Un voto consapevole

By 7 Aprile 2008Editoriali

Con tre anni di anticipo l’Italia torna al voto. La campagna elettorale che stiamo vivendo, a causa di un sistema di voto considerato dai più inadeguato, non ha dato spazio a particolari guizzi, finendo per appiattire – salvo rare eccezioni – le figure dei candidati sull’immagine dei leader, veri protagonisti della campagna elettorale con i loro programmi e le loro uscite fuori ordinanza.

Come se non bastasse, negli ultimi anni abbiamo assistito a una rissosità fuori controllo tra gli schieramenti e all’interno degli schieramenti con scontri, dichiarazioni bellicose, accordi improbabili e instabili. Le rivelazioni su privilegi e sprechi hanno favorito un’ascesa dell’antipolitica, interpretata a turno da ex comici votati al cambiamento del mondo e cittadini di buone intenzioni ma senza il carisma e la forza politica necessaria a cambiare le cose.

Inevitabile, in queste condizioni, percepire una diffusa disaffezione verso il voto, verso la politica vista come una casta e non come un servizio a beneficio del paese e dei suoi cittadini. Eppure, nonostante si faccia di tutto per far sembrare il contrario, il voto resta una cosa seria.

E lo è anche per un cristiano, per una serie di motivi che forse tendiamo a dimenticare.

IL DONO DELLA LIBERTÀ
Come l’antico popolo di Israele sapeva bene, la libertà è un bene prezioso e per niente scontato. Oggi viviamo in un Occidente decadente sul piano morale ma benedetto sul piano del rispetto dei diritti umani: mai in passato era stato così sicuro, per un europeo, far sentire la propria voce, e allo stesso tempo mai era stato così semplice raggiungere il grande pubblico. Spesso consideriamo questo traguardo come un risultato ormai raggiunto, consolidato, scontato, tanto da rivendicarlo come un diritto acquisito e incontestabile. E invece è un privilegio da sfruttare (e, visti i risultati, verrebbe da chiedersi quanti cristiani lo facciano davvero), ma allo stesso tempo da difendere quotidianamente.

Se essere liberi di vivere ed esprimere la propria fede nel proprio Paese è un dono di Dio, dobbiamo esserne buoni amministratori, cercando le condizioni migliori per mantenerlo: comportarsi da fruitori fatalisti, come il servo che ha sepolto il talento, non sembra in linea con lo spirito del messaggio cristiano.

Se possiamo dire di avere la libertà di diffondere la speranza del messaggio evangelico, è perché ce lo garantisce una democrazia che, per quanto imperfetta e criticabile, offre a ognuno di noi il privilegio di diritti certi e reclamabili. Se ringraziamo Dio per averci donato questa libertà (la speranza è che ognuno di noi lo faccia), non possiamo dimenticarci che, come ogni dono, anche la libertà va coltivata.

IL PANORAMA ATTUALE
Se in passato, come cristiani biblici, i nostri avversari erano ben individuabili, oggi non è più così. L’Italia agricola, sanguigna nei suoi ideali ma sostanzialmente solidale e concreta che venne schematizzata in maniera così efficace da Guareschi attraverso Don Camillo e Peppone ha lasciato il posto a una società metropolitana complessa, schizofrenica, ansiosa, libera dai valori cristiani e di conseguenza dai vincoli che – nel bene e nel male – tenevano unita la società fino a qualche decennio fa. Il contesto multietnico, arricchente e contraddittorio, aggiunge un’ulteriore nota di difficoltà alla comprensione della realtà che ci circonda.

Se fino a ieri, sul piano politico e sociale, vivere la propria fede evangelica significava prevalentemente opporsi a una tradizione cattolica maggioritaria e spesso invadente, non possiamo non prendere atto che oggi è cambiata la società, sono cambiate le condizioni, sono cambiate le sfide e le priorità con cui ci dobbiamo confrontare.

Viviamo un contesto di battaglie di civiltà dove il crocifisso sui muri e i menù scolastici sono diventati pretesti, di spiritualità fai-da-te spacciate per cristiane, di un post-modernismo che ha fatto fuori anche il materialismo, di scientismi sempre più invadenti nel tentare di spiegare l’inspiegabile con il metro della scienza. In un contesto come questo suona risibile la difesa della propria identità evangelica “senza se e senza ma”, scordando il senso della più ampia identità cristiana (che, sperabilmente, anche gli evangelici riconoscono come propria).

