Un anno di immagini

By 31 Dicembre 2010Editoriali

Quante cose abbiamo visto, in questo 2010. Immagini che ci hanno raggiunto in tempo reale precedendo la notizia e, talvolta, aggirando l’obiettività. Immagini che ci hanno raccontato il mondo, e la cronaca, a volte meglio di mille parole, altre volte con i rischi di equivoco di una frase lasciata senza punteggiatura.

Immagini toccanti, commoventi, talora imbarazzanti. Immagini a presa rapida e destinate a un altrettanto rapido oblio, veloci nel lasciare spazio ai bit della ripresa successiva, testimone di un’altra storia.

Non potevano non colpire la disperazione degli haitiani dopo il terremoto (un capitolo che si riapre, dolorosamente, con i casi di colera di questi ultimi giorni), la strage di cristiani in Nigeria (altro caso tornato d’attualità, dopo i cinquecento credenti trucidati a marzo) e in Pakistan, la tragedia aerea che ha lasciato la Polonia senza le sue massime autorità; ci hanno toccato, mese dopo mese, la marea nera che ha riempito il Golfo del Messico, le versioni contrastanti dell’assalto israeliano alla flottilla (a proposito di immagini, celebre il “taglio” galeotto che eliminava dall’immagine l’arma brandita da un pacifista), il dolore per i nostri militari periti in Afghanistan, il timore per le conseguenze del crac greco.

Hanno lasciato il segno, sia pur in misura minore, la disfatta sudafricana della nostra nazionale, gli scoop annunciati – ma, sostanzialmente, mancati – di wikileaks, la linea futuribile dell’iPad che inaugura una presenza sempre più intensa della tecnologia nella nostra vita.

A casa nostra ci hanno sorpreso le vicende di Adro (i bimbi morosi lasciati senza mensa prima, la scuola sommersa dai simboli leghisti poi), gli addii eccellenti (la scomparsa di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini), gli scandali a volte comici (la casa del ministro Scajola, comprata “a sua insaputa”), a volte tragiche (il viavai di rifiuti dalle strade di Napoli, ancora irrisolto nelle sue cause), altre volte semplicemente desolanti (il dito puntato di Fini e il contrappasso della saga di Montecarlo).

Sul piano etico e morale sono due le immagini che, forse, hanno fatto riflettere di più.

Sul fronte morale, nel corso del 2010 abbiamo visto una giovanissima sbandierare quasi con orgoglio, o comunque con una leggerezza sorprendente, la pratica di una professione per la quale fino a ieri si provava, se non altro, un senso di pudore: incosciente o coscientissima, a seconda della scaltrezza, non ha esitato a mettere in piazza senza vergogna i propri rapporti con l’uno o l’altro personaggio pubblico (più con l’uno, in realtà), evidentemente consapevole di aver trovato un modo come un altro di raggiungere la fama in una società che guarda al risultato senza badare al dettaglio del tragitto e del mezzo utilizzato per arrivarci.

Sul piano etico, non si può ignorare il carnevale cui i nostri eletti (nostri, va ribadito: in democrazia ogni popolo ha i rappresentanti che si è scelto) hanno ridotto i luoghi simbolo della religione civile, quelle Camere di un Parlamento diventato a momenti un salotto, in altre occasioni una curva da stadio. La linguaccia prende il posto del linguaggio, l’indennità sostituisce la dignità.

Immagini che non avremmo voluto vedere, in entrambi i casi. Immagini che speriamo di non rivedere. E se è vero che di fronte a queste immagini il resto passa sullo sfondo, viene altresì da chiedersi quali immagini abbiano caratterizzato noi cristiani in questo ultimo anno. Noi cristiani occidentali, intendo: cristiani che non vengono perseguitati, che possono esprimere pubblicamente la propria fede (eppure non lo fanno spesso), che possono dare un contributo al miglioramento della comunità locale in cui vivono. Cristiani che, con le loro azioni quotidiane e le loro reazioni, il loro linguaggio e le loro scelte, offrono a chi li guarda un’immagine di Cristo.

Chissà se tanti profili cristiani su Facebook sono davvero il modo in cui Cristo vorrebbe venire rappresentato attraverso di noi. Chissà se tante relazioni umane o professionali cristiane si svolgono nell’ambito della correttezza e dell’integrità che Cristo vorrebbe. Chissà se ciò che diciamo, facciamo, o anche solo i modi in cui ci lasciamo rappresentare visivamente (aspetto non secondario, nell’era dell’immagine) sono adeguati al ruolo di discepoli che hanno scelto di seguire Cristo in ogni gesto e in ogni parola.

Forse, a ben guardare, l’immagine di un Paese non è così lontana da quella dei cristiani che vi abitano. E allora, forse, tra i propositi per il nuovo anno potremmo pensare di dare più spazio e concretezza nella nostra vita alla coerenza, all’onestà, alla sobrietà, all’integrità, alla solidarietà: in una parola, al senso di responsabilità che dovrebbe caratterizzarci.

«Cosa farebbe Gesù?», andava di moda chiedersi qualche anno fa. Forse è il caso di riscoprire questa vocazione a un comportamento demodé perfino nei termini (chi parla più di integrità morale, ormai?), ma essenziale per noi e – non meno importante – per la società in cui viviamo.

La nostra immagine parla di noi e, spesso, per noi. Facciamo in modo che possa dire di noi cose giuste, buone, opportune.

biblicamente – uno sguardo cristiano sull’attualità

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