Giudizi sotto l’albero

By 17 Dicembre 2007Editoriali

«Noi non facciamo l’albero». «Noi non festeggiamo perché Gesù non è nato il 25 dicembre». «Noi non festeggiamo perché la Bibbia non ci dice di festeggiare la nascita di Cristo». «Noi non festeggiamo perché non ci mescoliamo alle usanze della società».

Il “noi” si riferisce agli evangelici, naturalmente. E in questo “noi”, nel periodo natalizio, è compreso un intero programma di vita, quasi un credo alternativo. Una vera e propria “terza via” rispetto alle posizioni più comuni: da un lato il cattolicesimo ha reso il natale una formalità rituale, venendo oltretutto a patti con retaggi pagani; dall’altro lato la società ne ha fatto un feticcio consumistico, tanto che Babbo Natale ha preso il posto di un meno attraente Gesù (bambino o adulto, a quanto pare, il Salvatore è un personaggio destinato ad attirare poco gli sguardi, come qualcuno aveva profeticamente annunciato).

Tra le due posizioni, appunto, ci siamo “noi”. E il mondo evangelico pare aver preso sul serio l’idea di cercare una terza via, tanto che ha trovato nella contestazione alle festività di fine anno una vera ragion d’essere, un punto d’onore, fino a farne una questione di principio e di distinzione rispetto al resto del mondo. In questa prospettiva i festeggiamenti di fine anno hanno assunto un ruolo dottrinale e teologico decisamente improprio: sono diventati lo spartiacque, la cartina tornasole, la dimostrazione di un’appartenenza, di una scelta di fede, di una spiritualità.

Naturalmente non intendiamo muovere rilievi ai numerosi e spesso ben documentati studi relativi ad alberi, luci e doni, anche se, detto per inciso, le origini del tanto vituperato albero sono meno banali di quel che vorremmo poter credere. Ciò che ci lascia perplessi, in realtà, non è l’origine della festa, ma l’approccio verso chi la vive: a sentire parlare molti cristiani, infatti, pare quasi che il credo di una persona si possa misurare proprio in base alla sua posizione rispetto alle festività.

Sicuramente una casa decorata è più semplice da individuare (e giudicare) rispetto all’impegno personale; ma, va da sé, forse dovremmo considerare un po’ limitativa questa caccia all’albero. Chi scrive ha il privilegio di restare indifferente al bailamme natalizio, apprezzandone gli aspetti estetici e affettivi senza volervi imporre valenze spirituali improprie, ma naturalmente non per tutti è così. Tra chi non aderisce alla festa, come anche tra chi aderisce, si possono trovare posizioni ben distanti e – per giunta – sorprendentemente trasversali rispetto alle denominazioni cristiane.

Sul fronte degli astinenti c’è chi non festeggia né vuole sentire nominare il natale, c’è chi non festeggia ma approfitta del giorno di festa per stare in famiglia, e c’è anche chi non festeggia ma utilizza il periodo per parlare di Dio a persone che in altri momenti dell’anno non accetterebbero di intavolare un discorso sul tema. Tutte e tre le posizioni denotano una consapevolezza nelle proprie scelte, ma non possiamo dimenticare che nella categoria c’è anche chi, con minore maturità, evita di festeggiare e lo fa solo per non sembrare “come il mondo”, senza quindi una motivazione specifica.

Sull’altro fronte, quello dei natalisti, c’è chi festeggia con un momento spirituale intenso e per niente materiale, approfittando del “giorno diverso dagli altri” per rendere a Dio un culto speciale; c’è chi, serenamente, si circonda di luci e simboli, ben sapendo che non hanno rilevanza spirituale ma rallegrano l’ambiente come un variopinto frutto di stagione; e c’è chi approfitta dell’occasione per una riunione speciale per invitare in chiesa persone altrimenti allergiche al tema della spiritualità. Anche in questo caso tutte e tre le posizioni denotano consapevolezza in chi le assume, ma nella categoria c’è anche chi, con scarsa maturità, non ha capito le obiezioni di cui sopra e continua a credere nella festività secondo canoni tradizionali spacciati per biblici.

Nel nostro fondamentalismo su misura ci piace credere che chi non è come noi è contro di noi, e lo scandalo delle feste cade a fagiolo per trovare qualche buon motivo in base al quale mettere in dubbio la profondità spirituale altrui. Consideriamo questo sistema efficace per individuare al volo chi “ha capito” e chi no, chi è “in comunione” e chi no. Un metodo comodo e facile che ci esime dal porci di fronte a una realtà ben meno materiale, dove la fede non passa per l’albero ma per questioni molto più serie.

Nel nostro inconsapevole, umanissimo desiderio di omologazione e di certezze dimentichiamo una questione essenziale: il mondo cristiano non si distingue tra chi festeggia e chi no, ma tra chi vive con coerenza la sua fede e chi non lo fa. Non ci distingue un albero o una festa, ma il nostro comportamento (specie fuori dalla chiesa), il nostro amore per il prossimo, e soprattutto il rispetto per la nostra chiamata, il nostro rapporto con Dio, il nostro servizio cristiano. Sicuramente sono tutti aspetti profondi e difficili da decrittare in una persona senza conoscerla a fondo: per questo risulta molto più comodo distinguere dalla forma, piuttosto che dalla sostanza.

Che poi l’uomo abbia bisogno di circondarsi di certezze, è noto e comprensibile. L’importante è che queste certezze non diventino pregiudizi quando sono in gioco semplici dettagli. Anche se questi dettagli hanno la durata di una festa e la misura di un albero.

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