Di fronte ai cristiani, a tutti i cristiani, si staglia l’attacco sempre più frequente da parte di uno scientismo che, proclamando la libertà di espressione con concetti rassicuranti come “scienza” e “laicità”, vorrebbe ridurre la fede a un fatto personale, privato, da non diffondere e soprattutto da non reclamare nella amministrazione della cosa pubblica. Una richiesta che, va da sé, come cristiani non possiamo accettare, convinti che siano proprio i principi biblici basilari a garantire il benessere della società. Solidarietà, compassione, uguaglianza, responsabilità non sono concetti inventati dalla Rivoluzione francese, e la storia ha mostrato che non funzionano quando vengono presi a sé stanti e privati di una linea, un obiettivo, una direzione.

LA SCELTA
Si discute da sempre su quali debbano essere i valori politici del cristiano. L’unica certezza condivisa è che nessun movimento politico ci rappresenta completamente: d’altronde, a ben vedere, nemmeno tra noi evangelici esiste un’identità di vedute così precisa da permetterlo.

L’indirizzo per una scelta elettorale consapevole si deve basare, quindi, sulle priorità. Non quelle dei partiti, ma le nostre. Le esperienze, il retroterra culturale e – non ultimo – il livello che abbiamo raggiunto nel nostro rapporto personale con Dio ci porta ad avere una sensibilità più marcata su alcuni valori, e questo influisce sulla nostra prospettiva sociale, politica, umana portandoci ad alcune scelte anziché ad altre.

La legge elettorale in vigore e le vicissitudini della passata legislatura hanno portato a un sostanziale bipolarismo tra quelli che un tempo venivano chiamati conservatori e progressisti: si contrappongono tra loro due visioni della società opposte, che partono da premesse diverse e da cui discendono scelte e proposte diverse. Sono visioni più o meno condivisibili, chiaramente, a seconda della propria estrazione e della propria interpretazione della società; in ogni caso, come cristiani siamo chiamati a comprendere le due prospettive, così differenti tra loro, prima di esprimerci a favore dell’una o dell’altra.

Da un lato lo schieramento conservatore impernia le proprie scelte politiche su principi tradizionali di ispirazione cristiana, valorizzando nel proprio programma elementi morali e sostanziali di particolare rilevanza sul piano biblico, come la famiglia e la difesa della vita umana dal suo concepimento alla morte naturale. Dall’altro lato c’è la compagine progressista, che punta a dare spazio e tutela a tutte le minoranze sociali, religiose, etniche presenti nel nostro Paese, tra cui naturalmente anche la realtà evangelica: per garantire spazio e diritti alle minoranze naturalmente è necessario un approccio laicista, che accantona le tradizioni cristiane (o quel che ne resta) per dare a tutti la possibilità di esprimere la propria verità. Spazio alle verità evangeliche, certo, ma anche – per fare un esempio controverso – alla tutela legale delle coppie omosessuali.

Naturalmente non siamo così ingenui da credere che i conservatori rispettino i valori biblici per simpatia nei nostri confronti, o per amore del Vangelo; né crediamo che la sensibilità verso le realtà minoritarie da parte dei progressisti rappresenti un privilegio pensato per noi.
Non siamo nemmeno così smemorati da non cogliere le contraddizioni tra dichiarazioni e comportamento da parte dei politici: non ci risulta che i leader conservatori siano così esemplari sul piano personale o nei valori familiari; né, sull’altro fronte, risulta che l’unico ministro protestante degli ultimi decenni abbia fatto qualcosa per le realtà evangeliche, se non disorientare i media sui valori fondanti della nostra fede.

Nonostante questo, però, si tratta di due posizioni da prendere in considerazione e valutare con attenzione. E non vanno trascurate nemmeno le controindicazioni: scegliere la tutela delle radici cristiane significherà anche veder dare maggiore spazio alla realtà maggioritaria, quella cattolica, a discapito delle minoranze; scegliere la tutela delle minoranze significherà avere più voce, forse più finanziamenti, ma anche convivere con una società che si allontanerà man mano dal modello tradizionale cristiano su temi sensibili come l’interruzione di gravidanza o l’eutanasia.

Valori condivisi da un lato, visibilità alla minoranza evangelica dall’altro: la scelta forse per alcuni sarà scontata, ma obiettivamente merita una attenta riflessione. A ognuno di noi il compito di informarsi e valutare pro e contro, per prendere poi una decisione consapevole e responsabile.

PS: in ogni periodo elettorale qualcuno, giustamente, decide di astenersi facendosi forte dell’indicazione biblica “Il soldato non si impiccia degli affari civili”. E fa bene, se questa è la sua condizione.
Temiamo tuttavia che oggi i “soldati” a cui questo versetto fa riferimento siano ormai piuttosto rari: a meno che, oggi, essere soldati di Cristo non significhi barricarsi nella difesa delle quattro mura della chiesa per non far entrare spiragli di modernità, e non – come ai tempi di Paolo – correre nelle piazze e per le vie alla conquista delle anime con l’arma dell’amore cristiano.

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