parla senza mezzi termini di “Solidarietà a parole”: anche a seguito del vertice trilaterale di Trieste tra Gentiloni, Macron e Merkel, scrive il quotidiano vaticano, «nei fatti l’Europa continua a restare inerte di fronte al dramma dell’immigrazione nel Mediterraneo e alle difficoltà dell’Italia, ormai da sola in prima linea nel fronteggiare l’emergenza».

Pagina esteri. Venerdì difficile in medioriente: a Gerusalemme due palestinesi armati di mitragliette e pistole hanno assalito un gruppo di agenti, due dei quali sono rimasti uccisi. In Egitto, a Hurghada, sei turiste sono state aggredite in un resort; due donne sono morte in seguito alle ferite.

Notizie di cui si è sentito parlare poco: un morto e sette feriti si registrano nel martoriato Donbass, regione ucraina contesa dalla Russia; in India i monsoni hanno provocato decine di morti negli stati dell’Assam, Arunachal Pradesh e Gujarat; piogge torrenziali hanno causato almeno quindici morti anche nella regione del Kyushu, nel sudovest del Giappone. In Egitto le chiese cristiane hanno sospeso i viaggi e i pellegrinaggi per tutelare i credenti dagli attentati.

Sabato scorso – comunica Porte Aperte – un gruppo di 16 miliziani di al-Shabaab, estremisti islamici provenienti dalla confinante Somalia, hanno decapitato 9 civili in un attacco nel villaggio di Jima, in Kenya.

Negli Usa intanto c’è stato uno scambio di battute tra il senatore repubblicano (ed ex candidato alle primarie) Marco Rubio e un docente universitario, Joel Baden. Spesso Rubio pubblica su Twitter versetti tratti dal libro dei Proverbi, e Baden ha commentato questa abitudine affermando in un articolo che «I Proverbi sono probabilmente il libro più repubblicano dell’intera Bibbia». Pronta la replica del senatore: «Non penso che Salomone risultasse già iscritto al partito, quando ha scritto i primi 29 capitoli dei Proverbi». Franklin Graham, da parte sua, ha lodato Rubio: «che c’è di male nel citare versetti della Bibbia? Credo proprio sia il miglior materiale in assoluto per un tweet».

Mentre al Senato si discute, alla Casa Bianca si prega: un gruppo di pastori evangelici hanno interceduto per Donald Trump (c’era anche il suo vice, Mike Pence).

Rimanendo negli Usa: Billy Graham sta bene, compatibilmente con gli acciacchi dell’età; nonostante i suoi anni (saranno 99 a novembre), continua a incontrare parenti, amici e riceve ogni settimana la visita del suo pastore.

Cronache locali. In Liguria un parroco ha deciso di venire incontro alle esigenze dei più piccoli, allestendo nella sua chiesa una sala per i bambini e un bagno. Un’operazione non particolarmente innovativa (le chiese evangeliche ci avevano pensato già da un bel po’), ma comunque, viene da dire, provvidenziale.

Sempre in Liguria ha fatto parlare l’iniziativa della chiesa evangelica di Lavagna, che ha allestito un pulmino (“una chiesa con le ruote”, come l’hanno simpaticamente definita) per raggiungere i ragazzi fuori dalle discoteche parlando di fede, di valori, ma anche di prevenzione: «L’amore di Dio è grande e quello che abbiamo ricevuto noi, lo vogliamo dare», ha spiegato una volontaria.

Nel modenese, a Fossalta, ha preso fuoco un capannone adibito a chiesa evangelica e utilizzato dalle comunità pentecostali ghanese e nigeriana.

Grande successo, infine, per l’appuntamento al PalaRuffini di Torino con Nick Vujicic: ai quattromila presenti – i biglietti sono andati esauriti con diverse settimane di anticipo sulla data – si sono aggiunti i 7500 spettatori che hanno seguito l’incontro in streaming da 57 sedi dislocate in tutta Italia. Vujicic ha sollevato l’interesse della stampa locale, che lo ha intervistato e ha parlato del suo messaggio; un’attenzione cui si è aggiunto un servizio del telegiornale regionale.

Rubrica appuntamenti. L’associazione ProVita organizza un corso intensivo di bioetica a Roma da venerdì 22 a domenica 24 settembre.

