In occasione dei 500 anni della Riforma, Sergio Militello propone sull’Osservatore romano «una breve riflessione sull’operazione musicale della Riforma, dal momento che lo stesso Lutero beneficiò di un’ottima educazione musicale, letteraria e poetica».
Militello ricorda il Lutero cantore, compositore, che “per oltre un ventennio, tra il 1521 e il 1545, redasse canti spirituali”. Sul piano tecnico «la forma strofica senza ritornello fu una scelta attenta alle esigenze della riforma “popolare”, di cui i canti spirituali presentano melodie assai cantabili, non lunghe e incisive. Questo intento pragmatico di Lutero affonda, però, le sue radici in una precisa e ricca visione teorica, che si colloca nella concezione agostiniana della musica come donum Dei».
L’autore ricorda anche la “funzione unificatrice del canto: per il suo carattere comunitario, infatti, il canto corale forgia e rafforza l’unione tra i suoi esecutori”, amplificata dalla “introduzione con la Riforma della lingua vernacolare per facilitare ai fedeli la comprensione dei testi liturgici”, che è stata “una scelta d’avanguardia adottata solo secoli dopo anche dalla Chiesa cattolica”.
Il libro dei canti, nelle chiese evangeliche, diventa “assieme alla Bibbia, uno strumento tradizionale e un costume ecclesiale e familiare”, e i repertori di brani si sviluppano “a ritmo impressionante”. In ambito calvinista «i cosiddetti salmi ugonotti divennero una vera e propria bandiera confessionale, diffondendosi, tradotti nelle rispettive lingue o dialetti, in diversi paesi d’Europa», e vennero utilizzati «anche in comunità piccole, come la Chiesa evangelica valdese».