Parentesi di costume. Interessante analisi controcorrente di Cristian Martini Grimaldi, che sull’Osservatore romano nota come nei Paesi occidentali i tabù si stiano avviando a diventare “una banale consuetudine”. Consideriamo questa tendenza ineluttabile anche se in realtà, rileva Martini Grimaldi, «il trend libertario non appare affatto inevitabile», e lo dimostra l’esperienza dei ragazzi giapponesi in viaggio di studio in Europa: dopo aver sperimentato la nostra “libertà di sballo” gli studenti non tornano in patria tessendo le lodi della trasgressione, ma anzi «ritornano nel loro Paese con la più che mai rinsaldata convinzione di vivere in una nazione con un senso di civiltà altissimo». Di fronte alla morte di un ventenne a un rave party, argomenta Martini Grimaldi, in Giappone nessuno chiamerebbe in causa la libertà di espressione per sostenere il diritto all’eccesso: «semplicemente un party a base di droghe e alcol in Giappone non è considerato un diritto e chiunque si trovasse a esprimere un’opinione contraria, fosse un cantante, un artista o uno scrittore, non troverebbe più lavoro: ma non per motivi moralistici, semplicemente la gente lo riterrebbe un cretino».

“Ecumenismo dell’odio” è invece la definizione scelta da Civiltà cattolica per descrivere la convergenza tra “fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico”. Secondo la testata dei gesuiti questa «compenetrazione tra politica, morale e religione ha assunto un linguaggio manicheo che suddivide la realtà tra il Bene assoluto e il Male assoluto», attraendo i “value voters”, elettori attenti ai valori morali: un ecumenismo dei muri contro l’ecumenismo dei ponti, «con percezioni contrapposte della fede e visioni del mondo in cui le religioni svolgono ruoli inconciliabili».

Intanto Papa Francesco ha appeso un cartello decisamente originale alla porta della sua residenza (e non sono le 95 tesi).

Ah, il geologo creazionista di cui parlavamo la settimana scorsa ha vinto la causacontro il parco nazionale del Grand Canyon.

Angolo cultura. Le posizioni atee di Ken Follett sono note, ma pochi sanno che lo scrittore è nato in una famiglia evangelica e ha frequentato, fino all’adolescenza, una chiesa dai parametri piuttosto rigidi. Lo rievoca in una confessione di cui Avvenire pubblica ampi stralci: «Nel nostro ambiente – spiega – ci chiamavamo la Congregazione oppure, a volte, la Chiesa di Dio, ma il mondo ci conosceva come i Plymouth Brethren, i Fratelli di Plymouth. Il movimento si era separato dalla Chiesa d’Inghilterra nel XIX secolo. Gruppi di questo genere hanno la stessa natura fissile dei trotzkisti – prosegue con una vena di ironia – e le divisioni, di conseguenza, si erano susseguite alle divisioni. Ero nato nei Confratelli della Verità Necessaria […]. In casa non avevamo televisore, né radio o giradischi. Erano tutte cose “mondane”, termine che per noi rivestiva grande importanza. Mi sentivo spesso dire: “Non siamo cittadini di questo mondo”, un’espressione che riprende la Lettera di Paolo ai Filippesi, dove si legge: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli”. La frase era interpretata nel senso che non dovessimo iscriverci a partiti politici o sindacati, né arruolarci nell’esercito o entrare in associazioni di qualsiasi tipo […]. I Fratelli erano troppo importanti per mescolarsi con il resto dell’umanità, che vaga nell’errore».
Nonostante tutto – e questo forse potrà consolare chi si trova in imbarazzo pensando ai giovani persi per strada a causa di situazioni simili – negli ultimi anni Follett ha rimesso piede in chiesa: «Quel che ne deriva, per me – ha confessato -, è un sentimento di pace spirituale. Andare in chiesa consola la mia anima».

Riforma riparla del libro della Casa della Bibbia dedicato alle realtà evangeliche di Torino.

L’ennesimo affondo dell’Unesco sull’identità culturale dei luoghi simbolo dell’ebraismo – stavolta l’organizzazione ha sentenziato che la sovranità della Tomba dei Patriarchi a Hebron dovrebbe spettare ai palestinesi – ha convinto Il Foglio a rilanciare un appello del 1974.

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